Abruzzo, sorveglianza militare nelle carceri con detenuti altamente pericolosi

Dopo il rientro in carcere dei mafiosi scarcerati durante l’emergenza sanitaria è stata stabilita la sorveglianza esterna dell’Esercito per le carceri aquilano e sulmonese. E a Sulmona allarme sindacale per il possibile arrivo di «ulteriori 200 pericolosi mafiosi». Di Giacomo (Sindacato Polizia Penitenziaria): «In molte carceri lo Stato non ha il pieno controllo, come denunciamo da tantissimo tempo, e il rientro di detenuti in alta sicurezza potrebbe aver fatto scattare degli allarmi».

Abruzzo, sorveglianza militare nelle carceri con detenuti altamente pericolosi
casa di reclusione Sulmona, fonte: sito web Ministero della Giustizia

«Un’offesa ai familiari delle vittime di mafia», così Giuseppe Antoci, ex presidente del Parco dei Nebrodi e presidente onorario della Fondazione Caponnetto e vittima nel 2016 di un attentato mafioso sventato dalla scorta, ha definito la scarcerazione due mesi fa di Antonio Sudato. Condannato all’ergastolo per estorsione, associazione mafiosa ed alcuni omicidi Sudato è stato il primo condannato all’ergastolo che ha beneficiato della detenzione domiciliare per l’emergenza sanitaria.

Presente nella lista dei detenuti per i quali si proponeva il ritorno in carcere stilata dal nuovo vice capo del Dap Roberto Tartaglia, Sudato da alcuni giorni è rinchiuso a Secondigliano. Dopo la condanna all’ergastolo gli ultimi 25 anni li ha trascorsi nel carcere di Sulmona, uno dei due carceri abruzzesi dove sono presenti sia detenuti al 41bis che in regime di alta sicurezza. Nei giorni della concessione dei domiciliari a Sudato la UIL Penitenziari ha scritto al Prefetto per chiedere la massima attenzione sul rischio di infiltrazioni mafiose possibili con l’arrivo di parenti e familiari di nuovi detenuti dall’alto spessore criminale e mafioso.

L’Abruzzo e il Lazio sono le regioni dove è presente il maggior numero di detenuti al 41bis, 244 presenze, il dato reso noto la settimana scorsa dal Sindacato Polizia Penitenziaria (SPP). In un recente comunicato il SPP ha reso noto che è stata disposta la sorveglianza militare intorno al carcere sulmonese. La FP-Cgil Comparto Sicurezza – Polizia Penitenziaria in un comunicato riporta che analogo provvedimento è stato deciso anche per il carcere aquilano. «Nel mese di giugno molti detenuti di alta sicurezza usciti a causa del coronavirus torneranno in carcere e questo potrebbe costituire motivo di nuove tensioni cambiando uno scenario già molto teso» riporta il comunicato di Aldo Di Giacomo, segretario generale del SPP.

Dopo la diffusione della notizia il coordinatore regionale Funzione Pubblica CGIL Abruzzo Molise Comparto Sicurezza – Polizia Penitenziaria Giuseppe Merola e il segretario generale della FP CGIL L’Aquila Anthony Pasqualone hanno scritto al Prefetto del capoluogo abruzzese Cinzia Torraco e alla Direttrice dell’Ufficio Relazione Sindacali presso il DAP Ida Del Grosso ritenendo «indispensabile comprendere la ratio» della decisione e sottolineando «alcune legittime perplessità e preoccupazioni» che i rappresentanti sindacali riconducono alla possibilità che si generino «eventuali allarmismi tra le fila della collettività pubblica» e al «mancato coinvolgimento della mera Polizia Penitenziaria a cui è demandata l’espletazione di specifici compiti sulle carceri».

«A seguito dell’assegnazione di un contingente aggiuntivo di militari delle Forze Armate nell’ambito dell’Operazione Strade Sicure – si legge nella risposta del prefetto Torraco – si è ritenuto opportuno sostituire il personale delle Forze dell’ordine che svolgevano vigilanza esterna dei due Istituti Penitenziari di Sulmona e L’Aquila, con i suddetti militari, deputati alla vigilanza statica degli obiettivi sensibili, al fine di poter destinare il personale delle Forze dell’ordine già impegnato nei suddetti compiti al potenziamento delle specifiche attività dei controlli sul territorio».

Il Coordinamento Sindacale Penitenziario rappresentato da Osapp, Uil polizia penitenziaria, Cisl, Uspp e Cnpp nelle scorse ore ha espresso preoccupazione per «un collasso» considerato «ormai prossimo» dell'istituto penitenziario di Sulmona: «un padiglione quasi ultimato - scrive in un comunicato stampa il segretario nazionale Domenico Mastrulli - che presto ospiterà ulteriori 200 pericolosi mafiosi non potrà vedere il suo varo, così come sostengono i sindacati uniti, se non attraverso un adeguato potenziamento degli organici».

