Gianni Mura, l’artigiano della poesia nel giornalismo

In questi giorni drammatici e cupi ci lascia Gianni Mura, maestro del giornalismo che per decenni ci ha regalato pagine straordinarie e appassionate

Gianni Mura, l’artigiano della poesia nel giornalismo
Mauro Biani, Repubblica online

«La canzone è una vaga farfalla che vola via nell’aria leggera» scritta da «gente quasi normale ma con l’anima come un bambino che ogni tanto si mette le ali e con le parole gioca a rimpiattino» troviamo in una canzone all’inizio del nuovo millennio di Francesco Guccini.

Allargando l’orizzonte oltre la sola canzone sono parole che descrivono quel che è stato Gianni Mura, maestro di giornalismo e artigiano sopraffino della parola, per decenni tra le varie esperienze straordinaria firma del giornalismo sportivo di Repubblica ed «el diretur» della rivista di Emergency E uscita per qualche anno. E Mura un po’ gucciniano lo è stato veramente, dopo la notizia della sua morte il suo volto burbero, schietto e sincero ha fatto irruzione nei nostri schermi. Con la semplicità, con il suo essere stato uomo semplice e raffinato nell’animo. Radici solide, attenzione per i territori e le sue genuinità, capace di osservare quel che accade nel mondo e nelle alte competizioni dello sport mondiale ma sempre uomo semplice, quasi rurale nel suo tempo libero e nelle sue abitudini quotidiane.

Moltissimi italiani lo hanno conosciuto di fama, per i suoi articoli e le sue straordinarie prose ma quasi tutti il suo volto lo hanno scoperto ieri. Trovando una persona che non si è mai trovato a suo agio nei salotti bene della televisione, nei galà della crema della società o nei circuiti mondani. Perché la vita di Gianni Mura era altrove, nelle strade, tra le persone, ad infiammare ed infiammare passioni ed emozioni. L’emittente televisiva SportItalia lo ha voluto ricordare riproponendo un’intervista del 2014 nella quale una delle riflessioni è stata dedicata allo spazio e al tempo del giornalismo moderno: Mura ha ricordato che a Brera quando c’era solo la carta stampata si lasciavano anche sei pagine per un evento, nel 2006 dopo la storica vittoria della Nazionale di Calcio lui ebbe molto meno. Le moderne tecnologie dovrebbero regalare spazi infiniti, donare possibilità ieri impossibili e invece oggi la «notizia» è sempre più compressa, sacrificata alla velocità e ad altri interessi. Non sono più gli anni in cui Mura è diventato il maestro che tutti abbiamo conosciuto ed amato, gli anni del suo maestro Brera e di una razza cresciuta consumando le suole delle scarpe sulla strada e lì dove i fatti avvengono.

Uno stampo che regge a tutte le modernità, le tecnologie, le censure più o meno riuscite e tutto quanto il nuovo millennio ha portato: tra i migliori scoop della cronaca giudiziaria italiana degli ultimi anni, liberi da ogni condizionamento e capaci di far tremare ogni cricca, ci sono quelli di Fiorenza Sarzanini. Una giornalista di razza che non è approdata sui social, che praticamente mai frequenta i salotti televisivi o cattura i riflettori. Preferisce il vecchio caro taccuino, la conoscenza personale, il recarsi sui posti, l’approfondire, l’andare oltre le veline da copia incollare (con cui intere redazioni delle testate online locali vivono) e le verità di comodo. Il giornalista non è il notaio dello status quo, non è il semplice smistatore e cane da riporto altrui, il giornalismo dev’essere passione, luce lì dove dominano il buio, smontare la realtà per raccontarla tutta intera. E deve far sognare, trasportare come la farfalla di Guccini che vola via nell’aria il lettore, farlo sentire lì dove i fatti e i misfatti avvengono, farli sognare, indignare all’occorrenza, perseguire l’etica di Fava per impedire soprusi e sofferenze, migliorare il mondo non da vassalli o ottusi scudieri di ideologie o consorterie ma raccontando la verità. Nel bene o nel male.

Il Pantadattilo fossile che vola sulle strade come bisce della Francia, i miracoli a gettone del figlio di un falegname che diventa città e segna gol beffardi come la sua faccia e scavalca pure San Gennaro, i giochi di parole tra l’italiano e il francese, le storie del mondo e le magie dello sport hanno fatto sognare, infervorare, ci hanno letteralmente regalato le ali con le quali abbiamo corso accanto a Pantani, vissuto la passione del San Paolo con Maradona, vissuto i momenti più belli (e anche se non lo erano sulle sue pagine lo diventavano) di questi decenni. Accompagnati a giudizi taglienti, schietti, chirurgici nell’andare all’essenziale senza fronzoli, timori reverenziali o addolcimenti della realtà. Gianni Mura è stato lo sport, vi si è immerso innamorato facendo innamorare. E come ogni innamorato è stato capace delle liriche più alte e della sincerità più feroce.

Viviamo tempi bui e drammatici di cui non sappiamo quando si potrà rivedere la luce, rinchiusi nelle nostre case terrorizzati dall’incertezza del domani. Queste ore, giorni, settimane e chissà ancora cos’altro possiamo viverli in tanti modi. Atrofizzati e passivi di fronte al quotidiano show, svagando la mente con vacui passatempi come se nulla e non ci fosse un domani. O lasciando che il mondo, nonostante tutto, possa attraversare le nostre giornate, chinandoci verso gli emarginati, i dimenticati, gli sconfitti e i negati, donando comunque un lume alle periferie buie della cronaca, andando oltre il flusso della banalità sognando, volando, indignandoci, cercando la poesia, la vita, la passione, la libertà anche da queste prigioni troppo spesso dorate. Non possiamo consumare le suole delle scarpe ma quella razza antica, burbera e schietta e raffinata nell’animo, può ancora consumare altre strade.