Calabria ed Emilia Romagna, il silenzio sulla ‘ndrangheta

Sono passate le elezioni regionali in Emilia Romagna e Calabria dopo una campagna elettorale in cui i protagonisti hanno avuto tempo per parlare di tutto. Perché, nonostante nelle due regioni, è documentata un’ampia attività delle ‘ndrine con forti condizionamenti del mondo economico e politico, sulla ‘ndrangheta c’è stato un silenzio quasi totale.

Calabria ed Emilia Romagna, il silenzio sulla ‘ndrangheta
Fonte, Movimento Agende Rosse Modena, sito web e pagina facebook sul processo Aemilia

«Le zone grigie rappresentano l'aspetto che rafforza sempre più le mafie, quella borghesia che sostiene le mafie e che le fa crescere. Questo fa si che le mafie riescano ad infiltrarsi nell'economia e a stringere legami con la politica» ha denunciato il Procuratore Nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho durante un convegno organizzato dall’Università degli Studi di Foggia il 27 gennaio 2020, parole riferite in maniera particolare alle mafie foggiane ma che descrivono plasticamente l’attuale modus operandi di tutte le grandi mafie in Italia.

Il giorno prima si sono svolte in Emilia Romagna e Calabria le elezioni regionali. Durante le campagne elettorali, nelle ore del voto e anche nel diluvio di analisi post voto, abbiamo letto e ascoltato di tutto e ogni possibile argomento di valenza locale, nazionale e anche internazionale è stato toccato. Tutto o quasi. Perché, tranne il presidente della commissione antimafia Morra e ben pochi altri, le parole mafie e ‘ndrangheta non sono mai entrate nelle analisi. Non sono mai state citate nei comizi. Nessuna riflessione sulla loro presenza ha occupato i talk show televisivi o le pagine dei grandi quotidiani. Un silenzio identico a quello calato sugli arresti della maxi operazione Rinascita – Scott coordinata da Nicola Gratteri. In queste settimane migliaia di cittadini sono scesi in piazza, in tutta Italia, a fianco del procuratore di Catanzaro, nei giorni successivi all’operazione è stata partecipatissima la marcia organizzata da Libera, il 23 gennaio è stato reso pubblico il rafforzamento della scorta al giudice contro cui sono sempre più alte le minacce di morte (tanto da doverlo portare anche a non partecipare più ad incontri pubblici). In queste settimane sono arrivati attacchi da colleghi, politici (tra cui la moglie di uno degli indagati, il PD Nicola Adamo, che due giorni dopo le elezioni è scesa in piazza con Forza Italia e altri contro la riforma della prescrizione) e giornalisti contro lo stesso Gratteri, dovrebbe sconcertare ed invece appare normale.

Rinascita Scott ha disarticolato un’enorme organizzazione dove si intrecciavano ‘ndranghetisti, imprenditori, politici e appartenenti a logge massoniche, così potente che il blitz è stato anticipato di 24 ore per fughe di notizie.

Sono passati quasi 36 anni da quando il prof. Giuseppe D’Urso, per la prima volta, denunciò e analizzò quella che definì massomafie. Era il periodo in cui Giuseppe Fava denunciava in televisione, da Enzo Biagi, che i mafiosi stanno al vertice della nazione, ma sembrano passati invano. O quasi. Certi argomenti subiscono una censura di regime, non interessano ai galoppini della polis, a coloro che hanno in mano le leve dell’interesse pubblico o presunto tale.

La gravità della situazione la descrive perfettamente lo stesso Gratteri in un’intervista televisiva dello scorso 8 gennaio: «Negli ultimi 20 anni il rapporto si è capovolto, 20-25 anni fa erano gli ‘ndranghetisti che cercavano i politici, oggi sono i politici che cercano gli ‘ndranghetisti per avere pacchetti di voti in cambio di appalti. Oggi la 'ndrangheta è più forte e credibile rispetto alla politica. I capi mafia hanno, quindi, pacchetti di voti che spostati a destra o sinistra determineranno i sindaci e determineranno anche le cogestioni della cosa politica. E capita che sia proprio la 'ndrangheta a nominare il candidato sindaco».

Rinascita Scott è stata solo la più eclatante di varie notizie che, anche in queste ultime settimane, hanno interessato la ‘ndrangheta e le sue ramificazioni nelle istituzioni e nella società. Elencarle tutte è praticamente impossibile e quindi ne riporteremo solo alcune.

9 gennaio 2020: la DDA di Catanzaro ha chiesto il rinvio a giudizio per 35 persone coinvolte nell’operazione Last Generation che ha colpito il narcotraffico, legato alla cosca Gallace, nel territorio di Soverato e che arrivava fino a Milano.

15 gennaio 2020: operazione Thomas contro massoneria e 'ndrangheta, arrestato un manager bancario, un cardiologo del policlinico Gemelli di Roma e un imprenditore di Cutrò, informazioni di garanzia sono state recapitate anche a  Nicolino Grande Aracri e all’ex vice presidente della Regione Calabria Nicola Adamo (tra i coinvolti già nell’operazione Rinascita Scott).

