A proposito di disoccupazione

Riflessioni a margine dell'ultimo Rapporto Censis.

A proposito di disoccupazione

Nell’ultimo Rapporto pubblicato (dicembre 2021) i dati Censis sul mercato del lavoro ritraggono una situazione sociale tutt’altro che foriera di positive prospettive: basse retribuzioni, aumento della precarietà, disoccupazione lontana dal ridursi.

Una realtà devastante soprattutto per i giovani e le donne. I ricercatori del Censis focalizzano le criticità più drammatiche. Nel confronto tra il secondo trimestre del 2019 e il secondo trimestre del 2020 - si legge - i giovani occupati 15-34enni sono particolarmente colpiti dalla perdita del lavoro.  

E l’andamento occupazionale per età, di per sé inquietante, denuncia come sempre la persistente sperequazione insita nella variabile di genere, ancora una volta il segmento più svantaggiato.

Non mi soffermo, come qualcuno si aspetterebbe, nell’analisi dei dati, abbondantemente commentati da settimane. Mi limito a condividere una riflessione.

Della disoccupazione si parla continuamente. Il termine è oggi privo del suo reale significato perchè individua un fenomeno diverso da quello che si ha la pretesa di individuare. Viene strumentalmente utilizzato per promettere o per lasciare intravedere strategie illusorie senza tener conto della reale condizione degli individui e del cosiddetto mercato del lavoro. Le stesse statistiche che parlano di disoccupati genericamente non tengono conto di chi è "occupato" per meno di due settimane in un mese e senza alcuna garanzia.

Quanto sfugge il destino delle vite, travestito nelle statistiche, in funzione della logica del calcolo?  Le cifre contano, anche se non corrispondono a numeri reali, ma servono. Esattamente come serve il predicato verbale. L'oracolarità di governo non può sicuramente affermare che la disoccupazione è diminuita perchè è aumentata diversamente rispetto a quella misurata dal precedente governo.

E allora? Allora si dirà che è aumentata ma...meno rapidamente rispetto all'anno precedente? Oppure che è diminuita ma…che i percentili sono ancora modesti a causa delle dissennatezze strategiche storiche?

Ma chi misura l'angoscia di un'identità precaria o definitivamente naufragata? Esistono statistiche sul dolore per la perdita di considerazione sociale di chi viene buttato fuori dal mondo del lavoro o per la mancanza di autostima in chi non riesce ad entrarvi?

Chi valuta il più vergognoso degli stati d'animo?

Perchè ognuno è incoraggiato a ritenersi un fallito mentre è solamente un numero scaraventato dentro una statistica.