Il Cavaliere inesistente

Italo Calvino ci perdonerà.

Il Cavaliere inesistente

Si rincorrono, esultanti, grida di ammirazione in tutto il Paese. Sciorinar di lodi, tripudi festosi, applausi bipartisan: or che sarà, dunque, questo agitarsi composto e mellifluo, questo accanito spellarsi di mani?

Avranno per caso trovato la cura definitiva per il virus?
Avranno mica bandito a vita Sgarbi dalle aule del Parlamento?
Hanno forse ritrovato l’unico neurone disperso di Gasparri?

No, ancor meglio.

Il Cavaliere inesistente, colui che tanto lustro ha arrecato alla nostra patria (galera), colui che ha attraversato incolume persino la più ardua delle sfide, quella del Covid-19, ebbene, quel cavaliere lì, è tornato.

Armatura bianca scintillante e immacolata. Pennacchio iridescente, staffe pregiate, viso di plastica. Silvio di Arcore, il prode paladino, si è ripreso la scena. Ovunque per lo stivale, da Porta a Porta, nelle Arene e negli studi televisivi, un sol plauso si leva: quanta diplomazia, quanto garbo istituzionale in un sol piccolo ominicchio: la quintessenza dell'arte della politica.

Mai colto in fallo - più che altro avveniva il contrario -, mai apparso tracotante come i ruttanti e queruli compagni, mai sgraziato nei modi, il Cavaliere inesistente si è fatto rimpiangere e desiderare. Al punto che giornali, mezzi giornali, giornalicchi e quaquaraquà, col cuore colmo di gratitudine e la penna affamata di riconoscenza, al primo colpetto di tosse del prode sono accorsi ammiranti a tesserne le lodi.

Che discorso da statista!”, “è Lui il leader che ci serve!”, “questo Paese ha bisogno innanzitutto di responsabilità (penale): la sua”.

Dopo aver cavalcato le più belle giumente del reame, il Cavaliere inesistente è salito e sceso di sella così tante volte che i nostri poveri cuori, straziati dall'angoscia di non poterlo più rivedere al comando, hanno retto a stento. Una volta lo ha scalzato un avviso di garanzia, un'altra volta la real guardia di finanza con i rossi e infami giudici di sinistra, un'altra ancora una condanna definitiva. Ma mai, in nessun caso, il Cavalier Silvio ha mollato la sua carica, frutto di tante e tante Trattative che non stiamo qui a ricordare. Non è nostro il compito, non è Cosa nostra.

Il prode ha questa capacità di eclissarsi e ricomparire che disorienta. Nel marasma delle cose, spesso dimentichiamo le sue imprese. Di come quella volta, per esempio, gli arrestarono il braccio destro per mafia, un Gurdulù siculo che incontrava i boss compaesani solo perché credeva d'esser uno di loro. O di come, sbalordendo tutti, riuscì a salvarsi da decine e decine di processi armandosi di prescrizioni, amnistie, depenalizzazioni e lodi. Il suo scudo (penale), a furia di parar avvisi di garanzia e sentenze, si è talmente ammaccato che a stento ci si capacita di come abbia retto fino alla fine. Se esistesse un Signore dei procedimenti giudiziari a carico, il prode Silvio non avrebbe rivali: gli archivi ne sono tanto ricolmi che, al solo metterli l'uno dietro l'altro, uno Chanson de Roland non sarebbe sufficiente.

Nessun personaggio della sua risma ha mai aspirato al Colle più alto. Nessuno con la sua fedina penale, di sicuro. Ma nel reame del Tantomagno, tra paladini fiacchi, giullari e menestrelli, dove la memoria delle api dura di più di quella degli umani, persino un pregiudicato può immaginarsi Presidente.

Nessuno ci salverà, non ci sperate. Il nostro Cavaliere inesistente non è quello di Calvino: lui non si spoglia dell’armatura, non si dissolve nell’aria. Resta in sella e se la ride, tanto gli Italiani ci cascano sempre.

 

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