Incendi in Abruzzo, «interessi forti ed esterni hanno portato ad accendere i fuochi»

Le immagini degli immensi incendi che per giorni hanno devastato i boschi intorno L’Aquila riportano alla mente i terribili giorni dell’incendio sul Morrone di tre anni fa. Di cui gli autori materiali non sono mai stati accertati ma testimonianze e ricerche puntano su interessi speculativi e mafia dei pascoli. La ricerca universitaria coordinata dalla professoressa Calandra, dando voce a chi vive il territorio, getta un’importante luce sui fatti di quelle settimane.

Incendi in Abruzzo, «interessi forti ed esterni hanno portato ad accendere i fuochi»
Per gentile concessione di Mattia Fonzi
Incendi in Abruzzo, «interessi forti ed esterni hanno portato ad accendere i fuochi»

Centinaia di ettari andati a fuoco, fiamme altissime per giorni e notti che sono arrivate a minacciare le case, la periferia aquilana assediata da un immenso fronte scaturito da almeno due grandi incendi. Una devastazione drammatica stoppata, dopo gli eroici sforzi delle numerose squadre di vigili del fuoco e protezione civile impegnate allo stremo, dai violenti acquazzoni (che hanno creato gravi problemi di allagamenti costringendo gli operatori ad ulteriori operazioni di soccorso) del 4 agosto. E nuovi incendi, dalla matrice che appare chiaramente dolosi, successivi sono tornati a flagellare gli stessi luoghi. Anche se non sono stati raggiunti gli stessi drammatici livelli precedenti.

Questa, in sintesi, la cronaca che ci hanno restituito i giorni a cavallo tra la fine di luglio e l’inizio di agosto. Incendi quasi certamente dolosi, nei giorni convulsi dell’emergenza c’è stata anche la notizia del ritrovo di alcuni inneschi, dietro cui – come ha riportato persino il Corriere della Sera – si ipotizzano «interessi speculativi». Come ha sottolineato la giornalista RAI Daniela Senepa, cronista esperta e in prima linea nel raccontare da tanti anni le zone grigie, la cronaca nera e le tante vicende d’Abruzzo, in mancanza di riscontri e in attesa dei risultati delle indagini della Procura è solo un «dire» che porta a riflessioni che possono essersi avvicinate alla realtà ma che devono attendere un lungo percorso. Che, come ha ricordato sempre Daniela Senepa, purtroppo spesso nel nostro Paese non arriva mai alla casella d’arrivo. È accaduto anche per i terribili incendi sul Morrone dell’estate 2017 e quanto accaduto nell’aquilano quest’anno lo ha riportato alla memoria. Giustizia per l’apocalisse di fuoco di tre anni fa non è mai pienamente arrivata e ad oggi nei tribunali non è stata accertata e documentata la mano – e i fili che l’hanno guidata – che incendiò un vasto territorio, animando un dramma che sconvolse per giorni e giorni.

Tre anni non sono passati del tutto invano: molte testimonianze e inchieste giornalistiche e il comitato civico nato in quei drammatici giorni molto hanno detto e denunciato. Una ricostruzione del quadro e una luce importante sono arrivate con la ricerca «Comunicazione e partecipazione nel Parco della Majella», coordinata dalla professoressa Lina Calandra del Dipartimento di Scienze Umane dell’Università dell’Aquila. Alcune delle persone intervistate hanno posto l’attenzione sugli anni precedenti l’incendio del 2017, «abbiamo avuto incendi per 3-4 anni di fila: il fuoco partiva sempre dallo stesso posto, stessa zona, stesso periodo» ha dichiarato un allevatore e un altro è tornato con la memoria indietro di un ulteriore decennio quando «nel 2006-2007 ci sono stati qui ad Abbateggio due incendi gravi».  Le testimonianze riportate nella pubblicazione finale della ricerca sono nette e non mostrano quindi nessun dubbio su quanto accaduto sul Morrone nell’estate 2017.

«Quello del Morrone non è stato un incendio naturale, ma qualcuno si è “divertito”; è successo dalla parte di Sulmona, qui non ci è arrivato». «L’incendio del Morrone, invece, è tutta un’altra storia: lì la situazione è molto più complicata, è un attacco criminale a tutti gli effetti». «Sotto l’incendio del 2017 ci sia qualcosa di grande, interessi che vanno al di là della nostra possibilità di comprensione». «Ci sono interessi che non conosciamo, interessi forti, esterni, che hanno portato ad accendere i fuochi».«L’incendio dell’anno scorso a Sulmona è stato di natura dolosa. I fuochi sono stati appiccati in più punti, quindi c’era un disegno». «Tutti questi incendi sono riconducibili alla criminalità, per i più svariati motivi. Molto probabilmente si sono incrociate più ragioni per interessi sui pascoli, sul bosco, per la gestione dell’emergenza, ecc.».

«L’incendio sul Morrone ho sentito che è una questione di mafia: gli inneschi erano ben studiati, ed è troppo quello che è successo e come è successo per delle semplici persone. Ci sono grossi interessi sui boschi verso Sulmona: magari è un problema di lavori assegnati a certe cooperative boschive invece che ad altre».«L’incendio sul Morrone è certamente doloso. C’è stato un incendio in un allevamento in quella zona là. Ma non so, non credo sia collegato». «I fuochi sono stati appiccati in più punti, quindi c’era un disegno. Si parla poi anche di malavita per appalti rimboschimento o gestione dell’emergenza, avevo letto qualcosa sui giornali».

