Costruire rendendo visibili gli invisibili e pari i dispari

Sotto le macerie della pandemia e della ristrutturazione della società sempre più milioni rimangono schiacciati, devastati, silenziati.

Costruire rendendo visibili gli invisibili e pari i dispari

Siamo alle soglie della stagione fredda, i rigori di quel che varie volte ha determinato la Storia consegnandosi alla memoria come «Generale Inverno» bussa alle nostre porte. Sui libri è il Generale che ha deciso battaglie, sorti di guerre e nazioni. Guerra, un anno e mezzo all’irrompere della pandemia nelle nostre vite fu una delle metafore più diffuse. La memoria è labile, sempre più passeggera e ormai quei mesi appaiono così lontani da essere caduti nell’oblio. Erano le settimane dell’angoscia e della speranza, del chiudersi in casa e della convinzione che tutto sarebbe andato bene. Perché si era più forti, perché oltre le mura in cemento si sono innalzate come vessilli altre mura. Quelle di uno stile di vita considerato inscalfibile, quelle di un popolo che si credeva più forte di ogni avversità, quelle di chi pensava che alla fine tutto è passeggero perché non ha mai considerato nulla che possa stravolgere per sempre.

In guerra vincono i più forti, i più arroganti, i più armati, la guerra è da sempre la sconfitta dell’umanità e della ragione, del cuore e della solidarietà. La guerra spezza e spazza tutto quello che non è trionfale, che non grida col fragore delle armi e della forza più bruta. In guerra quel che è debole, fragile, che ha vitale bisogno di chi cammina accanto a loro perché non è autosufficiente, chi non è arrogante e forte viene automaticamente scartato, gettato, relegato ai margini, abbandonato. Considerato superfluo e, addirittura, dannoso per le sorti magnifiche e progressive. Si, forse siamo in guerra, una guerra non dichiarata e quindi ancora più vigliacca, disumana, ingiusta. Una guerra i cui feriti e morti, le cui vittime, scompaiono ancor di più che durante i grandi conflitti consegnati ai libri di Storia. Siamo nelle settimane in cui c’è chi sogna il post pandemia, l’uscita dall’emergenza sanitaria, il ritorno a quando si era belli e forti, invincibili e inscalfibili. E siamo alle soglie di un nuovo «Generale Inverno» che, come ogni anno, solca il calendario. Un incrocio che racconta la società ai tempi della pandemia, le macerie sociali e culturali di quest’anno e mezzo ma che affondano le radici in una guerra e un determinismo sociale molto più profondi e molto più antichi.

Il freddo, i rigori della stagione più rigida, portano a restare a casa, a proteggersi dentro mura che si considerano nido protettivo, culla della propria intimità e della propria vita. Restare a casa esattamente come un anno e mezzo fa. E intanto si discute di come tornare alla «vita normale», dal caffè al bar al ristorante, dai luoghi di ritrovo al lavoro, quasi sterminato potrebbe apparire l’elenco. E si scatenano conflitti, discussioni infinite, tensioni sociali. Perché ogni ulteriore restrizione, ogni dover attendere ancora per il ripristino di quelli che consideriamo diritti inscalfibili vengono sentiti come soprusi, ingiusti, violenze. Esattamente come un anno ci sarebbero dei rimossi, dei silenzi, degli insoluti considerati così banali, determinati, squallidamente normali, che non vengono neanche posti, su cui cala il disinteresse più egoistico e vergognoso per una società che si definisca civile. Restare a casa ma se la casa non c’è o è un luogo di pericolo, violenze, abusi, botte, soprusi, rischi per la vita? Tornare alla vita sociale, dal caffè al bar al cinema a tanto altro, e al lavoro ma se si sopravvive fuori da questo mondo? Se il lavoro non c’è (più) o non ci si può permettere tutto questo? Se anche il costo di un cappuccino mattutino o di un film al cinema è un lusso che non ci si può permettere? Sono solo alcune delle situazioni più terribili e devastanti che esistono accanto a noi, quelle degli emarginati della società e dei più fragili, delle periferie cittadine ed esistenziali, degli impoveriti e dei senza fissa dimora, delle donne violentate e sfruttate, delle schiave della tratta e degli schiavi dell’economia del profitto ad ogni costo, degli ammalati di uno sviluppo che non sviluppa nulla se non i portafogli di pochi e il saccheggio, la devastazione, l’avvelenamento per troppi.

Non ci potrà essere nessuna normalità, nessun diritto, nessun futuro per una società dove le mura d’acciaio del grande gendarme escludono sempre più, aumentano le disuguaglianze e scartano sempre più, se milioni e milioni restano fuori dalle ztl del progresso e dell’economia, del profitto e della imperitura guerra sociale. È stata una delle direttrici cardini, forse la principale, della mobilitazione che ha portato in questo mese di Ottobre al ritorno in piazza la Rete dei Numeri Pari (http://www.numeripari.org/ ) in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della povertà. Una giornata in cui è stato ribadito concretamente, mobilitandosi realmente, che non ci si arrende alle ingiustizie e all’emarginazione, all’impoverimento crescente e alla cancellazione dei diritti. Una lunga catena di eventi che ha coinvolto tanta parte del Paese accanto ai lavoratori licenziati con un sms, a chi vede il diritto al lavoro calpestato, a chi subisce i soprusi e le violenze delle mafie e a chi non vuole arrendersi al dominio di pochi e delle organizzazioni criminali, a tutte le vittime delle macerie di una società che prima e durante la pandemia svela la sua iniqua, disumana, intollerante, violenta essenza. E se così resterà dopo la pandemia non possiamo saperlo oggi. Ma possiamo agire, concretamente, realmente, in prima persona per cercare di costruire un’alternativa, per impegnarci che possa non accadere. Una mobilitazione che a Roma si è incrociata ed ha sostenuto la manifestazione antifascista organizzata dai sindacati confederali. A testimonianza del perverso, antidemocratico, violento, eversivo, pericoloso avanzare congiunto di mafie e fascismi. Quei fascismi che, un secolo fa iniziando proprio dall'assalto alle Camere del Lavoro, e nei decenni scorsi da sempre sono alleati, sostengono, rappresentano e convivono con le peggiori organizzazioni criminali mafiose, che tentano di sfruttare sulle spalle dei più deboli e degli ultimi ogni crisi democratica, ogni fragilità sociale. Per i più abietti, antidemocratici e iniqui fini. 

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