L’eterna pandemia della schiavitù sessuale

TRATTA. Il 5 giugno una maxi operazione ha coinvolto le province di Firenze, Torino, Foggia, Pistoia, Chieti e il cuneese. Lo sfruttamento della prostituzione non si è fermato durante il lockdown e si rafforza nella ripartenza. Prima parte dell’intervista a Irene Ciambezi della Comunità Papa Giovanni XXIII.

L’eterna pandemia della schiavitù sessuale
Non siamo in vendita, libro di Irene Ciambezi (Comunità Papa Giovanni XXIII)

Agadez, questo il nome dell’operazione di Polizia che il 5 giugno scorso ha smantellato una rete criminale con le accuse di sfruttamento della prostituzione, tratta di esseri umani e riduzione in schiavitù. A capo dell'organizzazione 5 nigeriani e un italiano, tutti arrestati. Coinvolte le province di Firenze e Torino, il cuneese e Chieti. Le attività criminali erano organizzate «da un gruppo criminale che si arricchiva sfruttando le giovani ragazze africane, alcune delle quali minorenni.

Gli sfruttatori reclutavano le vittime nei loro paesi di origine e poi le facevano entrare clandestinamente in Italia al termine di un viaggio infernale, che prevedeva l’attraversamento del deserto sahariano e un lungo soggiorno nelle connection houses libiche, veri e propri lager, dove le ragazze venivano schiavizzate nell’attesa di essere imbarcate.

Il viaggio costava diverse migliaia di euro e le giovani erano obbligate a ripagarlo prostituendosi e impegnandosi anche con riti di stregoneria Voodoo, con i quali le ragazze si convincevano di poter morire o diventare pazze se non ripagavano il debito.

Gli ingenti guadagni dell’organizzazione venivano reinvestiti dalle madame acquistando immobili nei loro paesi di origine o per finanziare l’arrivo di ulteriori ragazze da mettere in strada». L'ultima operazione, avvenuta l'8 giugno, ha coinvolto la città di Siena: sono stati arrestati due uomini che avevano messo in piedi un «vero e proprio business tra lo spaccio di stupefacenti e lo sfruttamento della prostituzione»; un’altra operazione è avvenuta il 12 giugno e ha interessato Catania, Messina, Caltanissetta, Verona, Novara e Cuneo.

Queste sono solo alcune delle ultime notizie che giungono dalla Polizia di Stato: l'operazione Agadez ha coinvolto nuovamente l’Abruzzo, a sei mesi dall’ultima maxi operazione contro la mafia nigeriana. A tal proposito appare costante e capillare l’attenzione allo sfruttamento della schiavitù sessuale nelle relazioni semestrali della Direzione Investigativa Antimafia.

Il lockdown non ha fermato i sistemi criminali che ora, nella fase di ripartenza, si stanno riorganizzando e cercano pertanto di rafforzarsi sui territori: nei mesi più bui dell’emergenza sanitaria le cronache hanno riportato che varie persone sono state fermate, soprattutto nell’area metropolitana pescarese, per aver violato le norme anti-contagio perché cercavano ragazze sfruttate (sulla bonifica del tronto è infatti stata segnalata la presenza di ragazze costrette a prostituirsi anche di giorno). Aòtresì, il 28 maggio è stato arrestato a Valona un albanese condannato in via definitiva a 9 anni e 10 mesi per sfruttamento della prostituzione e spaccio, coinvolto in un’operazione dei carabinieri di Vasto e Montesilvano contro un sodalizio criminale di oltre 60 soggetti, legati da un patto d’acciaio per la gestione del traffico di droga. Il soggetto era fuggito dall’Italia ed era arrivato prima in Belgio e poi in Albania, dove sfruttava il cognome della moglie residente a San Salvo.

Su questo argomento abbiamo intervistato Irene Ciambezi della Comunità Papa Giovanni XXIII, da tanti anni in prima linea contro la tratta e nella liberazione delle donne sfruttate e schiavizzate, per analizzare i traffici criminali e la doverosa mobilitazione civile. Pubblichiamo oggi la prima parte.   

Come sè cambiato, durante il lockdown, lo sfruttamento della prostituzione e – in questo primo mese dopo l’uscita – cosa avete già potuto constatare?

«Il dato positivo secondo noi è che il lockdown non ha fermato l’attività di indagine e contrasto da parte delle Forze dell’Ordine. Possiamo far riferimento al caso di Ferrara contro la tratta delle nigeriane, un caso di sfruttamento della prostituzione minorile. La tutela delle vittime deve essere sempre accompagnata da un contrasto costante. Emerge dai report periodici delle forze dell’ordine e i racconti delle ragazze che mafie come quelle nigeriane hanno rapporti sul territorio con italiani, che sono un loro punto di forza.

Non è possibile tracciare una mappatura precisa di quanto accaduto nei territori, anche durante il lockdown, perché le attività delle associazioni anti-tratta sui territori si sono ovviamente dovute fermare – nelle ultime due settimane ripartendo, anche se con limitazioni, abbiamo riscontrato un massiccio ritorno della prostituzione in strada – e lo sfruttamento al chiuso in case e alberghi. In molti casi, non potendo rimanere negli alberghi, durante il lockdown le ragazze sfruttate si sono appoggiate addirittura dai clienti.

