«Lettera alle vittime di mafia»

SPECIALE LEA GAROFALO. Le Opere dei Ragazzi. Da oggi, fino ad esaurimento dei lavori, iniziamo a pubblicare le straordinarie composizioni degli Studenti che hanno partecipato alla prima edizione del Premio Nazionale dedicato alla FIMMINA CALABRESE, la donna che sfidò la schifosa 'ndrangheta. Per non perdere la memoria nel Paese senza memoria.

«Lettera alle vittime di mafia»

La storia di Lea Garofalo, una donna, una madre, una calabrese tenace nel trentennale delle stragi di mafia.

A tutti coloro che sono stati privati della propria libertà dalla mafia.  

Sono oggi innumerevoli le vittime di mafia, non solo coloro che sono morti, ma tutti quelli che vi sono nati o sono venuti a far parte della mafia e pentiti in seguito: tutti loro si sono ritrovati in difficoltà nel corso della loro vita.

Quest’anno si celebrano i trent’anni della morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due figure il cui lavoro è stato fondamentale nella lotta alle mafie. Un’infinità di altre persone, la cui storia deve essere ricordata e d’ispirazione, sono state coraggiose lottando contro la mafia, ma oggi vorrei ricordare e rendere protagonista Lea Garofalo, una donna e madre estremamente tenace.

Lea nasce a Petilia Policastro nel 1974 in una famiglia ‘ndranghetista. Successivamente si innamora di Carlo Cosco, altro mafioso, che gestisce il traffico di droghe insieme alla famiglia Garofalo a Milano, dove Lea lo seguirà. A 17 anni ha una figlia, Denise. Lea decide di non voler far crescere la figlia in un ambiente mafioso e si trasferisce a Bergamo, appena Carlo viene arrestato. Decide poi di tornare a Petilia Policastro e di denunciare tutto ai carabinieri, diventando testimone di giustizia. Madre e figlia entrano nel programma di protezione, che causa l’inizio di una serie di spostamenti.

Escono dopo dal programma di protezione e vengono messe in contatto con l’avvocato Enza Rando. In difficoltà economica, Lea chiede supporto a Carlo, che le offre una casa a Campobasso; qui sopravvive a un tentato rapimento: avrebbe dovuto essere portata in Puglia, avrebbe confessato e dopo sarebbe stata sciolta nell’acido. Mesi dopo madre e figlia si trovano a Firenze. Lea chiede nuovamente aiuto economico a Carlo per Denise, le due quindi si spostano a Milano per raggiungerlo. Mentre Denise si trova dai parenti e si allontana dalla madre, Lea viene strangolata da Carlo e dai suoi complici. Viene poi fatta a pezzi e bruciata per tre giorni. Carlo dice poi a Denise che Lea era fuggita in Australia, ma ella non gli crede e denuncia tutto ai carabinieri. Essi le dicono di fingere di credergli e di ascoltare segretamente i suoi discorsi.

Nel 2010 Carlo e i suoi fratelli vengono arrestati e un anno più tardi inizia il processo, che si conclude con la condanna all’ergastolo; due anni dopo si svolgono i funerali di Lea.

Lea e Denise devono essere un esempio per tutti quanti: l’estremo coraggio di due donne di denunciare, mettendosi in pericolo, di opporsi alla mafia e di porre fine a una famiglia ‘ndranghetista.

Non oso nemmeno provare a immaginare la paura di Lea, i momenti di panico e la sua depressione, tutte e tre emozioni probabilmente ricorrenti nel corso della sua vita, ma nonostante ciò ha lottato fino a quando ha potuto. Ella deve essere ricordata e il suo coraggio deve aiutare e ispirare tutti coloro che si trovano in una situazione simile alla sua. Le sue idee continuano a lottare con noi anche dopo la sua morte.

La legalità nelle scuole sicuramente influenzerà le generazioni odierne e quelle future ad opporsi alla mafia denunciando e testimoniando.

Lo Stato da solo non può porre fine alla mafia, le vere fondamenta della lotta alle mafie siamo tutti noi e le nostre parole e azioni.

 

Anna Lucia Fossi, 1LA

Liceo Artistico "Fausto Melotti", Sez. Lomazzo (Co)

 

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