Cinquanta sfumature di Italia

Dall'arancione dei gilet di Pappalardo al nero dei vessilli fascisti: l'Italia è un calderone in cui rabbia ed estremismi si surriscaldano sfruttando malcontento e disagio sociale.

Cinquanta sfumature di Italia
IlGazzettino.it

Sebbene le temperature non siano ancora decollate del tutto, questo principio di estate si prospetta parecchio caldo per l'Italia. È un Paese prostrato quello che si ridesta da una primavera strana, sospesa, trascorsa in lockdown. 

Un Paese un po' intontito e frastornato, scompigliato da una pandemia che ha messo a nudo criticità e incompetenze connaturate. E che, soprattutto, ha tracciato terreno fertile per la rabbia strisciante e fermentante.

Non ha un volto solo la protesta del post-covid, così come non ha un colore solo. È invece policroma, iridescente, caleidoscopica: è l'Italia dei gilet arancioni: sfolgorante, eccessiva, macchiettistica. L'Italia di quelli che immaginano cospirazioni solo per poterci sguazzare dentro, la forza anti-sistema più assetata di sistema degli ultimi tempi. Piazze fluorescenti e incazzate, grottesche all'apparenza e nebulose nella sostanza.

Materiale - forse persino troppo - per registi e cabarettisti a riposo.

Ma questo nostro giugno italiano ha tante sfumature, ciascuna per il suo pezzo di pancia arrabbiata. Non solo l'arancione fuori posto di una farsa ridicola e sconcertante, ma anche il tricolore scucito e stinto delle destre che occupano le piazze. Con le idee in disordine e l'etichetta di finti martiri stampata addosso. Strillano anche loro. Alla deriva autoritaria, al "regime di polizia", allo stallo del Paese.

Sono le piazze della confusione e del vittimismo, ostili al buonsenso e all'etica istituzionale. Avamposti di un'opposizione che si mantiene sui fallimenti degli altri, luoghi in cui il verde leghista cerca di arraffare fino all'ultimo brandello di tricolore, mentre gli altri si avvolgono nella bandiera nella speranza che nessuno li chiami davvero a fornire un contributo.

È il 2 giugno dei repubblicani che abolirebbero il 25 aprile, che festeggiano la Repubblica screditando la Liberazione.

Quando soffia il vento della rabbia e del rancore senza senso, i colori diventano opachi, tristi, spaventosi. Neri, come i vessilli di quei fascisti 2.0 che provano a cavalcare il malcontento generale per fare proseliti e imporre la propria visione. Le immagini che arrivano da Roma parlano di un'Italia dai facili rigurgiti nostalgici. L'estrema destra degli stadi, degli ultras incazzati, che si riversa nelle strade per accrescere il disagio sociale.

Ultras, fascisti e Forza Nuova. Che poi è solo la solita, schifosa forza vecchia. Quella di chi sbraita e insozza e poi lascia gli altri a ripulire. La forza vecchia di quelli che col microfono in mano non hanno nulla da dire e perciò preferiscono picchiare, insultare, pestare. "Giornalista terrorista" è il grido di battaglia di un sabato pomeriggio di guerriglia in uno dei luoghi simbolo della capitale.

Lo stesso giorno in cui un'altra gradazione di nero - quella delle manifestazioni antirazziste degli Stati Uniti, la cui eco è giunta anche in Italia - si impadronisce delle piazze. In maniera pacifica, ordinata, silenziosa. È la protesta di chi chiede giustizia per tutti i George Floyd del mondo. E che pure dovrebbe scuotere le coscienze molli di quelli che esultano ai barconi incendiati e ai migranti annegati. Perché il mondo è un buco piccolo e, se sei un povero disgraziato, muori affogato sotto il ginocchio di un poliziotto o per troppa acqua nei polmoni.

Ve lo ricordate quell'arcobaleno che si stagliava sui balconi di mezza Italia solo qualche settimana fa?
Quei colori si sono appannati, diluiti in un calderone bollente di collera e rancore.

Così le proteste - legittime - dei presepai di Napoli, degli ambulanti di Torino, dei ristoratori di Roma, dei balneari di Sicilia, dei medici della Lombardia e così via, si mischiano alle urla di un Paese in cui rabbia sociale ed estremismi idioti vorrebbero prendere il sopravvento.

Solo per distruggere, fare un po' di casino e lasciare ad altri l'incombenza di rimettere in ordine. 
Ma Gandhi diceva una cosa sacrosanta, che vale la pena di ripetere pari pari, senza retorica: non devi perdere la fiducia nell'umanità. L'umanità è un oceano; se poche gocce sono sporche, l'oceano non diventa sporco.