Questo ha creato un nuovo terribile sfruttamento: questi «clienti» hanno considerato come una sorta di «giocattolo» da sfruttare a «piacimento» le ragazze, fragili e indifese in una situazione di estrema necessità e quindi di fatto in balìa di questi clienti. Questo imporrebbe di riflettere sul collegamento tra lo sfruttamento della tratta e le violenze di genere, fondamentale per la Comunità Papa Giovanni XXIII e altre associazioni, ma mai approfondito a dovere: lo sfruttamento è una violazione dei diritti delle donne da parte di chi esercita violenza di genere e considera la donna un oggetto da dominare. Quando le persone si trovano in situazione di grande chiusura, come nel lockdown, le donne si trovano davanti a nuove forme di sfruttamento. Caso emblematico è l’utilizzo di internet.

Va sottolineato che la prostituzione non potrà mai essere considerato un lavoro come gli altri, i rischi sono troppo alti (come ribadito nei mesi scorsi anche dall’OCSE) e il concetto di lavoro, come sancisce anche l’articolo 3 della nostra Costituzione, è legato ad un concetto di benessere».  

Quali mafie e organizzazioni criminali ci sono dietro? È possibile tracciare una mappa dello sfruttamento criminale?

«Lo sfruttamento negli anni si è modificato, soprattutto nel caso delle mafie nigeriane appare ormai centrale il fenomeno del giuramento chiamato juju, pratica di magia nera praticata nei paesi di origine, che le lega alle madame che, in alcuni casi, le sfruttano anche rimanendo nello stesso paese di origine. La figura della madame non ha più comunque il ruolo centrale che aveva in passato, stanno emergendo altre intermediarie che hanno un peso significativo sin dall’inizio del viaggio verso l’Italia. Nell’attraversamento della rotta libica, per esempio, o già sul suolo italiano ci sono personaggi che hanno un ruolo di adescamento con la tecnica del loverboy, soprattutto nello sfruttamento di ragazze albanesi.

Il loverboy è un ragazzo che promette un futuro ricco e di successo in Europa, le ragazze vengono circuite e adescate da chi diventa un «fidanzato» e poi si rivela un aguzzino che le sfrutta. Questi meccanismi scattano in Italia anche nel caso dei centri per i richiedenti asilo, per questo ci battiamo da anni per l’identificazione nei percorsi migratori delle potenziali vittime. Chi parte da situazioni di particolare fragilità può cadere facilmente nelle reti dello sfruttamento, anche se è presente nei circuiti dell’accoglienza. È uno sfruttamento che incatena le ragazze, facendole restare anche incinte e trasferendole in altri Stati (come la Germania) dove la prostituzione è regolamentata e quindi ci sono meno controlli: In paesi come la Germania infatti vengono sfruttati anche i contributi pubblici a sostegno della natalità».

Quali dinamiche e come i sistemi criminali cercano di rafforzarsi?

«È sempre più forte la presenza di gruppi criminali con organizzazioni interne che prevedono riti di affiliazione, gerarchie definite e codici di comportamento come le mafie nigeriane, attive in maniera massiccia anche nel traffico di droga. In molti casi sono anche giovanissimi che si affiliano ad una sorta di club, anche in contesti universitari e altri circuiti in cui c’è una conoscenza e un’istruzione alta, e si organizzano anche in Europa sfruttando la prostituzione come canale più facile per guadagnare soldi assolutamente non tracciabili. E il denaro facile della prostituzione è fondamentale per quelle reti criminali che puntano a finanziare il traffico di droga e di armi.

Negli ultimi mesi ci si sta interrogando molto sullo spostamento dello sfruttamento, soprattutto delle ragazze nigeriane dalla strada a strutture al chiuso, anche con modalità online tramite piattaforme web ancora legittime in Italia e legate alla pornografia. Siti dove le ragazze vengono recensite, e dove può apparire una loro libera scelta prostituirsi e invece dietro ci sono organizzazioni che le sfruttano. Soprattutto per le ragazze straniere è raro ci sia un livello di autodeterminazione e libertà che non appartiene alle loro «culture». 

Don Oreste Benzi diceva che dobbiamo prima liberare le schiave e poi valutare un’eventuale scelta libera: in tante culture c’è un’idea di mercificazione della donna. Una scelta è meno che rara, anche in culture come quelle occidentali dove sono stati fatti molti passi in avanti spesso si tratta di ragazze che hanno già subito violenze dall’adolescenza e per questo scattano meccanismi di svendita di se stesse. Percepiscono di «valere» solo svilendosi e svendendosi. La nostra Associazione accoglie da sempre ragazzine abusate che vivono processi di annichilimento e perdita della propria identità.

Abbiamo verificato anche situazioni di ragazzine che anche sui social network, da facebook a telegram, hanno contatti a distanza che cercano di adescarle o, per esempio, invitarle a feste in discoteca in cui alla fine le costringono a vendere il proprio corpo. Un altro canale che abbiamo scoperto è quello di film del cinema nigeriano: in alcune città ci sono infatti organizzazioni di provini dietro cui si nascondono traffici criminali. Sono quindi diverse le forme di adescamento che puntano sulla giovane età e soprattutto sulla mancanza di una formazione culturale solida e sull'assenza di reti parentali. Per questo puntiamo su forti percorsi comunitari al di fuori dei quali le ragazze possono essere facilmente e ripetutamente adescate».