Come insultare la memoria dei martiri di mafia

Le dichiarazioni del giudice Di Matteo, durante una trasmissione televisiva, riaprono le ferite di una democrazia malata, ostaggio di mafie e interessi sporchi. Dove la memoria di chi è morto combattendo le mafie viene insultata ogni giorno da chi se ne riempie bocche e "tastiere".

Come insultare la memoria dei martiri di mafia
Come insultare la memoria dei martiri di mafia
Come insultare la memoria dei martiri di mafia

Quanto accaduto durante la diretta televisiva della trasmissione di Massimo Giletti su La7 è di una gravità inaudita, il volto scosso del dottor Maresca rappresenta i sentimenti e le sensazioni di tanti di noi. Andrà chiarito, come altri fatti di questi anni a partire dal precedente stop a Gratteri ministro da parte dell’allora presidente della Repubblica Napolitano.

Andrà chiarito come i fatti di queste settimane e il ritorno a casa di tanti boss dal 41bis. Gratteri non è potuto per certe pressioni e certe élite diventare ministro, Di Matteo non può andare al DAP.

È successo, con una comunanza che dovrebbe far riflettere con i desiderata dei boss, anche in queste settimane: alti ululati si sono scatenati quando è stato ipotizzato l’arrivo di Di Matteo o di Maresca al posto di Basentini.

Andrà chiarito e non bastano poche parole e un riferimento a Falcone, se la mafia punta ad ottenere un risultato tutto il resto non conta, bisogna smontare i loro desiderata e dare un segnale forte: se loro vogliono che una cosa non accada quella va fatta immediatamente. Punto.

Le riflessioni da fare sono tante e sul lungo periodo.

"La mafia è un’invenzione dei comunisti e di persone come Danilo Dolci per danneggiare la DC e i siciliani che lavorano", parole attribuite al cardinale di Palermo Ernesto Ruffini nel 1963, dopo la strage di Ciaculli. Fu successivamente dimostrato che il presule non ha mai avuto questo pensiero ed anzi si era espresso in direzione opposta. Ma in quegli anni e nei decenni successivi molti tra avvocati, politici, imprenditori e intellettuali à la carte lo dissero, lo scrissero, lo ribadirono in ogni sede.

Il 25 maggio 1994 nell’aula bunker di Reggio Calabria durante il processo per l’assassinio del giudice Scopelliti Totò Riina disse che il governo (da poche settimane si era insediato il primo governo Berlusconi) «si deve guardare da questi attacchi comunisti» perché «tutta una combriccola» porta «avanti queste cose». Con combriccola il defunto boss, con tutti i suoi segreti, papelli e indicibili accordi, faceva riferimento ai giudici di Palermo come Giancarlo Caselli e ai giornalisti che denunciavano le mafie e raccontavano inchieste e processi.

Nel 2020 continuare a sostenere che le mafie non esistono, che sono un’invenzione dei comunisti e dei professionisti in cerca di carriere appare impossibile. E allora il tiro si è soltanto leggermente modificato: le mafie sono esistite ma ormai sconfitte, non mettono più bombe e quindi non sono più pericolose, la corruzione e le connivenze sono teoremi (parola nella quale vengono impunemente inseriti anche processi e sentenze) di personaggi brutali, senza umanità, assetati di potere e carriere. Una volta il dito era puntato contro i comunisti, oggi contro il «partito dei pm».

I boss e i loro sodali nel tessuto economico e politico esistono, tramano, trafficano e vorrebbero ridurre al silenzio giudici, giornalisti, associazioni e movimenti che si battono contro le mafie.

Un desiderio espresso più volte (platealmente Riina disse in carcere di volere l'omicidio Di Matteo) che si congiunge con certi salotti buoni, con l’alta borghesia che in nome del profitto e dell’economia ogni santo giorno esprime fastidio per le leggi antimafia e considera nemico da abbattere giudici come Di Matteo, Gratteri, Maresca ed altri.

Nelle scorse settimane abbiamo tutti assistito indignati e scioccati alle scarcerazioni facili dal 41bis, alle email arrivate tardi o inviate all’indirizzo sbagliato, a circolari che dicono e non dicono. Alla fine il contestato Basentini ha abbandonato il Dap e sono stati nominati Petralia e Tartaglia. E la reazione di certi circoli, ancora una volta in una perfetta sintonia con mafiosi e loro amici, è stata di fastidio, di contrasto: per lor signori la lotta senza tregua contro le mafie, esprimere allarmi per la recrudescenza e la penetrazione delle mafie in una società fiaccata e devastata dall’emergenza sanitaria sono gravi colpe. 

Sta accadendo da anni con Di Matteo e Gratteri, attaccato nei mesi scorsi con una campagna di fango e menzogne che non sta in piedi. Eppure i social, i giornali e le istituzioni pullulano di feroci attacchi contro di lui, di campagne di delegittimazione e odio contro di lui. E così, in nome di una presunta umanità e di uno strumentale e ancor più presunto garantismo Gratteri è diventato un carnefice, un inventore di falsità contro la brava e onesta gente, un nemico della Calabria fino agli insulti, agli auguri di morte e tanto altro come abbiamo documentato. Notizia ripresa da tanti, che ha suscitato una grande campagna di solidarietà a lui e al giudice anti camorra Catello Maresca, ma a cui i sacri Palazzi e la grande stampa main stream non hanno dedicato neanche un secondo.

E queste catene stanno continuando, giorno dopo giorno, con vette indecenti e vergognose.

Noi crediamo veramente e ogni giorno che la mafia è una valanga di merda, che i colletti bianchi e le mafie uccidono la democrazia e la libertà, rubano agli ultimi e ai cittadini veramente onesti, agli impoveriti e ai più deboli.

E chi li sostiene, chi tace, chi minimizza o gira la testa dall’altro lato è complice, connivente, rappresentano una vergogna che non smetteremo mai di denunciare.

Falcone venne isolato e delegittimato, venne accusato di nascondere (qualcuno nelle scorse ore ha paragonato Di Matteo al vecchio Csm travolto dalle inchieste accusandolo di essere uno che tace e si nasconde dietro silenzi) fatti e di voler far carriera.

Le stesse medesime accuse false che quotidianamente leggiamo e ascoltiamo contro Gratteri, Di Matteo, prima ancora Caselli e Ingroia. Eppure li vedremo in prima fila nelle cerimonie pubbliche o col dito compulsivo sui social.

Farisei moderni, se ne riempiono le bocche e le tastiere ma quotidianamente li uccidono ancora, ne infangano e insultano la memoria.