Il 29 aprile ricorderemo Roberto Mancini, il poliziotto che scoprì la terra dei fuochi
DIAMO VOCE. Il 30 aprile è l’anniversario della morte di Roberto Mancini. Lo ricorderemo il giorno prima in diretta Facebook con la moglie Monika Dobrowolski.
«Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili». (Bertolt Brecht)
«Ma che te stai ad amalgamà? Non è finito un cazzo» le parole di Roberto Mancini ad un amico che era andato a trovarlo in ospedale. Il linfoma non Hodgkin che l’avrebbe strappato alla vita ormai in fase avanzatissima ma Roberto continuava a pensare alle sue informative, alle sue indagini, alla sua terra in attesa di giustizia, alla lotta contro i colletti bianchi, i camorristi, i corrotti e tutti i criminali che l’hanno avvelenata e l’avvelenano ancora oggi.
Poche parole che riassumono tutta una vita, intensa, vera, autentica, di chi è sempre stato guidato dalla sete di giustizia per i deboli, gli indifesi, le vittime del sistema economico criminale noto come «Terra dei Fuochi». Un sistema che avvolge la Campania ma non solo, ancora oggi attualissimo. Per le migliaia di vittime ogni anno, per la presenza sempre più devastante ed egemonica nel settore dello smaltimento dei rifiuti (e non solo) delle mafie in Italia.
Il 29 aprile alle ore 18.30 ricorderemo con la moglie Monika Dobrowolska in diretta sulla pagina facebook «Diamo Voce» Roberto Mancini, il percorso di vita che lo ha portato giovane militante di sinistra per amore di giustizia e sete di voler lasciare il mondo migliore a diventare poliziotto.
Rimanendo sempre autentico e con la schiena dritta, senza mai arrendersi di fronte alle incomprensioni, alle ostilità, alle difficoltà, a coloro che si son voltati per troppi anni dall’altra lato non vedendo, omertosi, complici e vigliacchi.
«Il nostro dovere non è arrestare qualcuno e mettergli le manette per fare bella figura con i superiori e magari prendersi un encomio. Noi siamo pagati per garantire i diritti, per migliorare, nel nostro piccolo, il mondo che ci circonda, la vita delle persone». Sono parole di Roberto Mancini riportate nella quarta di copertina di «Io, morto per dovere» scritto da Nello Trocchia e Luca Ferrari con la moglie Monika.
Roberto Mancini è morto alle 5.40 del 30 aprile 2014, pochi giorni dopo il decennale dell’uccisione in Somalia di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Assassinata da quel sistema economico, politico, criminale che ha avvelenato la Campania, larga parte d’Italia e anche ad altre latitudini. Un sistema marcio e sporco, velenoso e assassino. Armi in pugno, come con Ilaria Alpi, Miran Hrovatin e tanti altri, o con i rifiuti tossici che causano malattie terribili che ogni anno ammazzano, come accaduto a Roberto Mancini.
All’inizio di quest’anno è diventata definitiva, consacrata da una sentenza di Cassazione, la condanna a Cipriano Chianese. Il dominus della discarica Resit e di un sistema tra politica, imprenditori, massoni e clan di camorra che per anni hanno trafficato rifiuti. Mancano ancora oggi i nomi di troppi complici, conniventi e pupari di altissimo livello. E quel sistema esiste ancora, in alcuni casi con altri nomi e altri clan. Il dovere della memoria resta per questo indispensabile e vitale, prezioso e ineludibile. Un ricordo che non sia passerella, retorica, vuote parole ma impegno concreto, quotidiano, un proseguire sul loro cammino. Per ringraziarli ed esser degni di poterli anche solo nominare.
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