LA SENTENZA: I COLLABORATORI/3

“TRATTATIVA” STATO-MAFIA/7^ parte. Continua il nostro viaggio per “svelare” la Sentenza di Primo grado, dove i magistrati hanno dimostrato il patto scellerato tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. Giovanni BRUSCA, mafioso, figlio di Bernardo Brusca, storico "capo mandamento" di San Giuseppe Jato e grande alleato di Salvatore Riina

LA SENTENZA: I COLLABORATORI/3
Brusca, u verru (il porco)

BRUSCA GIOVANNI

Non occorre soffermarsi sul ruolo di assoluto rilievo ricoperto da Giovanni Brusca nell'ambito dell'associazione mafiosa "cosa nostra" e sulla assoluta compatibilità, quindi, di tale ruolo con la conoscenza, da parte del detto dichiarante, di tutti i più importanti fatti che hanno caratterizzato la vita del predetto sodalizio criminale dalla fine degli anni settanta sino alla metà degli anni novanta e, più precisamente, al maggio del 1996 quando Brusca, dopo una lunga latitanza, venne arrestato ed iniziò a collaborare con la Giustizia.

Giovanni Brusca, invero, in quanto figlio di Bernardo Brusca, storico "capo mandamento" di San Giuseppe Jato e grande alleato di Salvatore Riina, ha percorso rapidamente tutte le tappe del percorso di crescita criminale dei "rampolli di mafia", commettendo, sin da giovanissimo molti omicidi insieme ad altri noti esponenti mafiosi di maggiore esperienza (tra i quali, innanzitutto, anche l'odierno coimputato Leoluca Bagarella) ed è assurto, infine, anche alla "reggenza" del "mandamento" di San Giuseppe Jato proprio negli anni in cui si sono sviluppati principalmente i fatti oggetto del presente processo.

Il ruolo raggiunto dal Brusca e la compenetrazione dello stesso nell'ambiente mafioso nel quale si era forgiato sin dalla nascita, tuttavia, hanno impedito al detto dichiarante, nel momento in cui aveva maturato la decisione di collaborare con la Giustizia anche per avere appreso dell'intendimento di Salvatore Riina di ucciderlo, di aprirsi senza remore e tentennamenti alla collaborazione medesima ("Come ho anticipato poco fa io per Totò Riina stravedevo, sarei andato oltre a quello che è stato il mio operato, ma per una sorta di ideologia verso la persona e verso Cosa Nostra. Appena ho letto quell'articolo sul Giornale di Sicilia che mio padre in tanti modi aveva cercato di mandarmi anche a dire però io non l'avevo percepito, perché non immaginavo tanto, perché forse le aveva ascoltate queste parole di Cancemi, lì io ... Signor Presidente, io quel giornale lo prendevo, lo guardavo, dico: "No, non è possibile". Lo mettevo più vicino per vedere se avevo capito bene, leggevo bene ed era così. Erano quelle parole scolpite come su una lapide, come un epitaffio, che erano là, non si poteva scappare e 'sta cosa mi ha fatto riflettere. Come mi ebbe a dire una grande persona "C'ho dovuto sbattere la testa". E

lì mi è caduto il mondo addosso, ma non tanto per la morte, perché si muore una volta sola e fa parte della vita, ma mi sono sentito tradito umiliato, usato, avevo fatto tutto per lui, cioè mi sono cascate le ... non glielo so spiegare, cioè mi sono... mi sono sentito, come si suol dire, niente, distrutto dentro di me, quel giorno io... c'era mio fratello latitante con me, quel giornale l'ho chiuso, l'ho buttato, l'ho bruciato, ora non mi ricordo, credo di averlo bruciato per non farglielo leggere perché assieme a me c'era mia moglie, mio figlio, i miei familiari, quindi non fargli leggere quella notizia che avrebbe creato già ulteriore stress a quella che era già la posizione di latitante e che eravamo già abbastanza, come si sul dire, pressati.

Da lì a poco sono stato tratto in arresto e, vuoi per rabbia, vuoi per tutta una serie di reazioni, vuoi che quello che veniva descritto, la mia persona all'esterno non mi ci rivedevo, perché avevo fatto tutto per Cosa Nostra, erano, tra virgolette, giustificazioni, perché poi i fatti sono quelli e non c'era niente da fare, però c'era questa... e per tale motivo scelgo di collaborare, ma tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, tant'è vero che l'inizio della mia collaborazione è stata dura, difficile, ma soprattutto sofferta.

