La mafia foggiana vive soprattutto con appalti e soldi pubblici
La mafia foggiana vive soprattutto con appalti e soldi pubblici
PRIMA PARTE/A Bari un affiliato ai Rafaschieri ha sparato ad un ragazzo africano da un balcone, a Foggia la mafia ha piazzato l’ennesima bomba di questi mesi. Intervista a Leonardo Palmisano su cosa si muove nell’universo mafioso dei due territori.
Le mafie sono pronte ad approfittare dei fondi pubblici e della crisi economica dopo la fine della pandemia, tanti sono gli allarmi di queste settimane da parte di Istituzioni e persone autorevoli impegnati quotidianamente nel contrasto alla criminalità organizzata. Un allarme condiviso nelle interviste rilasciate a WordNews.it nelle scorse settimane dall’ex pm e oggi avvocato antimafia Antonio Ingroia e dal pm anti camorra Catello Maresca.
E neanche in queste settimane le organizzazioni criminali sono rimaste ferme, ci sono notizie dell’attività di un welfare criminale parallelo con il quale stanno cercando di costruirsi nuovi consensi pronti ad arruolare nuove leve. E non si fermano violenze, prepotenze e intimidazioni. Tra le più attive le mafie pugliesi, a Foggia il mese di aprile è iniziato con una nuova bomba intimidatoria contro una struttura sociale mentre a Bari un affiliato alla famiglia dei Raschafieri ha sparato da un balcone ad un ragazzo «colpevole» di essersi appoggiato alla sua auto.
Abbiamo intervistato il sociologo e scrittore Leonardo Palmisano, autore di diversi libri di denuncia e analisi delle organizzazioni criminali, su come si muovono e quali sono le dinamiche dei mondi criminali italiani. Questa la prima parte dell’intervista sulla sub cultura mafiosa barese e sulle mafie della provincia di Foggia.
Ha avuto ampia risonanza l’episodio dei colpi di pistola sparati da un balcone a Bari, sono stati documentati anche altri episodi (come ripetuti fuochi d’artificio) sono stati documentati episodi di violazione delle misure governative anti-Covid19 da personaggi di ambienti mafiosi. Quali sono questi ambienti e come si potrebbe analizzarli?
«Parto da una riflessione più ampia su cosa sono diventate non solo al sud le mafie. Le mafie agiscono su tre livelli, il primo è quello di base che è rimasto tale ed è un livello microcriminale molto violento, quello del ragazzo che ha sparato dal balcone, quasi gangeristico. Rispetto a quando ero ragazzino non può più assurgere a livelli più alti, è molto difficile che una figura proveniente da quel livello possa salire al rango di capo o anche solo di medio livello. Le gerarchie mafiose si fondano sempre più su un consolidato sistema di relazioni sociali maturate nel territorio con altri pezzi di società. È una dinamica meno visibile a Bari rispetto a Foggia, dove lo stesso procuratore nazionale Cafiero De Raho ha fatto riferimento ad una borghesia mafiosa, strato sociale intermedio tra le classi agiate e le classi popolari tutto sostanzialmente mafiosizzato e composto da professionisti, imprese, politici e amministratori pubblici e privati.
Avviene anche a Bari ma in modo molto più oscuro, ci sono dei segnali e soprattutto nell’ingresso delle mafie nell’economia finanziaria e commerciale. Quindi non può diventare un capo chi non ha maturato delle relazioni consolidate nel tempo, avvenuto soprattutto quando c’era il grande traffico di stupefacenti e prima di sigarette.
La figura che ha più relazioni è stato Savino Parisi, è impensabile che oggi qualcuno possa raggiungere il suo livello se non nasce con quel cognome appiccicato addosso. Il primo livello vive quindi un nervosismo proprio che possiamo definire anche di classe, è cosciente di non poter salire e si adopera per vivere dentro lo strato più basso della gerarchia criminale per potersi arricchire senza poter maturare però ingenti ricchezze. Sono persone che entrano ed escono di prigione, passano dalla rapina al furto negli appartamenti o allo spaccio di stupefacenti senza soluzione di continuità, fanno i piccoli gangster di quartiere e agiscono nel racket, utilizzati come autisti, vigilanti o guardie del corpo dei grandi boss ma nessuno di loro lo diventerà mai.
