“EXCERPTA” DI MARIANGELA CALABRESE ENTRA NEL PALAZZO
La provincia di Frosinone compie gli anni. Si fa festa con l'Arte. Acquisita l'opera “EXCERPTA” di Mariangela Calabrese.
Nell’ambito delle celebrazioni dei novantatre anni dalla nascita della Provincia di Frosinone un’opera rilevante di Mariangela Calabrese è stata installata permanentemente negli spazi espositivi del Palazzo. L’opera è un “resoconto” struggente della memoria intima e collettiva del territorio. L’artista sembra scavare nella fragilità del tempo e di questo la sua mutevole transitorietà. Realizzata su campiture di plexiglas l’opera sembra farsi recipiente lieve di storie minime eppure capaci di ripristinare presenze sommerse, sguardi, segnali. Come un arcipelago di richiami e di minuti approdi che risanano il senso – la sostanza – di essere comunità.
La sopravvivenza, o meglio la preservazione di un’opera d’arte – e pertanto di un modello espressivo – è condizione ineludibile della sua stessa presenza, ovvero della sua funzione. Ecco allora la necessità di farne luogo di ascolto, traccia, per nulla sotterranea, di una continua esplorazione. Ma tutto ciò può definirsi concretamente all’interno di un “luogo partecipato”, in una sorta di sacralità logistica dove l’incontro con l’opera – il colloquio con essa – è dimensione intima e comunitaria al contempo. Da qui nasce il desiderio di Mariangela Calabrese di “offrire” all’Amministrazione Provinciale di Frosinone una delle sue opere più rilevante perché possa trovare asilo in uno spazio fruibile che sia crocevia di osservazioni, di ripensamenti, di quotidiane riflessioni. Ma la scelta del luogo non è una semplice “promessa” occasionale o un semplice atto di inusuale generosità. Nasce invero da una sorta di commento emotivo in cui l’artista pone e depone tracce del suo vissuto che, coniugate con i responsi dello sguardo, sembrano forzare la linea del tempo, toccarlo, ridefinirne l’armonia o i referti. Alla ricerca ostinata di una presumibile appartenenza – epilogo di una mai sottomessa condizione di migrante del sapere – Mariangela Calabrese si fa cittadina del territorio e di questo ne attraversa il nutrito passato, le sembianze del prima e del dopo, della pacificazione e del suo contrario. Ed è nel dialogo sospeso, quello inciso – per date e volti – nel magico labirinto dell’Archivio della città che Mariangela Calabrese ricuce il reticolo delle origini, i legami, i fronti dell’anima. EXCERPTA è l’opera donata. Una campitura di svelamenti, di trasparenze e carnalità dove il senso di una comune memoria è provocazione ma pure giostra di affollate tensioni. L’artista lascia che siano gli indizi remoti a sanare lo spazio, affidando ad un rossore sommesso il reperto cromatico: lieve, effimero, smunto, come sangue usurato e diluito da affanni e da dimenticanze. E siglando (con parole prese in uso) il tempo nelle sue abituali coordinate. Sono minute tessere gli sguardi trascorsi, come foglie arrese, dissotterrate sul confine del sonno. E’ anche questo la memoria: fragilità anonima, identità smarrite, occhi offerti all’eternità. E come foglie, appunto, vanno per aliti e storie. Raccogliendosi in angoli o disseminando i soprusi, la fatica, la pietà.
COMPONIMENTO PER MARIANGELA CALABRESE
Rubo a te
Somministrando la tara di ogni commento
Rubo a te
E ai tuoi richiami e ricami
Perché possa scivolare nella trincea di arbusti e fango
Che a mezzogiorno e mezzanotte ti fa da scudo all’oblio o all’assenza
Quella trincea che voi – voi soltanto –
Artisti dall’occhio piramidale
Innalzate ad ogni passo e pasto
ad ogni ora del tempo -
Perché la nausea non rinneghi lo sguardo o il baleno consumato
Rubo a te
Il pallore ingiallito del transito borghese o della villanìa
Che è stato alba e crepuscolo di una terra di lato
Sfigurata
Vittima
Ripiegata
Rimbalzata come parabola
Circondata
Dolente
Queste veline di verità asciutta – di alibi e timori –
Sono imbandite nella trasparenza del tuo dire
Apparecchiate come voci lenite
La memoria è un mucchio di piccoli sassi d’oro
Di fiumi in collera e bagliori di biacca
Di ombre infaticabili
Le ombre
Che ti porgono la mano ad ogni stazione di sosta
Che si danno il cambio
Salutandosi a mò di ronda
E filano via via via oltre la specchiera
Per riaprire varchi e braccia e dita appena dileguate
Una milizia di ombre
E di mani d’ombra
No
Non ti inseguono come l’angelo compagno e indolente
Che ti guarda le spalle
E decide per te il da farsi
Che addita il vento
Che si fa calabrone o pappagallo
No
Non ti incalzano come i fantasmi fuggiaschi
“dei sedici acri nella parte meridionale di Manhattan”
Non è la tua Spoon River
Questa collina di tufo e fanghiglia
E non è la nostra
Non raccogli il disonore
O lo scaltro pensiero che ha nome e domicilio
E finanche il disagio
Sono le ombre
Sono le ombre che insegui
E TI SIA CONCESSO IL CAMMINO