E questo è stato il motivo principale, prevalentemente pensavo... Prevalentemente prima di tutto pensavo a mio figlio perché non volevo che... il primo mio pensiero che non andava... facesse la mia stessa fine, secondario nel senso che non riuscivo... cioè, avevo fatto un mare di danno, avevo distrutto tante vite, distrutto pure la mia e non sapevo più il perché... Ma inizialmente, per quello che ho detto poco fa, per un fatto caratteriale, cioè, almeno da parte mia non è stato facile, sino ad andare accusare fino a quello che il giorno prima ti ha aiuto nella latitanza e andarlo ad accusare non è stato... perché non erano tutti Totò Riina, quindi c'erano rapporti personali, c'erano di stima… c'erano rapporti personali, non erano tutti Totò Riina e quindi andarli ad accusare mi veniva difficile, lo ammetto, non è che era... c'era pure una sorta di risentimento sulle istituzioni, quindi c'era un complesso di... cioè, non era uno stato sereno, uno stato mentale sereno.

Dopodiché, superata questa prima fase che non è che è superata tutta, ma buona parte, si è aggiunto che c'è stato il ritorno in armi del collaboratore di giustizia Di Maggio Baldassarre e che io dicevo alla Procura di Palermo "Guardate che lui non è altri che ..." e questo fatto, signor Presidente, è stato interpretato come se io volessi screditare i collaboratori di giustizia, che non c 'entrava niente, io dicevo: "È tornato a sparare, è lui che sta facendo..." Chi toccava Di Maggio era come toccare la corrente elettrica a 24 mila volt in questo momento, quindi c'è stato questo rapporto con l'Autorità, in particolar modo con quella di Palermo, questa rigidità che mi è durata un po' del tempo.

Piano piano poi... man mano che le cose andavano cambiando, che ho dovuto lottare duro, faticoso, sostenendo sempre quello che avevo detto, naturalmente strada facendo poi le cose si sono sempre più chiarite, rettificate, però la radice era quella, e poi sono andato avanti fino ad arrivare oggi") e di accusare, quindi, persone che gli erano state particolarmente vicine aiutandolo anche durante la latitanza, come, ad esempio, Vito Vitale ("Vito Vitale è uomo d'onore della famiglia di Partinico, che in quel momento mi era molto vicino, sotto ogni punto di vista, umano, personale... è successo che io appena sono stato tratto in arresto, d'accordo con le Autorità Giudiziarie, per ottenere più risultati, abbiamo deciso di fare una sorta di collaborazione sotto banco per un periodo per catturare qualche latitante, cosa che è avvenuta. In questo periodo...  Quindi io frequentavo le aule di giustizia normalmente come se ero un detenuto, in queste circostanze comincio a parlare con mio fratello Enzo. Perché parlo con Enzo? Perché aveva visto, non lui ma Pietro Salerno, entrare il dottor Luigi Savino e Claudio Sanfilippo dentro il carcere...  E gli dico: "Guarda, sono venuti a cercare me per dirmi se volevo collaborare o meno", però non gli dico che già avevo dato il consenso, gli dico: "Vedi che ci sto pensando, vediamo quello che devo fare. Dice: "Eventualmente tu mi dai una mano d'aiuto a salvare, fra virgolette, e non accusare, non coinvolgere a Vito Vitale? "E lui mi dà il consenso, altrimenti non sarei caduto in questo sbaglio di...Sì. Racconto il fatto totale, che si trattava di un duplice omicidio avvenuto a Corleone, sostituendo mio fratello Enzo Brusca con Vito Vitale, pensando che mio fratello potesse pure collaborare, se io gli avessi dato il consenso, perché lui aspettava il mio consenso.

