Dino e Alex, la lettura del mondo di vittime e piccoli
Meno di 30 giorni separano gli anniversari di Dino Frisullo e Alexander Langer, profondi osservatori e militanti dell’umanità lacerata, emarginata, violentata, schiacciata, assassinata.
Chi si ricorderà più di Satman Singh tra qualche settimana? La sua memoria, l’indignazione, proseguono grazie a manifestazioni, denunce, alla voce di militanti e comunità che da anni lottano contro un sistema di sfruttamento e schiavismo. Altrimenti la sua memoria sarebbe già stata consegnata ad un passato che non passa ma viene confinato, ripetutamente, nell’oblìo dell’etere televisivo, mediatico, sociale.
Soumaila Sacko, Paola Clemente, Abdil Belhakdim, Abd ElSalam, Mohammed Abdullah, il bracciante il cui nome non fu rivelato che fu «Licenziato, bastonato e gettato in un fosso per aver chiesto di lavorare con la mascherina» (è successo proprio a Latina, 3 anni fa in questo periodo ripubblicammo la denuncia di Marco Omizzolo https://www.wordnews.it/licenziato-bastonato-e-gettato-in-un-fosso-per-aver-chiesto-di-lavorare-con-la-mascherina ), Camara Fantamadi, Antonio Lombisano, Dembele Moussa, Moussa Ba, Becky Moses, Suruwa Jaiteh, Dominic Man Addiah, Lilian Solomon, Adelina Adelma Sejdini, Marcus, Sandrine Bakayoko, Alexandra, Antonia, Blessing, Carmen, Evelyn, Franca, Maroella, Nike Favour, sono solo alcune delle vittime dello schiavismo, alcune delle vittime dello sfruttamento più disumano possibile.
L’elenco delle vittime, uccise dalla schiavitù o dai suo bracci armati (dalla propaganda, dalla guerra sociale, dalla vigliaccheria di chi si schiera sempre con la classe oppressore e perseguita gli oppressi), è sterminato e risale la storia degli ultimi decenni italiani da Rosarno a Castel Volturno su su fino al Serraino Vulpitta arrivando fino a Jerry Maslo.
Gli ultimi decenni italici raccontano (o, meglio, racconterebbero se non si vivesse immersi nel servilismo più spietato e immondo) della guerra alle vittime, della persecuzione di chi è incatenato a schiavismo, sfruttamento mafioso, sistemi criminali di ogni livello. Mentre i padroni, si esistono ancora nel 2024, si arricchiscono, manovrano la politica e i media, armano contro gli ultimi, gli emarginati, le vittime, contro chi viene sfruttato, schiavizzato, i cui diritti vengono calpestati e cancellati ogni giorno. Quest’impasto disumano e mortale, capitalista e immondo, emerge anche dalla storia di alcuni capitoli dell’immigrazione da noi riportati nelle scorse settimane, dalla “holding degli schiavisti” denunciata da Dino Frisullo nel 1996 al regime mafioso libico sostenuto da Italia ed Europa passando per lager di ogni nome e tipologia.
Dino Frisullo ci ha lasciato il 5 giugno di ventuno anni fa. Meno di un mese dopo, il 3 luglio, è l’anniversario della scomparsa di Alexander Langer. Dino capace di finire in ospedale perché nella militanza più appassionata e frenetica si era “dimenticato” persino di mangiare e bere. Alexander il cui cuore si ruppe per una generazione distrutta da un bombardamento, unico a sentire il grido di dolore e disperazione e a sentire la “colpa” che di tutti era in quel Parlamento Europeo tranne che sua. Dino capace di alzarsi a notte fonda per andare in soccorso di chi stava subendo un’ingiustizia della burocrazia, Alex che si dannava notte e giorno senza mai fermarsi perché le grida delle vittime lo laceravano dentro e gli toglievano ogni pace.
Dino e Alex così apparentemente diversi e così figli dell’umanità più vera e profonda, della militanza che andava oltre ogni barriera, che era la vita stessa più della vita, che non conoscevano lineari “categorie sociali” ma le vite e le persone, che fosse la Bosnia o il Kurdistan, le periferie delle nostre città e i luoghi dell’emarginazione nel centro delle città. Conoscevano i volti, i nomi, le persone. Alì che veniva dal mare non era una finzione letteraria, dietro quel nome c’erano persone che Dino ha conosciuto, amato, abbracciato, con cui ha lottato e vissuto. Quei ragazzi uccisi dalle bombe mentre stavano festeggiando la maturità non erano un titolo di giornale per Alexander, erano volti e vite, cuori e nomi scolpiti nel suo cuore.
