Diritti costituzionali o speculativi?
Importante monito da parte del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con la frase:
“Ma il giudizio dei mercati sulla credibilità è opinabile”.
Vi siete mai chiesti su quale base vengono prese alcune scelte sui diritti garantiti dalla nostra costituzione?
Può mai influire il giudizio dei mercati su questi?
Dal 2011 con l’insediamento del governo Monti sono entrati nelle case degli italiani dei termini legati al mondo finanziario che hanno cambiato il nostro modo di vedere l’economia pubblica. Il più famoso fu lo “spread”, che per non scendere in tecnicismi noiosi rappresenta una differenza, in questo caso di rendimento tra due titoli di stato, quello italiano BTP a 10 anni verso quello tedesco BUND per lo stesso periodo. La Germania è un riferimento in quanto considerata la potenza economica più forte all’interno dell’UE, soprattutto negli in cui furono stabiliti questi indicatori.
Succede però che in nome del valore dello spread abbiamo subito delle scelte che hanno mortificato i diritti costituzionali, tra questi la sanità, il diritto all’istruzione, alle misure sociali e alla libertà d’impresa. I vari tagli subiti dal 92 ad oggi ma soprattutto dal 2011 sono stati valutati in base alle valutazioni che i mercati facevano sulla salute dell’Italia, purtroppo ignorando la nostra carta costituzionale.
Sapete quante vite e quanti sacrifici sono stati fatti per concepire la nostra costituzione? Possiamo usurparla per delle scelte di speculazione privata?
Dietro tutto questo c’è il sistema di acquisto dei titoli degli stati membri dell’UE, la scelta chiaramente va verso le nazioni con rating migliore, questo meccanismo valuta anche la solidità di uno stato soprattutto nell’assolvimento dei propri doveri verso il debito pubblico. Argomento che merita un approfondimento, che faremo in seguito. In funzione di queste valutazioni si è scelto di “tagliare”, di fare la “spending review”, purtroppo a danno di tutte le fasce più deboli, anche il sistema statale ha ceduto importanti servizi al pubblico.
Le nostre economie potranno reggere ancora questo sistema?
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