La neve di marzo di Marilena Ferrante

Cento sono le pagine che Marilena Ferrante ha scritto per narrare una storia che coinvolge tre donne, nate dai ricordi dell'autrice, che nel corso di tre generazioni affrontano i rovesci della vita a testa alta, accettando i sacrifici con dolore, ma senza lamentarsi: fame, povertà, l'esilio dell'emigrazione, il disprezzo per il migrante, eppure riescono a costruirsi il loro piccolo mondo, tracciando con le loro esistenze il cammino evolutivo delle donne, indicando i cambiamenti di pensiero, l'importanza del ruolo della donna non solo nel ristretto ambito familiare. Eppure le loro vite mostrano quanto il cammino sia ancora lungo, quanto sia necessario a volte partire per poi ritornare cambiate, consapevoli di quanto è stato costruito.

La neve di marzo di Marilena Ferrante

Il ritorno quindi è una delle tematiche del libro. Come piante che traggono vita dalle loro radici, dai ricordi, dalla coscienza del legame profondo con la terra natia e la sua cultura, le donne del libro tornano tra le povere case e vi ritrovano la propria identità. Consuelo vi resterà, Tecla e Bianca faranno ritorno al mondo che si sono costruite all'estero, ma arricchite di una conoscenza più approfondita del proprio essere.

Il tema fondamentale, che fa da collante al susseguirsi delle azioni e giustifica il divenire della storia, è l'amore, l'amore in tutte le sue forme, un canto continuo che spinge le donne a decisioni prive di ogni egoismo in nome del sentimento di cui sono ricche, tanto ricche da elargirlo a piene mani.

 

Descritto con delicatezza, dolcezza e passione infuocata, questo tema mi riporta alla produzione poetica dell'autrice, in cui riversa la bellezza della natura, che diviene di volta in volta simbolo e luogo reale, per sfociare nel sogno interpretativo permeato dall'amore- passione, vissuto pienamente e perso col suo strascico di tristezza, di dolore,  nelle delusioni inevitabili che la vita elargisce a piene mani, fatto di desideri nascosti, di incomprensione e  ricordo appassionato.

 

Marilena Ferrante è sempre dentro i suoi personaggi che si muovono sul filo dell'emozione narrata in uno stile che definirei quasi scrittura creativa emotiva, in quanto nel riversare nelle parole l'onda dei suoi sentimenti che non sono mai blandi, pallidi e scipiti, trova nel distacco che dà la prosa una sorta di catartico appagamento, una messa in ordine dei suoi pensieri, un'analisi accurata del suo sentire. L'autrice si sdoppia e si osserva nella molteplicità delle sue vesti, delle sue maschere letterarie, ma non è mai lontana dalla poesia.

 

Come ho già detto più volte nei miei scritti, il linguaggio, nato con lo scopo pratico della comunicazione interpersonale, non è adeguato a trasmettere completamente l'emozione che non solo è individuale, ma è sempre troppo complessa per essere contenuta nei confini del significato della parola che dovrebbe esprimerla. L'emozione è diversa dal sentimento, da cui differisce anche etimologicamente, l'una è un uscire dal sé, l'altro è la percezione dell'emozione, l'una è la molteplicità prorompente di fenomeni complessi che si traducono anche in manifestazioni corporali quali, ad esempio, sudore o brividi, mancanza di respiro o respiro affrettato, eccetera, diversi a seconda dell'individuo che la prova, l'altro è un'accettazione ragionata, codificata e schematizzata dell'emozione, trasferita sul piano dell'astrazione e per questo comunicabile.

 

Nel linguaggio, dunque, l'emozione rischia di svalutarsi, di ridursi, chiusa nei rigidi schemi comunicativi, che possono però  ammorbidirsi nell'espressione poetica. I tentativi e le ricerche che sono stati fatti in questo campo, hanno dimostrato che più ci si allontana dall'uso comune del linguaggio, più la comunicazione diviene difettosa, più l'emozione resta cristallizzata nelle forme altrettanto rigide del linguaggio destrutturato, comprensibile solo a coloro che ne conoscono la chiave.

In prosa, come per la comunicazione linguistica, il romanzo ha le sue regole: deve avere un incipit, una trama, una struttura ordinata, un epilogo che tiri i fili rimasti in sospeso, ma questa aderenza alle regole non giova all'espressione emozionale, o del sentimento, che fa leva su metafore e aggettivi, paragoni e similitudini, descrizioni volte a creare immagini visive. Certo lo scrittore più abile ha molte frecce al suo arco, ma la frase è sempre composta da un soggetto, un verbo e il periodo non è che un incastro di frasi.

Nel suo libro La Neve Di Marzo, per esprimere la sua emozione, nonostante le limitazioni del linguaggio, di cui ho ampiamente parlato, l'autrice adotta uno stile originalissimo, improntato a una sua tecnica poetica: l'accostamento inconsueto e a volte ermetico di due realtà, in modo che ne possa scaturire un'altra suggerita non alla logica ma al sentire emotivo.

 

Faccio un esempio che trovo molto interessante: I fili argentei di quella piccola donna si incastrarono con la mia curiosità”. Geniale: una ridda di impressioni, immagini. In questo caso l'autrice vuole subito mettere a nudo la sua emozione, più che suscitarla nel lettore, ma così facendo lo spinge a una comunicazione sul piano emotivo, empatico.

Se l'effetto in un primo momento è quello di sconcerto, quasi sgomento nella ricerca del significato logico, nel proseguire la lettura questo viene ignorato e si viene risucchiati in un mondo dove l'unica logica è quella empatica.

Da questo procedimento nasce anche la ricerca psicologica che disegna i personaggi, basata spesso sulla dissociazione dei ruoli e sulla diversa interpretazione emotiva dei fatti.

 

Ad esempio nella frase: Posso capirti come uomo, ma non come figlio, la dissociazione dei ruoli è l'unico mezzo per mediare una tollerabile vita interiore tra logica ed empatia, tra  regole sociali ed emozioni.

Comprensibile è dunque la posizione dell'autrice che usa il pragmatismo ai suoi fini, cercando un equilibrio tra la sua emozione da raccontare e il sentire del lettore, stabilendo quel legame lettore- autore che unico rende un libro un buon libro.

di Elvira Del Monaco Roll