Per chi soffre, per ultimi e penultimi, per gli emarginati, siamo di fronte un mondo sempre più ingiusto, iniquo, classista, disumano.
Sciascia descrisse la linea della palma che avanzava risalendo l’Italia. Oggi, in un Paese senza memoria e sempre più vigliacco e violento, in questo mondo terribile e drammatico, la linea della palma che avanza è quello del sud del mondo oppresso. Dallo schiavismo ad una “giustizia” sempre più classista, con carceri sempre più non luoghi in cui si muore mentre non esiste umanità e diritti, alla fu sanità pubblica in cui si sopravvive (chi ci riesce) come in trincea con persino farmaci salvavita negati se non puoi pagarli sempre più lautamente, l’elenco potrebbe essere infinito ne è drammatica conferma.
Alexander ha deciso il commiato da questo mondo ventinove anni fa, il cammino terreno di Dino si è interrotto ventuno anni fa. Non sappiamo cosa direbbero oggi e non sarebbe giusto da parte di nessuno “farli parlare”.
Ma sono più che certi l’urgenza, l’affanno, la necessità, il dovere di militanza e lotta, di non arrenderci e anzi gridare ancora più forte, costruire resistenza ed esistenza, non mollare come non hanno mollato chi ci ha preceduto e i milioni, miliardi di oppressi, perseguitati, emarginati, vittime – lo sguardo che Dino ci insegnò, l’ascolto dei piccoli che Alexander gridò fosse doveroso – è necessario un cammino umano e politico che permetta di resistere e vivere quando si sente che il sole si sta spegnendo. Oggi serve più di ieri esserci, se la vita si sta bruciando ancor di più non si può perder tempo, è necessario schierarsi, per gli ultimi e le vittime.
«Per riprendere il filo della lettura del mondo c’è un solo modo: mettersi dalla parte delle vittime. Guardare il mondo, anche il nostro, con i loro occhi. Con gli occhi dei profughi, dei discriminati, degli affamati. Ma questo non è possibile se, anche solo per un attimo, non si condivide una parte della loro vita» (Dino Frisullo)
«Chi dispone della grande comunicazione, può irradiare i suoi messaggi, può sedurre e conquistare le masse, può trasformare l'immagine in realtà. (Per sapere come reagiscono i destinatari, bastano i sondaggi - e forse non interessa neanche troppo.) Siamo alla moltiplicazione senza qualità, al messaggio senza verità. Chi invece non dispone dei mezzi di amplificazione del suo messaggio e della sua immagine, si ritrova con la propria debole e magari qualificatissima voce che circola in un ambito in cui esiste reciprocità, possibilità di interrogare e di interrompere, facoltà di inter-agire, costruzione di un discorso e di una sensibilità comune tra persone: qualità senza moltiplicazione, verità senza ascolto. Una marginalità ricca di preziose risorse, ma probabilmente destinata a soccombere, se obbligata alla competizione.
Persino il grido, persino la protesta, la richiesta, la testimonianza corale restano inascoltate senza moltiplicazione. Ecco: tra le richieste dei "piccoli della terra" ai cosiddetti Grandi, forse bisogna mettere anche questa: silenziate per un po', per favore, i vostri altoparlanti, moderate le vostre televisioni, limitate le vostre pubblicità, contenete le vostre telenovelas! Date spazio e voce, ospitalità e megafono alle molte voci dei piccoli, alle voci del sud, alle voci di coloro che non scelgono di gridare o che non hanno più fiato per farlo. Abbiamo bisogno che le voci dei piccoli ricevano cittadinanza e possibilità di ascolto non sfigurate dalla grande comunicazione, e che il fragore delle voci dei Grandi lasci almeno degli interstizi: spazi che non possono essere comperati o occupati dai potenti, che non possano essere venduti alla finzione, ma solo essere riempiti da chi è piccolo e radicato nella quotidiana realtà dei piccoli» (Alexander Langer)