Diverse testimonianze fanno riferimento ad avvenimenti successivi, criticano la giunta regionale dell’epoca e soprattutto puntano il dito su interessi e attività di ditte e personaggi di altre regioni. Nel febbraio scorso Daniela Braccani di Virtù Quotidiane ha intervistato Mario Mazzetti, direttore del Servizio veterinario di sanità animale della ASL Avezzano-Sulmona-L’Aquila, in occasione della pubblicazione del Rapporto annuale 2019 dei pascoli e della transumanza che ha evidenziato come, dopo la provincia aquilana, le presenze maggiori di capi per provincia di origine sono Foggia, Avellino e Latina.  

«Qui si è parlato di ditte esterne che affittano i pascoli soprattutto dopo gli incendi sul Morrone». «Sugli incendi del 2017 è interessante notare come sia il Governatore D’Alfonso che l’assessore Gerosolimo abbiano subito parlato di rimboschimenti. Il bosco resta bosco anche se incendiato. L’interesse del bosco bruciato può essere per le centrali a biomassa». «Mentre l’incendio ancora imperversava, nasce il dibattito rimboschimento sì o no: il Comune ha detto subito di no al rimboschimento. C’è un fascicolo aperto in Procura sulle motivazioni dell’incendio, anche se ognuno di noi, in sé, si è fatto un’idea di ciò che è avvenuto. Non ci auguriamo di trovarci di nuovo in una situazione del genere, ma ci comporteremmo di nuovo nello stesso modo. C’era chi insisteva per convincerci al rimboschimento un po’ ovunque, perfino D’Alfonso ci chiedeva cosa potesse fare per avere di nuovo la nostra cordialità. Ma noi chiedevamo di utilizzare quel denaro, anziché per il rimboschimento, per la pulizia delle montagne, per favorire il turismo, per far arrivare l’acqua. Dopodiché non se n’è saputo più nulla, non hanno neppure rimborsato le spese sostenute per fronteggiare l’emergenza». «È strano che dopo cinque ore avevano già predisposto una legge per il rimboschimento. Ci hanno lavorato dietro dei professionisti. Gli interessi sono molto grossi, erano dei professionisti, cosa mirata e studiata».

«Hanno fatto vedere in televisione uno di Foggia che diceva che questi incendi li appiccano i pastori. Ma vi sembra possibile? Sti animali dove li pascoliamo, poi? Io prima compro l’erba per gli animali e poi brucio l’erba?! Ma che vi dice la coccia?!». «Ci sono i problemi delle ditte esterne, che prima davano pure il pascolo in comodato (adesso non si può fare più). Ha indagato anche la Guardia di finanza ma è tutto legale. E comunque, anche con alcuni locali bisogna fare attenzione: alcuni si sono messi insieme per avere i contributi europei ma poi le bestie non le portano al pascolo». «Qui, per i pascoli, abbiamo corso il rischio di avere gente estranea interessata solo a succhiare risorse che devono invece rimanere al territorio». «In riferimento ai pascoli la situazione è esplosiva perché si stanno innestando certe ditte esterne; qui nello specifico no, ma qui intorno sì. Ci provano, stanno entrando per vie traverse, direttamente no. Sono società, vengono soprattutto dall’Alto Lazio, dalla Puglia, anche qualcuno dal Veneto». «Nella zona del chietino per il pascolo ci sono grossi problemi: lì ci sono allevatori di Foggia e San Severo e fanno veramente un casino, al confine con il Molise. Ci sono degli allevatori poco avvezzi al rispetto delle regole e vanno su con animali malati. Più di una volta ci sono stati problemi di brucellosi e tubercolosi».

Sugli interessi di gruppi venuti da altri territori, che predano qui in Abruzzo, soffocano l’economia e ne saccheggiano le risorse, la professoressa Calandra si era già soffermata nell’intervista che abbiamo pubblicato lo scorso 22 aprile«Mafie dei pascoli, ci sono territori che non ci appartengono più» - nella quale denunciava «un sistema messo in piedi in cui nulla è lasciato al caso per accaparrarsi fondi pubblici. Il problema vero è che per intascarsi questi fondi non crea economia vera e scatena sui territori un putridume a più livelli. La mafia dei pascoli è quel sistema che quando guardi le nostre bellissime montagne ti impedisce di riempirti di meraviglia perché provoca angoscia pensando alle aziende che muoiono o si piegano ai ricatti».

L’inchiesta di inizio anno partita da Messina ha posto l’attenzione, e documentato la presenza anche nei pascoli abruzzesi coinvolti, dei «batanesi» e tre mesi e mezzo fa la professoressa Calandra ci sottolineava la presenza di «soggetti organizzati che qua in Abruzzo hanno trovato prestanomi e interlocuzioni per ottenere titoli e certificazioni fittizie e di comodo per ottenere i fondi comunitari. Abbiamo avuto segnalazioni di vere faide paesane e di amministrazioni cadute per quanto succede intorno ai pascoli fino a vere pedine inserito da queste organizzazioni in consigli comunali di comuni molto piccoli. E quindi anche una sola persona può essere decisiva. Assistiamo a territori che non ci appartengono più, che sembrano non appartenere più alla Repubblica Italiana, alla democrazia e ai meccanismi dell’economia tradizionale».

Diverse  le testimonianze riportate nella pubblicazione finale della ricerca universitaria coordinata dalla professoressa Calandra che fanno riferimento a movimenti di rifiuti e discariche abusive. Parole che fanno tornare alle inchieste che da quasi trent’anni documentano attività di ecomafie ed ecocamorre in Abruzzo, a partire dalle inchieste sui rifiuti del nord illecitamente depositati in cave della Marsica e al compianto Guido Conti e le sue indagini su Scurcola Marsicana