Crisi economica, le mafie possono rilanciarsi agendo a vari livelli

Pericoli eversivi e sfruttamento dell’emergenza economica da parte delle mafie. L’intervento di Umberto Santino del Centro Siciliano di Documentazione Giuseppe Impastato Onlus.

Crisi economica, le mafie possono rilanciarsi agendo a vari livelli
Umberto Santino
Crisi economica, le mafie possono rilanciarsi agendo a vari livelli
Crisi economica, le mafie possono rilanciarsi agendo a vari livelli

Nel caos politico di queste settimane e nelle bufere che rischiano di travolgere la magistratura (dal DAP al CSM) stanno avanzando anche proposte che incidono pesantemente sulla lotta alle mafie: in nome dello «sviluppo economico», della «ripresa» e della sburocratizzazione vari partiti politici, sostenuti dalle lobby industriali, hanno proposto la cancellazione di leggi come il codice antimafia, quello degli appalti e altre leggi per la tutela dell’ambiente.

In una situazione sociale che rischia di essere sempre più esplosiva e con le mafie pronte a sfruttare la disperazione e la crisi economica aumentano sempre più gli indicatori e gli allarmi di come le organizzazioni mafiose stiano sfruttando immense disponibilità di denaro per prestiti usurai, proporre un welfare criminale parallelo e accaparrarsi attività economiche ridotte sul lastrico.  

In merito a ciò abbiamo chiesto una riflessione ad Umberto Santino, fondatore e presidente del Centro Siciliano di Documentazione Giuseppe Impastato Onlus.

Politica e «opinionisti» più o meno improbabili affermano sempre più che mafie e corruzione non sono pericolose come un tempo e che le mafie sono sconfitte o quasi. Eppure dati, fatti e atti oggettivi documentano il contrario. Quale spiegazione potremmo dare a questo? Quanto può essere pericoloso questo? Quanto favoriscono le mafie? Sono istanze solo ideologiche o determinati ambienti mafiosi stanno manovrando e soffiando dietro le quinte?

Alla radice di questi comportamenti c’è un’idea di mafia basata sullo stereotipo dell’emergenza: la mafia esiste quando spara, è un fenomeno di cui preoccuparsi quando c’è la montagna di morti, diventa «questione nazionale» quando uccide Dalla Chiesa, Falcone e Borsellino. E dato che questi delitti hanno avuto effetti boomerang, con la legge antimafia, i processi e le condanne, e la mafia, parlo soprattutto di quella siciliana, non spara più, vuol dire o che è stata sconfitta o si è inabissata. C’è poi la tesi secondo cui, una volta archiviata la violenza, la mafia abbia subito una sorta di mutazione antropologica: è diventata un’agenzia di affari e una lobby fondata sulla corruzione. La corruzione non è una novità e la violenza, anche se non agita, ma eventuale e potenziale, rimane un aspetto costitutivo del fenomeno mafioso. Questo problema si pone anche per le cosiddette «piccole mafie», per esempio per Mafia capitale, su cui c’è una giurisprudenza oscillante: è mafia o è solo un’associazione a delinquere specializzata in pratiche corruttive? A mio avviso può rientrare nella fattispecie dell’associazione di tipo mafioso, anche perché è indubitabile la capacità intimidatoria di un personaggio come Massimo Carminati e dalle intercettazioni risulta che c’è un uso continuo di minacce che riuscivano a incutere paura e condizionavano i comportamenti.

Il sociologo Palmisano in un’intervista da noi pubblicata ha lanciato l’allarme su quella che ha definito «carica eversiva» di settori sociali, politici ed imprenditoriali così come di organizzazioni mafiose a partire dalla ‘ndrangheta che puntano a farsi definitivamente Stato. Le mafie in che modo possono soffiare sul fuoco della disperazione sociale e quale pericolo posso rappresentare per la società e la democrazia?

