Appello al Papa: in Iraq visiti e si interessi alle nostre comunità perseguitate

È stato annunciato nei mesi scorsi il viaggio di Papa Francesco iniziato oggi. Bergoglio visiterà anche il Kurdistan iracheno. Una lettera aperta è stata inviata in Vaticano per chiedergli visita ed interesse alle sorti delle comunità locali martoriate e perseguitate.

Appello al Papa: in Iraq visiti e si interessi alle nostre comunità perseguitate
fonte: sito web Rete Kurdistan Italia, www.retekurdistan.it

La pandemia ha bloccato gli spostamenti, i trasporti, i viaggi. In tutto il mondo milioni di persone si sono ritrovate chiuse in casa, senza possibilità di contatti fisici con il mondo e le persone distanti. L’incubo in cui a tutte le latitudini siamo piombati accomuna popoli e culture, Stati e continenti. Davanti al pericolo comune l’umanità poteva unirsi, superare guerre e conflitti, muri e barriere. Invece, sempre più, hanno prevalso egoismi, particolarismi, ci si è rinchiusi nei propri confini prima ancora che dentro le mura. Stremati dopo mesi di confinamento sociale, coprifuoco e lockdown cresce sempre più la voglia (e la necessità) di tornare ad una vita pubblica, di incontrare persone e frequentare i luoghi della vita.

 

Una tendenza segnata da quanto prevalso in questi mesi, si sta quindi vivendo la contraddizione di voler uscire dal confinamento casalingo ma di volersi sempre più rinchiudere nei confini nazionali. Non si guarda così oltre piccoli orizzonti, non ci si affaccia sulle finestre del mondo, si ignora quel che succede oltre la propria latitudine. Il comune destino ha reso i popoli sempre più distanti.

 

In questi mesi varie volte Papa Francesco ha invocato la possibilità opposta, una nuova fratellanza umana per unirsi in un futuro comune. Ma l’umanità è segnata dalla corsa al profitto, dall’accaparramento egoistico di ogni Stato, dal trionfo arrogante e violento dei più forti verso i più deboli, fragili ed emarginati di quello che un tempo si definiva «villaggio globale». Un villaggio dove cresce sempre più la corsa agli armamenti, mentre miliardi di persone soffrono l’impoverimento più drammatico possibile, con la conseguenza che guerre e conflitti non cessano e anzi fioriscono sempre più. La Siria e l’Iraq sono tra i luoghi martiri simbolo delle guerre moderne e delle loro conseguenze. Nei mesi scorsi è stata annunciata la visita di Jorge Maria Bergoglio iniziata oggi. Uno dei quattro Stati in cui è diviso, vittima di persecuzioni e massacri continui da decenni, il popolo kurdo.

 

L’interesse geopolitico, mediatico e politico si era accesso – strumentalmente e ormai chiaro falso – negli anni scorsi. Ma il dramma di questo popolo senza Stato e senza Pace non ha mai suscitato vero interesse, sdegno, attenzione del mondo. Una persecuzione e un massacro che vanno avanti da oltre quarant’anni, perseguitati in Turchia come in Iraq dai tempi di Saddam Hussein.

 

L’Italia scoprì il Kurdistan negli Anni Novanta quando per alcuni mesi vi rimase Ocalan, leader storico kurdo. Letteralmente venduto alla Turchia, alleata NATO, arrestato e da allora confinato in prigione in un’isola dove i suoi diritti umani (e la sua stessa vita è in pericolo) sono costantemente violati dal regime turco. Arrestato Ocalan, risolti i conflitti calcistici di quelle settimane, l’Italia e l’Europa hanno totalmente dimenticato il popolo kurdo. In quegli anni ci fu un solo italiano che veramente si appassionò e condivise la sorte del popolo più perseguitato e massacrato al mondo, Dino Frisullo.

Dino costruì una straordinaria mobilitazione nelle settimane della permanenza in Italia di Ocalan, divenne fratello dei kurdi sul campo, compagno di cammino subendo la loro stessa persecuzione. Fu arrestato e condannato in Turchia, rimase diverse settimane nelle terribili carceri turche. Ma il governo italiano di fatto rimase inerme. Le navi cariche di kurdi fuggiti giunte in Italia con il suo nome sono una testimonianza di quel cammino comune, di quella fratellanza tra il popolo kurdo e Dino Frisullo. Italiano col cuore kurdo e di ogni perseguitato, emarginato, debole, oppresso.