«Dopo le rivolte di inizio evidentemente ci sono segnali che potrebbero esserci nuove tensioni nei due istituti» ci ha dichiarato Di Giacomo che sottolinea come  «il carcere di Sulmona è uno dei pochissimi in Italia ad avere collaboratori di giustizia, alta sicurezza e 41bis ovvero coloro con cui ci sono già stati problemi in passato, evidentemente ci sono indicatori che potrebbero essercene di nuove».

Il segretario  generale del Sindacato Polizia Penitenziaria ricorda che «già in passato prima delle rivolte abbiamo anticipato che c’erano dei rischi anche se ovviamente non immaginavamo al livello visto ad inizio marzo. Abbiamo chiesto in più occasioni l’utilizzo dell’esercito nel perimetro esterno per recuperare uomini esperti all’interno. Il ministro ha stabilito di far rientrare i detenuti più pericolosi, le sommosse di inizio marzo sono state organizzate da detenuti in alta sicurezza e una volta rientrati potrebbero creare nuove tensioni. In molte carceri lo Stato non ha il pieno controllo, come denunciamo da tantissimo tempo, e il rientro di detenuti in alta sicurezza potrebbe aver fatto scattare degli allarmi. La possibilità probabilmente c’è che la sorveglianza militare venga estesa ad altre carceri della stessa tipologia».

La situazione del carcere di Sulmona varie volte negli anni è stata al centro di critiche e prese di posizioni, soprattutto dalle rappresentanze sindacali dei poliziotti penitenziari. Sulla questione Di Giacomo evidenzia che «il sovraffollamento e la carenza organica sono problemi di altra natura e hanno un peso relativamente minore rispetto alla situazione odierna. Le sommosse di inizio marzo erano assolutamente prevedibili, le criticità maggiori sono nate quando ai tempi del ministro Alfano fu creata la vigilanza dinamica e si è data la possibilità di celle aperte mentre son state tolte celle di sicurezza».

«Ci sono criminali che sono in grado di cogliere tutte le fragilità, le attuali scaturiscono da un sistema di scelte su cui si continua a persistere» sottolinea il segretario generale del SPP che solleva alcune critiche ai responsabili del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria: «il nuovo capo del Dap ha dichiarato di condividere le posizioni di Antigone (il predecessore di Basentini era presidente onorario di Nessuno tocchi Caino) ma non mi risulta che quest’associazione ha preso nettamente le distanze dalle rivolte o ha chiesto la costruzione di nuove carceri. In Italia oggi abbiamo circa 52.000 detenuti, per poter sorvegliare tutti i detenuti servirebbero 250.000 poliziotti penitenziari, se non si costruiscono nuove carceri il sovraffollamento resterà sempre, sono oltre 20 anni che ogni 3-4 si propongono provvedimenti di clemenza da parte del garante dei detenuti, di Antigone o di altri». Il SPP propone invece una soluzione più strutturale: «è necessario metter mano all’edilizia penitenziaria – afferma Di Giacomo - costruire altri 4 carceri per 3000 detenuti ciascuno. Una decisione che non comporterebbe altissimi costi e sicuramente più bassi delle multe che l’Italia paga ogni anno all’Unione Europea perché la condizione carceraria non rispetta la dignità dei detenuti».

In conclusione della nostra intervista con Aldo Di Giacomo ci siamo soffermati su quanto accaduto a Santa Maria Capua Vetere e sulle accuse rivolte alla polizia penitenziaria da parte dei familiari di alcuni detenuti: «si è stati costretti a far rientrare i detenuti nelle celle per reprimere la violenta rivolta – ricostruisce i fatti Di Giacomo - ma non c’è nessun detenuto con una situazione medica particolare. Queste accuse la dicono lunga sull’attacco nei confronti delle istituzioni carcerarie e penitenziarie. Se si dovesse accertare che anche solo un poliziotto penitenziario ha commesso irregolarità noi saremmo i primi ad affermare che chiunque collabora con organizzazioni criminali (abbiamo avuto i portatori di telefoni e di messaggi) o usa violenza gratuita va assolutamente allontanato e punito con pene tre volte più severe del severo. Sono persone che danneggiano un’istituzione seria e non rispettano i colleghi che ogni giorno lavorano anche con turni massacranti e aumento dei pericoli: da quando è stata istituita la sorveglianza dinamica sono aumentati del 700% eventi critici come le aggressioni nei nostri confronti o di detenuti più deboli».

«A Foggia – sottolinea infine Di Giacomo - c’è stato anche chi ad una trasmissione televisiva ha sostenuto che i poliziotti penitenziari sarebbero persino entrati di notte nelle celle per tagliare barba e capelli ai detenuti: esiste una registrazione in cui una ragazza chiede se è vero e gli viene risposto da un detenuto che lui non ha mai avuto capelli e barba».