Italo ha ceduto e si è tolto la vita

Storia di un suicidio nelle carceri italiane, il luogo delle pene di morte di fatto.

Italo ha ceduto e si è tolto la vita
Detenuti, carcere dell’Ucciardone Palermo 1983 (ph Letizia Battaglia)

«Il grande numero dei suicidi registrato lo scorso anno aveva acceso l'attenzione sul mondo delle carceri, c'è bisogno di tornare a parlarne e garantire che, questa volta, le buone intenzioni si trasformino in atti concreti» ha sottolineato il presidente di Antigone Patrizio Gonnella il mese scorso. Nei giorni precedenti era morto Fakhri Marouane. 

«Si trovava al Policlinico di Bari dove era stato ricoverato a fine maggio, dopo essersi dato fuoco mentre si trovava nel carcere di Pescara – il racconto di Antigone - il ragazzo, di 30 anni, era testimone al processo per quella che è stata definita la "mattanza" del carcere di Santa Maria Capua Vetere quando, il 6 aprile 2020, decine di detenuti subirono violenza da parte di agenti di polizia penitenziaria» e «Fakhri era uno di coloro che quelle violenze le aveva subite». 

Erano trentanove i suicidi nelle carceri italiane dall’inizio di quest’anno nel momento in cui Antigone inviò il comunicato stampa con queste dichiarazioni. Una drammatica contabilità che continua ad essere aggiornata costantemente.

Nei giorni scorsi nel carcere di Opera si è suicidato Italo Calvi, 58 anni. Lo ha ricordato su Il Dubbio Claudio Bottan, ex detenuto, attivista e redattore di Voci di Dentro, lo scorso 11 agosto.

La morte è «una componente di cui sono permeate le pareti delle celle» tra «l’odore ferroso del sangue che cola, gli occhi sbarrati di chi ha trovato la scorciatoia per la libertà inalando il gas della bomboletta o stringendosi al collo un nodo scorsoio» testimonia Bottan. Immagini che continuano a popolare i miei incubi notturni» tra «autolesionismo, suicidi tentati e - troppo spesso – riusciti» e «diventano routine, soprattutto d’estate quando le poche attività che si svolgono in carcere sono sospese e ad abbondare rimane solo il tempo» prosegue nel suo racconto da quelli che appaiono gironi infernali, «un tempo vuoto in cui si affollano i pensieri e sale la tensione per il caldo e per le mancate risposte».

Tempi che con la solitudine possono diventare un «mix esplosivo», ancora di più per chi vive il dramma della malattia. Era la situazione di Italo Calvi che era malato di un «tumore devastante». E qualche giorno ha ceduto, ponendo fine alla sua vita terrena, è stato «trovato appeso con un lenzuolo alle sbarre». 

Italo Calvi, racconta Claudio Bottan, si costituì immediatamente dopo che la condanna in Cassazione era diventata definitiva, «voleva ricominciare, aveva fretta di girare pagina». « Le sue condizioni di salute avrebbero consentito il rinvio facoltativo della pena, ma era d’estate, e l’udienza di ottobre pareva lontanissima nella mente di quel montanaro abituato a fare tutto e subito, come quando saliva sul trattore per spalare la neve dalle strade delle sue montagne» si legge nella conclusione dell’articolo-testimonianza di Claudio Bottan su Il Dubbio

 

 

 

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