Le parole per dirlo - Memoria
SPECIALE GIORNO DELLA MEMORIA. Celebrare il ricordo dell'Olocausto guardando al presente.

Fra pochi giorni si celebrerà la giornata mondiale della memoria. Ogni anno, il 27 gennaio, il mondo intero ricorda le vittime dell’olocausto, quei circa 17 milioni di persone che fra il 1933 e il 1945 furono barbaramente trucidate dalla furia nazista. Non solo ebrei, ma anche minoranze etniche come i Rom e i Sinti, gli omosessuali, i portatori di handicap fisici e/o mentali, gruppi religiosi come i Testimoni di Geova. Tutti coloro che non rientravano nella definizione di razza ariana, così come era stata idealizzata dalla mente malata di Adolf Hitler e messa in atto dai suoi fidi seguaci, furono seviziati e uccisi, senza alcuna pietà.
A oltre settanta anni di distanza, oggi più che mai è necessario celebrare la giornata della memoria, tornando a riempire questo vocabolo dei profondi significati che l’olocausto ha brutalmente svuotato. Memoria come onore ai diversi, come riconoscimento della pari dignità di tutti gli esseri viventi, come monito perché ciò che accadde in quei campi di concentramento non si ripeta mai più.
Ogni anno le celebrazioni che, più o meno pomposamente riempiono le pagine dei giornali e gli schermi delle TV, ci restituiscono una sensibilità che nella realtà sembra purtroppo poco rintracciabile.
Quest’anno i fantasmi delle vittime dell’olocausto nazifascista rivivono nelle migliaia di disperati che si ammassano sulle frontiere orientali dell’Europa. Nel campo di Lipa, in Bosnia, a poche decine di chilometri dal confine con la Croazia, tentano di sopravvivere un migliaio di migranti, per lo più provenienti da Afghanistan, Pakistan, Siria.
Altre svariate migliaia sono accampate nei boschi circostanti. Temperature glaciali di parecchio sotto lo zero, rifugi di fortuna, abbigliamento non idoneo a fronteggiare la neve e il ghiaccio, queste persone, molte delle quali minorenni, sono alla disperata ricerca di un varco per l’Europa: Italia, Germania, Francia sono le mete agognate e irraggiungibili, mentre la polizia bosniaca fatica a ricacciarli continuamente al di qua della frontiera.
Le condizioni di vita nel campo di Lipa sono ai limiti dell’umana decenza. Manca il cibo, manca il riscaldamento, mancano medicinali, manca qualsiasi tipo di conforto per gente che ha alle spalle un viaggio di migliaia di chilometri, alla mercé di trafficanti spudorati e senza pietà che hanno drenato loro ogni centesimo per assicurargli l’arrivo in Europa.
Ed è questa l’Europa nella quale sono approdati, una Europa chiusa a riccio su se stessa, incapace di mostrare un briciolo di empatia e di solidarietà. Un’Europa che brandeggia lo spauracchio del virus per respingere con ancora più forza queste poche migliaia di disperati che bussano alla sua porta.
Se è questa l’Europa che ogni anno di accinge a celebrare la giornata della memoria allora vuol dire che questa Europa non ha appreso alcun insegnamento da quei tragici eventi che insanguinarono le sue terre più di settanta anni fa, non ha imparato quella tremenda lezione di odio e di follia di cui furono vittime innocenti milioni di persone.
Se queste lezioni non sono state interiorizzate, se questi insegnamenti non si sono radicati nella coscienza profonda del Continente, allora evitiamo l’ipocrisia delle celebrazioni e preoccupiamoci del fatto che quegli eventi, quelle tragedie potranno ripetersi. Fintanto che non riempiremo il vocabolo “memoria” di insegnamenti veri e concreti, non saremo al sicuro, nessuno di noi sarà al sicuro. Non solo i migranti che oggi muoiono di freddo a Lipa, a poche decine di chilometri dai confini europei.
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