“Il delitto Mattarella”, quando non basta un grande argomento per fare un grande film

Il film racconta la vicenda analizzando il prima e il dopo quel 6 gennaio 1980, data in cui fu commesso l’omicidio del Presidente Mattarella. Ma “Il delitto Mattarella” di Aurelio Grimaldi riesce solo a essere un asfittico racconto senza nerbo e senza struttura.

“Il delitto Mattarella”, quando non basta un grande argomento per fare un grande film

No, non l’ho visto al cinema. Al momento dell’uscita del film di Aurelio Grimaldi intervistai David Coco, l’attore catanese che interpretato il ruolo di Piersanti Mattarella nel film con il quale parlammo, soprattutto, della sua esperienza sul set.

 

Il 6 gennaio scorso, in occasione dell’anniversario della morte del Presidente della Regione Siciliana è stato programmato da Sky e Now Tv e quindi mi sono comodamente seduto sul divano di casa, circondato dai generi di conforto necessari per guardarlo con la consapevolezza che non stavo per guardare un documentario ma un film. O perlomeno questo era quello che pensavo.

Avevo delle aspettative? Assolutamente sì. Da un lato per i giudizi entusiastici, non tutti invero, che ne avevano accompagnato l’uscita, dall’altro per le esternazioni di soddisfazione di quanti, a vario titolo, ci avevano lavorato. Ma non solo.

 

Il film racconta la vicenda analizzando il prima e il dopo quel 6 gennaio 1980, data in cui fu commesso l’omicidio del Presidente Mattarella. E’ un omicidio sicuramente dimenticato, comunque meno considerato di altri quando, invece, al pari purtroppo di altri omicidi del genere, e che permise che il potere politico-mafioso potesse proseguire in quel “sacco di Palermo” e della Sicilia cui la fragile figura di Mattarella, ancora una volta lasciato solo, e quella di Pio La Torre, assassinato anch’egli poco più di due anni dopo, volevano essere un argine.

 

Il cinema italiano possiede un’enorme e importante tradizione d’impegno civile, quella tradizione che affonda le sue radici nei film che hanno avuto il coraggio di raccontare il lato oscuro delle storie italiane muovendosi in quel confine non certo labile, ma a volte invisibile, che c’è, tutt’oggi, tra politica e interessi economici, deviazioni istituzionali e collaborazioni con la malavita organizzata sia stampo terroristico sia di stampo mafioso. Basti pensare a Maestri come Lizzani, Rosi e Petri per avere dei riferimenti alti e precisi.

Si è trattato, molto spesso, di storie di depistaggi, occultamenti e segreti di cui sono pieni gli impolverati scaffali delle diverse Procure italiane.

 

Il primo impatto è stato esaltante. Mi spiego meglio. Il brano dei titoli di testa, magistralmente scritta da Marco Werba, in pochi secondi mi ha trasportato in quel 1980. Ma, dopo pochi minuti, c’è stato il crollo.

Penso di aver visto la rappresentazione cinematografica più brutta della storia del cinema mai vista quando, sullo schermo, è apparsa la ricostruzione dell’omicidio di Piersanti Mattarella.

Maldestra, senza ritmo e con la pretesa che la sospensione, in effetti vuoti di montaggio e imprecisioni di ripresa, divenisse cifra stilistica.

 

Proprio in onore a quella tradizione di cui poc’anzi, cui avrebbe dovuto fare riferimento il film dai primi fotogrammi, “Il delitto Mattarella” la vìola. E non è bastato il primo degli innumerevoli flashback a permettermi di capire, anzi. Più il film si sviluppava, sempre più appariva un’opera confusa e poco felice. Non sono bastate le grandi interpretazioni di una schiera di attori di tutto rispetto a cominciare da Leo Gullotta, Tony Sperandeo, Donatella Finocchiaro e il già citato David Coco.

 

 

Il delitto Mattarella di Aurelio Grimaldi riesce solo a essere un asfittico racconto senza nerbo e senza struttura. Troppa carne al fuoco? Nemmeno.

Non si salva neppure la ricostruzione storica, commentata da una voce fuori campo che ha avuto il compito primario di chiudere diversi buchi sia narrativi sia di montaggio.

 

Confusione anche su questo versante ma, soprattutto, mancanza di coraggio civile, quello cui avrebbe dovuto ispirarsi l’autore nell’affrontare il tema. Pur sposando la tesi, sempre più probabile stante anche le motivazioni del processo che ha portato Cavallini a essere condannato per la strage alla stazione di Bologna, che l’8 gennaio la corte ha rilasciato, che fu un killer non mafioso a premere il grilletto quel 6 gennaio 1980, tutto s’impasta mescolando killers dell’estrema destra con la “Banda della Magliana” imputando a questi ultimi e non ai NAR, tesi che perseguì lo stesso dottor Falcone, la responsabilità materiale dell’omicidio.

 

Forse Grimaldi ha letto “carte” non pubbliche? Improbabile.

Il tracciato narrativo che coinvolge esclusivamente movimento neofascista che si lamenta della tracotanza dei mafiosi con dai quali, almeno sembra dal sotto testo derivante dai dialoghi, hanno ricevuto la commissione del delitto risulta poco credibile ma, soprattutto fa sembrare sempre più Cosa Nostra la grande mente illustre e l’ombra incombente sulla Storia.

 

E le parole della vedova di Mattarella? Perché negare il suo riconoscimento dell’identikit di Giusva Fioravanti e celarlo con un personaggio generico? E poi chi rappresenta questo pariolino/sanbabilino? Forse “il freddo” o “il nero” delle rappresentazioni televisive? Forse perché non ci sono risultanze processuali? Forse perché lo stesso procedimento aperto dal dottor Falcone non approdò a una condanna? Sarebbe bastato, tecnica utilizzata proprio dallo stesso Grimaldi nel film, una precisazione nei titoli di coda.

 

Un “filmetto”, alla fine e non basta l’aspetto emozionale e empatico nei confronti di Piersanti Mattarella per giustificarlo e, men che meno, in un film degno di questo nome.

 

Purtroppo il film è solo una specie di messa in scena della realtà con una sua pessima imitazione, il che lo distanzia da qualsiasi reale credibilità, poiché, purtroppo le sue immagini non si fanno mai davvero cinematograficamente reali e mai quindi sovrapponibili a quelle vere, con la loro sostituzione nell’immaginario dello spettatore.

 

“Il delitto Mattarella” è un film che nella sua ansia di ricostruzione sembra rimandare solo a quanto già noto allo spettatore, senza la qualità di essere incisivo e, men che meno, coraggioso.

Dietro la scrittura è evidente esserci solo l’idea di dare rappresentazione cinematografica ai fatti, ma questo porta il tutto a una inutile passerella dei protagonisti di quella storia: Falcone, Sindona, Lima, La Torre, D’Acquisto, Lima, Ciancimino, Spatola e via elencando, rappresentati spesso solo in forma caricaturale.

 

No, ne “Il delitto Mattarella” non c’è nessun legame con quella tradizione autoriale della quale parlavo e non c’è nessun legame con quel passato cinematografico che ha permesso di realizzare film ibridi di grande incisività e interesse.

Ma, forse, l’obiettivo di Grimaldi era questo: realizzare solo un illustrativo riepilogo della storia.

 

Ancora un’occasione persa per il cinema d’impegno civile italiano che, oggi, non riesce più a trovare gli autori giusti. E allora è meglio darsi alle serie televisive.

Sarebbe molto più onesto nei confronti dello spettatore e del cinema.

 

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