23 gennaio 2020: Piana stupefacente, emesse ordinanze di custodia cautelare nei confronti di 16 persone ritenute responsabili, a vario titolo ed in concorso tra loro, di coltivazione, detenzione, vendita, acquisto e cessione di sostanze stupefacenti, acquisto, detenzione illegale e porto in luogo pubblico di armi da guerra e comuni da sparo e ricettazione.

25 gennaio 2020: sono state depositate le motivazioni della sentenza del gup di Reggio Calabria al processo Mandamento ionico, 35 condanne e la conferma dei risultati di un’inchiesta che ha documentato quanto accadeva al vertice coordinato e organizzato – chiamato Provincia - delle varie ‘ndrine.

26 gennaio 2020, il giorno del voto: cinque condannati del processo relativo all’inchiesta Costa pulita contro i clan di Vibo Valentia vengono scarcerati per decorrenza del termine massimo di fase in assenza della celebrazione (e quindi pronuncia) del giudizio di appello, un anno e mezzo dopo le condanne le motivazioni della sentenza di primo grado non sono state ancora depositate.

Su forza, capacità di radicamento e infiltrazione in ogni settore delle istituzioni e del mondo economico e affermazione a livello anche mondiale della ‘ndrangheta ampia analisi è contenuta nell’ultimo rapporto al Parlamento della DIA. Nel rapporto (primo semestre 2018), con esplicito riferimento al processo Aemilia, la DIA aveva già segnalato che la ‘ndrangheta adotta «un approccio marcatamente imprenditoriale, prediligendo, tra le proprie direttrici operative, l’infiltrazione del tessuto economico-produttivo e, in taluni casi, del mondo politico-amministrativo, lasciando così spazio ad un’aggressione del territorio non militare, ma orientata alla corruttela e alla ricerca della connivenza. Tale modello operativo si è agevolmente prestato a consolidare un sistema integrato di imprese, appalti ed affari, che ha costituito l’humus sul quale avviare le attività di riciclaggio e di reinvestimento delle risorse illecitamente acquisite». Un allarme su queste dinamiche è stato lanciato da Roberto Tartaglia in un’intervista dello scorso 22 dicembre al Fatto Quotidiano: «Le mafie meridionali oggi migrano verso i territori dove la ricchezza, la produzione, gli appalti sono più consistenti e proficui; e, come ha scritto anche la Dia nella sua ultima relazione del 2019, gli 'anticorpi' non stanno funzionando come dovrebbero, perché al Nord è ancora forte la tentazione di minimizzare, è ancora modesto l’allarme sociale» .   

Il 31 ottobre 2018 è stata emessa la sentenza della corte d’assise di Reggio Emilia del processo Aemilia: 1200 anni di carcere, 33 condannati per associazione di stampo mafioso tra cui Nicolino Grande Aracri all’ergastolo. Il 9 febbraio 2020 si svolgerà la prima udienza del processo di appello. E’ questo il più importante e vasto processo contro la presenza della ‘ndrangheta in Reggio Emilia ma non l’unico. Nel luglio scorso l’operazione Grimilde vide al centro Francesco Grande Aracri (fratello di Nicola) che aveva profondi legami con esponenti politici di Brescello, nel 2016 primo comune (a cui poi sono succeduti altri) commissariato per infiltrazioni mafiose in Emilia Romagna. «Un’operazione dalla portata storica». ha spiegato Sabrina Natali del gruppo Agende Rosse di Modena, «che porterà al più grande maxi-processo per mafia al nord» scattata nella notte tra il 28 e il 29 gennaio 2015, che ha portato all’arresto di 240 persone tra Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte, Veneto, Calabria e Sicilia e che ha ricostruito una fitta rete di intrecci e complicità tra politica, imprenditori, ‘ndranghetisti così complessa che lo stesso gruppo di Modena delle Agende Rosse per seguirla e documentarla ha realizzato un sito web https://www.processoaemilia.com/  e una pagina facebook https://www.facebook.com/processoaemilia/ .

Lo stesso gruppo locale del movimento fondato da Salvatore Borsellino, nell’autunno scorso, ha acceso ripetutamente i riflettori su una delle tante vicende collegate al processo Aemilia e che coinvolge l’ex ministro Carlo Giovanardi nell’ambito di Traditori dello Stato, uno dei filoni di Aemilia che vede al centro le accuse di rivelazione di segreti, minaccia ai corpi dello Stato, false informazioni al pubblico ministero e favoreggiamento (inizialmente con l’aggravante mafiosa, caduta in dibattimento il 20 gennaio di quest’anno). Su Giovanardi la giunta delle immunità parlamentari deve decidere se concedere l’utilizzo di intercettazioni telefoniche a suo carico dell’ex senatore o far scattare l’immunità parlamentare. Il 13 novembre scorso il voto unanime della Giunta ha deciso di rinviare la decisione per richiedere un’integrazione istruttoria all’Autorità Giudiziaria.