Ed io ho avuto lo star bene suo altrimenti non l'avrei fatto. E quando fu della calunnia, che con calunnia, con l'esperienza di oggi sinceramente non l'avrei fatto, io per non coinvolgere mio fratello mi sono addossato la colpa e sono stato condannato per calunnia"), oltre che di indicare i nomi di soggetti politici che avevano avuto rapporti con "cosa nostra"

P.M. TERESI Ho capito. Senta, vuole spiegare le ragioni per le quali Lei nel primo tratto della sua collaborazione e - debbo dire - anche per un lungo periodo Lei ha nascosto, celato, non detto il nome di Dell'Utri?;

IMPUTATO BRUSCA No, dottor Teresi, chiedo scusa, io non ho detto ... Il nome di Dell 'Utri basta leggere i verbali fatti con il dottor Chelazzi e si vede, non avevo detto il contatto avuto, Vittorio Mangano e Dell'Utri dietro mia richiesta di andare a contattare Dell'Utri per ottenere i benefici carcerari...Le ragioni, ripeto, c'era questa rigidità con il caso di Di Maggio, avuto con la Procura di Palermo... c'era anche la Procura di Caltanissetta che mi dava addosso e quindi più si andava avanti e più io mi irrigidivo e c'erano le domande sui presunti mandanti occulti, si possono vedere i verbali. Quindi c'erano queste domande precise fatte su... non lo dicevano chiaro, però, per quel poco di capire, si capiva che c'era un certo obiettivo, ed io mi irrigidivo, era una sorta di... a dire "Tu mi vuoi fare dire cose", era un mio ragionamento, attenzione. "Tu mi vuoi fare dire cose che io non so ed io non ti dico neanche questa, è una stupidaggine, ma non te la dico", perché nel frattempo con i confronti di Dell'Utri e di altri c'erano un sacco di accuse, dico, che cosa le... Questo è un mio ragionamento. Il tempo nel frattempo passava e ogni volta che io dicevo una parola c'erano sempre polemiche, c'erano sempre storie, quindi dissi...

Superato questo momento, signor Presidente, io per un lungo periodo ho ritenuto di non farlo più per non entrare in polemica, ogni volta si faceva il nome di politica, c'erano sempre storie, voglio andare avanti, stando lì che con la mia dichiarazione va a cambiare niente sulla posizione di Marcello Dell'Utri, quelle che erano le mie convinzioni. Quindi questa era fino a un dato punto").

Brusca, quindi, ha riferito in questo dibattimento di essere, da ultimo, riuscito a superare qualsiasi remora dopo un incontro avuto con la sorella del Dott. Borsellino ("Com'è noto io sono stato indagato principalmente ... sono stato indagato per estorsioni, riciclaggio e via dicendo. Prima però che sapessi di quest'indagine che poi è sfociata in quella nella... che oggi siamo arrivati a tentata violenza privata, io non lo sapevo che la Procura di Palermo stava indagando a 360 gradi, intercettazioni ambientali, telefoniche e via dicendo.... Nel periodo del 2009... A un dato punto mi viene contestato... il 17… settembre mi viene contestata quest'indagine, riciclaggio, estorsioni e via dicendo. Da subito io respingo le accuse dicendo che non era così.

Inoltre nessuna estorsione, nessuna cosa.... io nel frattempo però a questo fatto mi ero già incontrato con un familiare delle vittime.... m'incontro con Rita Borsellino... M'incontro con Rita Borsellino, quindi io capisco il sacrificio di questa persona che fa per incontrare me moralmente, psicologicamente, si sposta da Palermo per venire a trovare me in una località che ometto per motivi di opportunità, quindi io mi sento infinitamente grato verso questa persona, di stringermi la mano a me, a mio figlio, a mia moglie, alla presenza di tanti altri. Quindi per me quello è stato il giorno più importante della mia vita. Dopodiché, dopo quest'incontro, a distanza di un mese mi manda a dire attraverso a Roberto Guarneri che mi vuole vedere a quattr'occhi, che ha la necessità di chiedermi qualche cosa di particolare. Signor Presidente, non è che bisogno di fare due più due per capire, capisco che cerca la verità su suo fratello, novità su suo fratello, quindi la capisco. E ogni volta che io vado in permesso, come si può verificare dai permessi premi, prima di uscire chiamo Don Roberto e dico: "Faccia sapere alla signora che io sto andando in permesso, quando vuole sono a sua disposizione"...

Quindi non mi interessava il programma di protezione, non mi interessava niente, io volevo incontrare solo quella persona perché era di merita... per me è una persona... quello che mi ebbe a dire "Ci ha dovuto sbattere la testa" e le ho detto: "Purtroppo sì". Quindi io incontro questa persona, ripeto, quel giorno e sono state circa un'ora e mezza bellissime, signor Presidente, di un’emozione... Allora io, per tornare all'argomento, ogni volta che andavo in permesso la prima cosa che facevo chiamavo Don Roberto e gli dicevo: "Fai venire, cioè, fai sapere alla signora che io sto andando in permesso e fammi dire dove vuole, quando vuole e come vuole". Però a un dato punto quella signora, con una scusa, con un 'altra scusa, eludeva quest'incontro, una volta aveva un male, una volta aveva impegni politici, per me non pensavo ad altro.