Sulle rivolte nelle carceri finora non si è fatta chiarezza fino in fondo. È sicuro che i morti sono stati per overdose? A Palermo il 27 marzo scorso alcune persone in un supermercato si rifiutavano di pagare alla cassa e in quei giorni sui social c’è stato un gruppo, «Rivoluzione nazionale», che minacciava rivolte popolari. Che la mafia, le mafie, cerchino di cavalcare il disagio sociale non è un fatto nuovo. Hanno tentato di farlo con le lotte contadine, dai Fasci siciliani a quelle del secondo dopoguerra, e non ci sono riusciti perché il movimento era in grado di esercitare una vigilanza, ma qualcuno dei sindacalisti uccisi può essere caduto perché si opponeva all’ingresso di mafiosi nelle cooperative contadine. Ora cavalcheranno le occasioni offerte dalla pandemia.

Bisogna intendersi su cosa significa «farsi Stato». Nella mia analisi la mafia siciliana è soggetto politico in duplice senso: ha un suo ordinamento, un suo sistema di sanzioni e i mezzi per applicarle: l’omicidio non è un reato ma è la pena di morte per chi trasgredisce i suoi voleri o contrasta i suoi interessi. Questo vuol dire che Cosa nostra non riconosce il monopolio statale della forza ed esercita una sua signoria territoriale sulle attività e sulle relazioni sociali e personali: cioè, si pone come stato. Per un altro verso partecipa alla formazione delle rappresentanze, lucra su appalti e servizi pubblici: quindi ha un piede fuori e un altro dentro. Si può dire la stessa cosa per la ‘ndrangheta e anche per la camorra, nonostante la sua permanente frammentazione. Alla dualità delle mafie corrisponde una dualità dello Stato, diviso tra repressione e interazione. Questo è il quadro che abbiamo in Italia, una sorta di «sovranità con-divisa» mentre nei cosiddetti Stati-mafia i poteri istituzionali coincidono con quelli criminali. Questa precisazione teorica non ha niente da spartire con una visione del tipo la Piovra universale, onnipresente e onnipotente, che sarebbe il più grosso regalo che si può fare alle mafie, scoraggiando ogni forma di lotta, dato che si dà per scontato che sono invincibili.

Nel nostro paese eversori sono i gruppi esplicitamente fascisti, che non vengono sciolti, eversore è Salvini che su una spiaggia in mutande chiede i pieni poteri, e per fortuna si è buttato la zappa sui piedi; eversori sono i sovranisti, i teorici e praticanti della strategia della paura che vedono nei migranti gli invasori e speravano che il virus l’avessero portato i poveri «clandestini», mentre è arrivato in aereo in prima classe. Viviamo, a livello mondiale, una crisi della democrazia e delle sue forme storiche, che è anche una crisi di civiltà, di cui le mafie sono una delle espressioni. Richiamo quello che dicevo sul capitalismo finanziario.

Come potrebbero sfruttare le mafie l’emergenza economica dopo la pandemia? Quali rischi sta correndo l’Italia?

Le mafie possono rilanciare il loro ruolo agendo a vari livelli: accaparrarsi il denaro pubblico previsto per le opere in programma, fungere da agenzia di credito ovviamente usuraio per le aziende in crisi e appropriarsene, gestire una sorta di welfare per gli strati marginali ulteriormente impoveriti per effetto della crisi. Tutto questo si spiega con la grande liquidità di cui godono, al cui centro ci sono i traffici internazionali, in primo luogo quello di droghe, e si pone il problema del proibizionismo, e per la capillarità della loro presenza sul territorio. Per fronteggiare questo rischio bisogna controllare rigidamente gli appalti e le forniture, sostenere le aziende e la attività economiche, assicurare un welfare istituzionale all’interno di un progetto complessivo di liberazione dal bisogno. Non so fino a che punto ci sia la volontà politica di farlo. Il grande problema è il rafforzamento della sanità pubblica, eliminando o riducendo drasticamente il business della sanità privata, che è stato un terreno fertile per gli affari delle mafie.

Si dice che la pandemia può farci cambiare, ma per tanti il ritorno alla «normalità» significa considerarla una parentesi e riprendere la vita di prima. Ma è proprio la «normalità» che produce la pandemia, l’inquinamento, i mutamenti climatici, lo spreco di risorse e lo stravolgimento della natura. E di fronte a questa catastrofe permanente ci sono personaggi al vertice del potere mondiale che incarnano gli «spiriti animali» di un capitalismo criminale.