 

Dopo l’annuncio del viaggio apostolico di Papa Francesco in Iraq, in corso da oggi, è partita l’iniziativa di una lettera aperta per chiedergli una visita e attenzione al campo profughi di Makhmour e alla comunità di Sinjar. Vittime di continui attacchi delle milizie armate presenti nella regione e di bombardamenti di droni turchi, oltre che di un feroce embargo del Campo di Makhmour che persiste dall' agosto 2019. In poche settimane l’appello ha raccolto 263 adesioni di cittadini, attivisti, militanti, pacifisti, internazionalisti, appartenenti alla comunità cattolica italiana, sindacalisti, operatori del mondo della cultura, esponenti politici, privati cittadini. Tra loro anche Moni Ovadia, Carlo Petrini, padre Alex Zanotelli, Nando Dalla Chiesa, l’ex magistrato Livio Pepino e l’ex vice presidente del Parlamento europeo Luisa Morgantini.

 

Questo il testo della lettera-appello:

All’attenzione del Santo Padre,

 

nei giorni scorsi  è stata diffusa la notizia di una Sua visita, prevista per il mese di marzo 2021, nelle martoriate terre irachene, quelle terre percorse tutt’oggi da venti di guerra e da violenze indicibili che hanno mandato in frantumi comunità multietniche e multi confessionali, creando fratture profonde nella millenaria storia di convivenza mediorientale.

 

Abbiamo appreso che il Suo viaggio avrà come prima meta la città di Erbil, capitale della regione del Kurdistan iracheno dov’è presente anche un’importante comunità cristiana nel quartiere di Ankawa,  toccherà poi Baghdad, la capitale dell’Iraq e la città di Mosul, città rimasta tristemente nota come la capitale del califfato dell’Isis, ma anche per le persecuzioni contro i cristiani di Quaraqosh, antico insediamento assiro, un tempo il più grande centro della cristianità in Iraq. Quelle terre non possono non farci ricordare la figura di Padre Dall’Oglio, esule a Suleymanya, poi rapito o ucciso in Siria.

 

Santità, noi Le chiediamo che, oltre ad incontrare queste comunità, nell’ambito di un discorso umanitario e di pacificazione, ci sia la possibilità d’incontrare anche i profughi del campo di Makhmour, nella provincia di Mosul, e le comunità yazide di Sinjar, nell’Iraq nord occidentale, al confine con la Siria.

 

Nel campo profughi di Makhmour vivono oggi 14.000 profughi provenienti dalla regione del Botan, dove l’esercito turco, negli anni’90, aveva evacuato con la forza i villaggi di confine, abitati da contadini e pastori, accusati di aiutare i militanti del Pkk.

Questi profughi avevano attraversato le montagne coperte di neve che separano la Turchia dall’Iraq giungendo nella piana di Ninive. In quella traversata morirono 300 persone e circa 600 rimasero ferite da bombe, gelo e mine.

Costretti  a cambiare  per nove volte destinazione, si sono infine accampati in pieno deserto, in un luogo allora denominato “ valle della morte ”; in questo luogo  , hanno ricominciato a vivere, piantando alberi, dissodando terreni, allevando bestiame, aprendo scuole e cooperative. Oggi, Makhmour è una comunità autogestita, caratterizzata da una forte democrazia dal basso e di genere.

Pur tuttavia, i problemi del campo non sono finiti: abbandonata dall’UNHCR, la comunità è sotto embargo dal 2019. Inoltre, i droni turchi hanno bombardato il campo più volte e l’ISIS ha fatto frequenti incursioni armate uccidendo e seminando il terrore tra la popolazione. A questo, si è aggiunta recentemente la pandemia da coronavirus che ha già mietuto le prime vittime.

 

Sinjar è stata teatro di scontri violentissimi tra l’ISIS e le minoranze etniche e religiose presenti nell’area, in particolare quella dei kurdi yazidi, vittime di  un vero e proprio genocidio. Gli uomini e gli anziani sono stati trucidati in massa, mentre donne e bambine sono state ridotte a schiave del sesso e vendute sui mercati di Mosul e Raqqa per cifre tra i 5 e i 20 dollari, mentre i ragazzini sono stati arruolati e indottrinati dai miliziani islamisti come bambini-soldato.

La città, dopo diversi tentativi, è stata riconquistata dai peshmerga e dal Pkk il 13 novembre 2015. Negli anni successivi, sono state rinvenute numerose fosse comuni, piene di corpi con  le teste forate dai proiettili sparati alla nuca delle vittime.

Nel 2018, un’attivista yazida, Nadia Murad, è stata  insignita del Premio Nobel per la pace, dopo essere stata rapita e resa schiava sessuale dai miliziani dell’Isis.

 

Oggi purtroppo, il mondo sembra essersi scordato dei massacri subiti dagli abitanti del campo profughi di Makhmour  e di Sinjar.

 

Noi, firmatari di questa lettera aperta, Le rivolgiamo un accorato appello affinchè il grido sofferente di queste comunità non resti inascoltato.

Le chiediamo di prestare ascolto, nel corso del Suo viaggio pastorale in Iraq , alle sofferenze di queste popolazioni, visitando le loro povere comunità, e comunque  rivolgendo anche a loro un messaggio di pace, di serenità e di speranza nel futuro.

Grazie !

 

 

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