Successivamente capisco che gli dicono che è meglio di non incontrarsi, ma questa è una mia... nessuno mi ha detto: "Sai la Dottoressa ... "… "Mi posso incontrare con Giovanni Brusca?" Dice: "In questo momento è meglio non incontrarci", ma questo, ripeto, è una mia deduzione. Finito. Quindi io capisco cosa vuole ed io alla signora Borsellino gli do l'anima, non m'interessa più ne giustizia, non mi interessano più polemiche, non m'interessa più niente. E allora, dopo che mi viene contestata quell'indagine, il primo è quello di volere in qualche modo no affrontare il dottore Ingroia per dire... lasciamo stare quello che gli volevo dire, però che poi... nel senso, mi conte... dopo due giorni, dopo queste dichiarazioni io faccio Modello 13, perché ho la necessità di potere conferire con la Procura di Palermo e specifico "Dottore lngroia". Lui non è venuto perché forse già era partito per il Guatemala, non so per dove, comunque non è venuto. È venuto il dottor Messineo e la dottoressa Sava.

Allora evito questa polemica, questo contrasto che volevo affrontare con il dottore Ingroia e vado ai fatti e dire: "Guardi che io fino ad ora non vi ho detto questo rapporto Vittorio Mangano che si è incontrato con Dell'Utri, pur raccontando il fatto, mancava solo questo fatto" e più tutta un'altra serie di circostanze. Ma perché io racconto questo? Perché io suppongo che la dottoressa Borsellino, perché il mio pensiero va a Lei, non va a nessun altro, siccome veniva divulgata quell'intervista con i francesi dove si pensava che Vittorio Mangano trafficante di droga con Dell'Utri e il dottor Silvio Berlusconi, quindi si potesse pensare che il dottor Borsellino sia stato ucciso per questo motivo, altre cose e lì per me non è così. Quindi io non aspetto più di incontrare la signora Borsellino, perché cerco di fare il mio dovere e dirlo ai Magistrati... Dopodiché io in quel momento, senza fare il nome della dottoressa Rita, della signora Borsellino, dico: "Guardate che io non ho altre conoscenze, c'è questo pezzo, vi mancava e ve lo dico... Per dire: "Da questo momento in poi mi potete mettere pure la microspia in testa, non c'è più niente da sapere", questo volevo dire").

Non v'è dubbio, però, che il travagliato sviluppo della collaborazione del Brusca, unito alla progressione e discordanza di molte sue dichiarazioni rese nel tempo (si rimanda, in proposito, alle molte contestazioni formulate dai difensori di cui si dirà esaminando in dettaglio le dichiarazioni rese dal Brusca medesimo sui fatti oggetto del presente processo), nonché anche alla circostanza che il predetto ha anche subito una condanna per calunnia anche se con sentenza ex art. 444 c.p.p. ("lo ho patteggiato dicendo che oggi anche quel patteggiamento non l'avrei fatto, perché mio fratello era consenziente, non l'ho costretto"), impongono una estrema prudenza nella valutazione delle dichiarazioni qui acquisite, pur senza che ciò possa condurre ad un preliminare e generale giudizio di non credibilità del soggetto e di inattendibilità delle sue propalazioni.

D'altra parte, come evidenziato dallo stesso Brusca, a questi è stata già riconosciuta la circostanza attenuante della collaborazione nella quasi totalità dei numerosi processi subiti ("Io sono stato processato, almeno con sentenze passate in giudicato, di più di cinquanta sentenze, cinquantuno, cinquantadue, ora non mi ricordo. Di cui quasi la totalità ho avuto l'articolo 8. Due sentenze sono prima che io cominciassi a collaborare, sono stato giudicato per la stessa volta al maxi processo e in un altro. Le altre sentenze, una quella di Lima che era all'inizio della mia collaborazione, quindi con tutta quella diffidenza. E non mi ricordo... comunque era cinque, sei sentenze che non ho avuto l'articolo 8, ma più che altro per l'inizio della mia collaborazione, ma mi venivano concesse le attenuanti generiche altrimenti avrei preso l'ergastolo. Dopodiché ho avuto circa quarantacinque, quarantasei, quarantasette in continuazione sempre articoli 8") e lo stesso, pur essendo stato ammesso al Programma di protezione soltanto nel 2000 per le vicende travagliate della sua iniziale collaborazione, poi, a seguito di ricorso, ha avuto riconosciuta l'ammissione a decorrere dal 1996 ("Ufficialmente marzo 2000 o 2002, in questo momento non… marzo 2000. Però successivamente facendo ricorso contestualmente con la mia difesa, l'avvocato Luigi Li Gotti, abbiamo avuto ragione, prima al Tar e poi al Consiglio di Stato, quindi posso dire dal 1966 in poi, sempre... '96, chiedo scusa").

