“LA STORIA DI LEA GAROFALO (UNA DONNA, UNA MADRE, UNA CALABRESE TENACE) NEL TRENTENNALE DELLE STRAGI DI MAFIA”

SPECIALE LEA GAROFALO. Le Opere dei Ragazzi. Continuiamo, fino ad esaurimento dei lavori, a pubblicare le straordinarie composizioni degli Studenti che hanno partecipato alla prima edizione del Premio Nazionale dedicato alla FIMMINA CALABRESE, la donna che sfidò la schifosa 'ndrangheta. Per non perdere la memoria nel Paese senza memoria.

“LA STORIA DI LEA GAROFALO (UNA DONNA, UNA MADRE, UNA CALABRESE TENACE) NEL TRENTENNALE DELLE STRAGI DI MAFIA”

La storia di Lea, una donna, madre, una calabrese tenace nel trentennale delle stragi di mafia.

 

Lea Garofalo nacque il 4 aprile 1974 a Petilia Policastro, un comune italiano di poco più di 8500 abitanti nella provincia di Crotone in Calabria, paese per lo più montano.
Rimase orfana di padre a soli 9 mesi. Quest’ultimo, fu ucciso dalla mafia nella così chiamata “faida di Pagliarelle”, una ‘ndrangheta che estendeva affari e interessi anche oltre regione.

Essendo originaria di un territorio ad elevatissimo tasso mafioso dove le cosche della ‘ndrangheta le fanno da padrone, è stato impossibile per Lea non avere legami con quel mondo.

La debolezza di una ragazza non protetta da suo padre, però, l’ha portata molto presto a legarsi sentimentalmente a un giovane diciassettenne del posto, Carlo Cosco, del quale poi, ne è diventata la moglie.
Il marito era uno dei cosiddetti “boss” emergenti di una delle famiglie mafiose calabresi.
Nell’ingenuità che contraddistingue una giovane donna, ha capito solo più tardi di avere, probabilmente, scelto l’uomo sbagliato che l’ha sposata soltanto per far piacere ai vertici del gruppo mafioso di appartenenza e del quale lei non ne ha mai condiviso le logiche mafiose.

Nel frattempo, dopo essere diventata una madre, ha maturato il pensiero di allontanarsi da quel mondo, abbandonando il marito e, presa con se la figlia, ha deciso di lasciare Milano, città nella quale viveva la famiglia e nella quale il marito svolgeva i suoi loschi traffici, non prima di aver sporto denuncia contro di lui e il suo gruppo malavitoso, dando indicazioni chiare su luoghi e persone coinvolte.

Purtroppo le Autorità non hanno attivato alcuna forma di tutela nei loro confronti nonostante lei avesse affermato di esser in pericolo poiché, il marito le aveva minacciate tanto che, infatti, Lea è stata picchiata selvaggiamente, strangolata e il suo cadavere è stato soppresso, gettato alle fiamme e sciolto nell’acido.

Al di là dell’atrocità del fatto criminale, ritengo importante evidenziare quale sia il messaggio che ho ricevuto da esso: ha generato in me la convinzione che le donne possono cambiare il mondo.
Lea non c'è più ma il suo coraggio sta cambiando la vita di tante di loro.

A distanza di diversi anni dalla sua morte si vedono i segni della sua grande rivoluzione.
La forza di Lea, la storia della sua vita che è anche diventata un film, ha spinto molte donne che vivevano all’interno di famiglie mafiose a prendere una strada diversa, a
uscire da quel mondo, a liberare se stesse e i propri figli per conquistare una vita migliore. Tante di loro hanno riferito ai magistrati di essere state ispirate dalla storia di Lea.

Purtroppo, però, di quest’ultima, si è cominciato a parlare solo dopo la sua morte fino a diventare il simbolo della donna che si ribella alla ‘ndrangheta.

Lea Garofalo ha fatto da apripista. Oggi stiamo assistendo ad un fenomeno nuovo e in crescita dove le mamme degli ‘ndranghetisti chiedono di salvare i loro figli da un sicuro destino di killer o di vittime e dal loro contesto familiare, con il desiderio di allontanarli dal territorio. Il loro coraggio è una “rivoluzione” che sta scardinando un sistema dall’interno.

Il contesto nel quale vivo e nel quale è vissuta anche Lea per circa due anni, precisamente a Campobasso, quando era allo stremo delle forze, appare non abbia nulla a che vedere con i territori infestati dalla “mafia tradizionale”.

Ma chi può affermare che anche in Molise non esistano eventi criminosi di tipo mafioso? Mafia nascosta che magari è gestita dai cosiddetti “colletti bianchi”.
Lea è stata una donna davvero emancipata e lungimirante.

Il messaggio generato dal suo sacrificio dovrebbe giungere alle donne e agli uomini molisani ma anche a quelli di tutto il territorio nazionale.
L’amore che Lea ha dimostrato nei confronti della figlia Denise, la volontà di evitare che a questa fosse riservata la sua stessa sorte, l’ha portata alla morte.

Le logiche mafiose leggono questi comportamenti come “un affronto” e non accettano le reazioni da parte delle donne.
Il messaggio che tutte loro dovrebbero recepire è quello che: sarebbe opportuno, se non necessario, lottare per far accrescere la propria libertà, nella legalità, a tutela soprattutto di quei valori di madri e dei diritti propri e dei propri figli senza timori per la vita e per la paura di soccombere agli ideali mafiosi.

Silvestro Francesca, 3 B

Liceo Linguistico "Silvio Di Lalla", Casacalenda (Cb)

 

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