«L’effetto più immediato sarà una limitazione della capacità dello Stato di perseguire condotte illecite»

L'INTERVISTA sulle riforme della giustizia al magistrato Giuseppe Tango, Presidente della Sezione di Palermo dell'ANM, Associazione Nazionale Magistrati, e Giudice della Sezione Lavoro al Tribunale di Palermo.

«L’effetto più immediato sarà una limitazione della capacità dello Stato di perseguire condotte illecite»


Negli ultimi anni ci sono stati diverse riforme sulla giustizia. Partiamo dall'inizio, dalla riforma Cartabia, riforma della quale stiamo iniziando a subire gli effetti. In che cosa consiste e che effetti ha riversato nel mondo giudiziario?

In realtà, l’inizio del percorso di allontanamento da quel sapiente e meraviglioso modello di magistratura – che in tanti all’estero ci invidiano- così come disegnato e concepito in modo autentico dai Padri Costituenti è stato intrapreso dalla riforma “Castelli -Mastella”.  Con la riforma “Cartabia”, poi, si è assistito ad una maggiore gerarchizzazione degli uffici giudicanti, ad una minore indipendenza interna dei magistrati, ad un rischio di maggiore “ansia di carriera” e di conformismo nelle decisioni …tutto ciò di cui cittadini e operatori del settore non sentivano proprio il bisogno.

Il 29 maggio di quest'anno, invece, è stata approvata in CDM la riforma della giustizia. Si parla di separazione delle carriere; la nascita di un nuovo CSM, oltre a quello già esistente e dell'Alta Corte; sanzione dei magistrati. Addirittura si dice che è la fine della mala-magistratura. A cosa serve, concretamente, questa riforma? Anche perché è stato citato diverse volte Giovanni Falcone e si parla di realtà che volevano Berlusconi, Craxi e per ultimo Licio Gelli con la P2...

Magari…perché, se così fosse, una siffatta riforma non si potrebbe che sostenere. Purtroppo invece non solo non contribuirà a risolvere – e ciò lo affermo senza timore di smentita, vivendo quotidianamente all’interno delle aule giudiziarie - neanche in minima parte i veri mali del sistema giustizia, che sono sotto gli occhi di tutti (lentezza dei procedimenti, errori giudiziari, sovraffollamento delle carceri, carenza cronica di risorse umane e di mezzi); ma, al contrario, determinerà minore qualità della giurisdizione e minore garanzia dei cittadini. 

Quanto ai nomi citati occorre fare chiarezza: Gelli era a favore della separazione; Borsellino ebbe a esprimersi in modo univocamente contrario in un’intervista pubblicata l’11 dicembre 1987; Falcone, al di là del noto tentativo di mistificazione delle sue parole, ha dimostrato con i fatti il suo pensiero al riguardo, passando da una funzione ad un’altra per ben quattro volte.

Andiamo al DDL Nordio, approvato in Senato prima e alla Camera poi e partiamo proprio dall'abolizione dell'abuso d'ufficio. Abolendo l'abuso d'ufficio, per alcuni addirittura era la paura della firma per gli amministratori, che cosa succede?

All’evidenza l’effetto più immediato sarà una limitazione della capacità dello Stato di perseguire efficacemente condotte illecite realizzate dai “colletti bianchi” e contestualmente una minore tutela per il cittadino, nel caso, per esempio, di violazione degli obblighi di astensione, dolosa alterazione di concorsi pubblici o assegnazione di appalti, lavori o servizi pubblici, in assenza di evidenza pubblica, di condotte vessatorie da parte di pubblici ufficiali che cagionino danni al comune cittadino, ecc.

Quanto alla “paura della firma”, l’ultima versione della disposizione era così restrittiva che risultava quasi impossibile che un pubblico ufficiale potesse incorrere in tale reato commettendo un errore in buona fede. E se ad esprimere preoccupazione sul punto non è solo l’A.N.M. ma anche il Consiglio d’Europa contro la corruzione (e considerato anche che in 25 Stati europei il reato di abuso di ufficio è ancora previsto), non sottovaluterei gli effetti di questa abrogazione.

Altro punto cardine è la limitazione delle intercettazioni...

Il principio del rispetto della riservatezza delle conversazioni private e l’attenzione alle esigenze di spese sono sacrosanti, ma non possono diventare il grimaldello per limitare eccessivamente tale fondamentale strumento di indagine, mediante il quale tanti risultati significativi sono stati ottenuti.

Andiamo alle misure cautelari. Verrà introdotto un organo collegiale, formato da 3 giudici, per l'adozione della custodia cautelare invece del giudice monocratico, al quale era affidato fino ad ora. Inoltre il giudice, prima di disporre una misura cautelare, dovrà interrogare l'indagato previo deposito degli atti, in modo da consentire la difesa preventiva. Non c'è il pericolo di fuga da parte dell'indagato, visto che verrà informato prima delle indagini, e un dispendio inutile di risorse e tempi che riguarda il nuovo organo?

Qui il problema è duplice. Da un lato, le esigenze di garantismo si scontrano con la dura realtà della scopertura degli organici della magistratura e delle previste incompatibilità nel processo penale, tale per cui soprattutto (ma non solo) nei piccoli tribunali questa previsione sarà difficilmente realizzabile senza creare enormi disagi.  Dall’altro lato, è innegabile che aumenterà il rischio di fuga da parte di chi, conoscendo in anticipo che su di lui pende una richiesta di misura cautelare di custodia in carcere ed essendo a piede libero, avrà tempo e modo per realizzarla.

È giusto limitare di proporre l'appello al pm contro le sentenze assolutorie di primo grado?

Fermo restando che statisticamente erano pochissimi i casi di appello da parte del PM nell’ipotesi di proscioglimento per i reati elencati nel nuovo decreto, mi limito ad osservare che sorprende che, in tema di separazione delle carriere, i sostenitori della riforma inneggiano ad una assoluta simmetria tra i poteri processuali del pubblico ministero e quelli dell’imputato, mentre qui il legislatore vada in direzione opposta.

Per cercare di salvarsi la faccia con il ddl carceri è stata reintrodotta la fattispecie di reato e cioè il “peculato per distrazione”. Ma può realmente andare a sostituire l'abuso d'ufficio?

Ovviamente no, perché – come bene ha detto anche il Ministro – si tratta di due ipotesi diverse. Soltanto alcune fattispecie continuano a rientrare nel nuovo reato e ciò dimostra come la necessità dell’intervento penalistico permanga almeno sul versante della destinazione dei fondi pubblici. Ma attenzione: abbassando la pena massima a tre anni non saranno più possibili su questo fronte arresti cautelari. Complessivamente se ne ricava ancora una volta il quadro di una giustizia più indulgente nei confronti dei “colletti bianchi” rispetto al comune cittadino, senza giustificazione alcuna, con buona pace del principio secondo cui “legge è uguale per tutti”, ma – a quanto pare- per una certa categoria è “più uguale degli altri”.

 

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