Anche in questo processo, inoltre, Brusca ha manifestato una raggiunta consapevolezza della necessità di una sua definitiva collaborazione con la Giustizia ("Oltre a confermarla la rifarei mille volte, se potessi tornare indietro lo rifarei, purtroppo non è possibile potere restituire la vita alle tante vite umane spezzate. E poi quando penso al mio percorso penso a mio padre che credo che non avrebbe fatto lo sbaglio di portarci in questa strada. Con l'occasione, signor Presidente, chiedo scusa... all'inizio della mia collaborazione mi veniva difficile perché era duro, non volevo approfittare della mia posizione, però anche per senso di delicatezza, era un mio modo di vedere, chiedere scusa e perdono ai familiari era come andarli a mortificare un 'altra volta, per non dire un 'altra parola, quindi ci andavo con molta delicatezza. E prima di arrivare a questa conclusione ho dovuto lavorare tantissimo per dire che è arrivato il momento di fare il mio dovere, quello di chiedere scusa e perdono a tutti, alle vittime, ai familiari, ai cittadini, a voi Corte, a tutti'').

D'altra parte, anche la progressione e l'arricchimento nel tempo di una dichiarazione non è di per sé indice di sicura inattendibilità (per di più se estesa ad altre diverse dichiarazioni), purché si dia conto delle ragioni di ordine logico che giustifichino il successivo completamento o la successiva integrazione delle dichiarazioni medesime (cfr. Cass. Sez. VI 2 febbraio 2004 n. 17248, Agate), ragioni che, nella fattispecie, possono essere agevolmente individuate nell'iniziale intento del Brusca di non coinvolgere nella sue dichiarazioni soggetti che gli erano stati particolarmente vicini anche durante la sua latitanza e della inevitabile e "naturale" ritrosia di ad aprirsi verso coloro che per tutta la vita egli aveva visto come acerrimi nemici della sua famiglia di sangue, in quei territori in gran parte coincidente con l'organizzazione mafiosa.

Le dichiarazioni di Brusca Giovanni, pertanto, saranno utilizzate con estrema attenzione, scartando inevitabilmente tutte quelle parti, pur non direttamente concernenti responsabilità proprie o altrui, che siano prive di adeguato ed approfondito conforto esterno.

Sin da adesso, però, a conforto della conclusione sulla utilizzabilità ed utilità di molte dichiarazioni rese da Giovanni Brusca, va anticipato che proprio su uno dei temi più controversi esaminati in questo processo, quello degli assetti dell'organizzazione mafiosa "cosa nostra" dopo l'arresto di Salvatore Riina, proprio quest'ultimo, come si vedrà meglio esaminando le intercettazioni effettuate all'interno del carcere ove era detenuto, ha fornito un importantissimo riscontro sulla attendibilità del racconto del propalante qui in esame, che, per la sua eccezionalità, va ben oltre il punto specifico, riverberandosi positivamente sulla valutazione complessiva dell'attendibilità intrinseca dello stesso.

 

Per approfondimenti:

PRIMA PARTE, giovedì 21 maggio 2020Il Patto Sporco: la sentenza dimenticata

SECONDA PARTE, domenica 24 maggio 2020, Stato-mafia: la sentenza

TERZA PARTE, lunedì 25 maggio 2020, Le tappe della Sentenza dimenticata

QUARTA PARTE, martedì 26 maggio 2020, La Sentenza: i Corleonesi

QUINTA PARTE, giovedì 28 maggio 2020, La Sentenza: i Collaboratori/1

SESTA PARTE, sabato 30 maggio 2020, La Sentenza: i Collaboratori/2