Questo nervosismo si sfoga sui più deboli, il brodo nel quale sono nati è sottoculturale, quello della competizione sfrenata con l’altro e dell’oggetto che vale più della vita delle persone. La persona che ha sparato dal balcone – affiliato alla famiglia dei Rafaschieri – ha colpito un ragazzo di origine africana che si era seduto sul cofano della sua auto accusandolo di poterla sporcare o graffiare, è un episodio che rivela sul piano simbolico cosa sono oggi queste persone che considerano più importante gli oggetti che riescono ad ottenere andando a delinquere che le persone».
Anche in questo periodo in cui tutti rimaniamo a casa proseguono atti violenti e di intimidazione delle mafie, a Foggia è recente l’ultima esplosione contro un centro per anziani già colpito in passato. Come è nata la mafia foggiana e si è consolidata?
«Dedicherò il mio prossimo romanzo, il terzo della serie del bandito Mazzacani, interamente a Foggia provando a rivelare quel grumo di interessi che si è creato in quel territorio sin dalla fondazione della società foggiana, questo è il nome con cui viene chiamata la mafia della città di Foggia. Grumo di interessi tra pezzi del sistema borghese cosiddetto legale, del mondo imprenditoriale, del mondo politico, la mafia stessa e la massoneria. La mafia foggiana è nata grazie a Raffaele Cutolo che trovatosi a mal partito in altri territori decise di investire sui pugliesi, che non sono mai stati coesi e compatti tra di loro neanche dopo la benedizione di Salvatore Anacondia (colui che ha fondato i sistemi criminali in Puglia), e sin da subito è entrata nel sistema degli appalti e in quello politico seguendo il dettato di Cutolo stesso.
Si costruisce così immediatamente credibilità presso la borghesia cittadina, questo va sottolineato perché la mafia foggiana non è rozza come è stata definita da alcuni, prende appalti e vive di denaro pubblico trovando sin da subito occasione di occupare un grande spazio pubblico. Il mio sospetto è che questa mafia ha trovato il modo di inserirsi anche nella distribuzione dei buoni per i poveri e quindi li stia in qualche maniera orientando. Occupando lo spazio pubblico la mafia foggiana ha sempre eletto dei propri rappresentanti, traendone vantaggi non solo con il tipico strumento del voto di scambio ma soprattutto con la spartizione degli appalti attraverso imprenditori interni al sistema mafioso. Questo ha portato Cafiero De Raho a parlare di borghesia mafiosa, favorita dalla benevolenza con cui è stata accolta dalla massoneria delle categorie professionali – soprattutto dei commercialisti e degli avvocati – da sempre grandi portatori di voti e provengono dalle famiglie dei latifondisti.
Foggia è una città che ha un’aristocrazia di latifondo che è sostanzialmente improduttiva e ha bloccato lo sviluppo economico della città quando non si è sottoposta alla libera concorrenza preferendo una logica spartitoria tutta interna anche al clima politico del tempo. La mafia foggiana aveva investito nel calcio prima di altre, capendo che è un investimento col quale si acquista consenso. È notizia degli anni scorsi che un calciatore giocava sostanzialmente perché imposto da un clan. È una mafia che non vuole produrre e muovere lo sviluppo economico della città, le bombe con cui colpisce hanno una doppia natura: da una parte sono vendette contro gli imprenditori che non pagano il pizzo o non accettano di sottostare alle regole del comando mafioso e quindi raccontano alla procura le estorsioni che ricevono, dall’altra procede come una macchina del terrore.
È la sensazione che si ha per esempio quando si arriva a Candelaro dove non si percepisce l’amministrazione pubblica ma la presenza di un’amministrazione mafiosa. È una mafia decide quali esercizi commerciali e quali imprese devono stare aperti e quali chiudere perché chi rimane aperto è in qualche maniera ubbidiente. Tutto questo è stato favorito da un mancato investimento da parte dell’amministrazione pubblica per esempio nella crescita di apparati di welfare locale, sono pochissimi gli assistenti sociali, e secondo me anche da una sottovalutazione oggettiva della loro pericolosità da parte di organi inquirenti che per fortuna non è avvenuta anche negli ultimi anni.
La vera pericolosità sociale è nel dato che è la città dove si vive peggio in Italia probabilmente perché è la più densamente mafiosa forse in Europa. Alla mafia foggiana è stato consentito muoversi come voleva perché la città stessa non ha avuto una evoluzione, la città è passata da un forte potenziale economico tra la fine degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta al sostanziale declino. Arrivando in città si percepisce di essere dentro una città senza prospettive e dove al di là di piccole iniziative di carattere economico e culturale sostanzialmente si respinge qualsiasi elemento di novità proveniente dall’esterno che non abbia una grande visibilità televisiva come è tipico dei luoghi estremamente provinciali. L’evento culturale più apprezzato sono le partite del Foggia Calcio e questo la dice lunga sulla qualità del livello culturale della città.
La mafia vive dentro tutto questo, dove ci sono anche la politica, la massoneria, l’impresa. Sono le quattro gambe del tavolo foggiano che è fragile o meglio robusto solo fino ad un certo punto, non ci si possono servire le pietanze dello sviluppo economico importante. Se arrivano fondi governativi, siamo nell’ordine di 20 milioni di euro, o per la ricostruzione per la ricostruzione quando usciremo dalla crisi sanitaria chi andrà a gestirli e come? Anche la classe mafiosa non è adeguata a produrre idee di sviluppo della città e quei fondi rischieranno di andare ancora una volta a perdersi all’interno dei mille rivoli di un sistema criminale che oggi è entrato nella gestione dei servizi e degli appalti pubblici senza produrre nulla di qualità rilevante, su queste gestioni siamo all’anno zero perché lì dentro ci sono pezzi della criminalità organizzata portati da pezzi della politica locale nati dentro il sistema criminale. Sono dinamiche simili ad alcuni territori calabresi».
Redattore WordNews.it -
È nato ad Atessa (Chieti), nel 1984. Attivista e volontario di varie associazioni e movimenti culturali, ambientalisti, pacifisti e di lotta alle mafie, referente in Abruzzo di Associazione Antimafie Rita Atria e PeaceLink - Telematica per la Pace. Collabora con Histonium.net, Pressenza, Giustizia, Telejato.it, Q Code Magazine, I Siciliani Giovani. Diversi articoli sono stati pubblicati su AgoraVox Italia, Comune-Info, Casablanca - Storie dalle città di frontiera.
Ha collaborato con Adista, Primadanoi, Terre di Frontiera, Unimondo, Libera Informazione, Popoff Quotidiano e SocialPress. Ha curato, per oltre dieci anni, il sito personale del giornalista e regista RAI Stefano Mencherini, dove è stata curata la diffusione e la pubblicizzazione del documentario d’inchiesta «Schiavi. Le rotte di nuove forme di sfruttamento», con il quale è stata portata avanti la “Campagna di sensibilizzazione per l’informazione sociale”, in collaborazione con MeltingPot e Articolo21, e per la creazione di un Laboratorio permanente di inchiesta e documentari sociali in RAI, nata per rompere la censura televisiva del documentario d’inchiesta “Mare Nostrum”. Articoli su tematiche sociali e culturali sono stati pubblicati dal mensile Vasto Domani.
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I drammatici eventi che state per leggere si sono verificati in Italia, nel Paese delle mafie. In questa terra corrotta, i “veri” testimoni di giustizia sono trascurati, ignorati da tutti. Le indignazioni sono solo una facciata, parole vuote e prive di significato. Sono solo parole sprecate, una pura apparenza, una illusione. Proclami tediosi.
Questa è la vera storia di un testimone di giustizia.
“In veste di dirigente, ho scoperto molte strutture autostradali al limite del collasso.” Attraverso le sue parole, si dipinge un quadro dettagliato di un percorso pericoloso, pieno di minacce, che ha coinvolto non solo i camorristi, ma anche i vertici corrotti dello Stato e spregiudicati dirigenti aziendali, interessati solo agli affari criminali.
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«Un libro dev’essere un’ascia per rompere il mare ghiacciato che è dentro di noi»
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La sua colpa? Voler cambiare vita, insieme a Denise. Per la figlia si è messa contro il convivente, i parenti, il fratello Floriano.