Lo strano caso delle file in ospedale… al tempo del Covid

LA TESTIMONIANZA. «Allora tu aspetti, il tempo passa, l’infermiera esce, ti dà le impegnative e tu vai. Non sai mica bene dove andare, chiedi a Tizio e a Caio e a Sempronio per non sbagliare. Sei prudente, non sai le cose, perché “perdere” altro tempo? Allora vai, premi il tuo tasto per fare la fila, quello stesso tasto che ti aveva suggerito Sempronio, e osservi: ore 12:11, sei numero 95 ed hai altre 35 persone davanti a te!»

Lo strano caso delle file in ospedale… al tempo del Covid

Quando si fissa una visita medica, lo si fa perché si ha davvero necessità di farla. Tutti, chi più e chi meno, abbiamo vissuto l’ansia, la paura, la preoccupazione di una visita medica. Tutto parte da giorni prima, la famosa preparazione, che ti crea stress, qualche rinuncia abbordabilissima per poi tornare a fare la vita di sempre, dopo l’esame. Già, dopo l’esame. 

La mattina dell’esame, specialmente se si tratta di un esame invasivo, non puoi andare assolutamente da solo o da sola, ti devi far accompagnare da tuo marito, tua moglie, da un genitore, un amico. Insomma, tornare a casa da soli non si può, è un protocollo scritto e deve essere rispettato.

Così si arriva, si fa la fila per entrare, scanner per la febbre, il check: “Dove state andando? ...la mascherina" e si procede. Si arriva puntuali, fateci caso, quando si deve fare una visita medica si arriva sempre in anticipo.

L’infermiera prende l’impegnativa, ti fa accomodare e inizia l’attesa. Già, l’attesa.

Molto spesso di pochi minuti, altre volte… no! L’ansia sale, ma se fai come Peter Pan che prendi il tuo pensiero positivo e lo rendi reale, quasi ti dimentichi di dove sei e cosa stai facendo e il tempo scorre più veloce. Arriva il tuo turno.

Intanto attorno a te senti le prima “grida” di persone che hanno avuto impegnative sbagliate e devono “rifare la fila”, oppure hanno preso il biglietto sbagliato, ma era un’altra la fila da fare. Persone che vanno dal medico lasciando la moglie o il marito ad aspettare per l’esame e chiedono cosa debbano fare, quando farlo e, soprattutto, dove farlo. Il tempo passa. E ne passerà molto. Pensate al “pensiero felice”, tenetevelo stretto. Servirà.

Distanziamento sociale, mascherina, ma si cerca di parlare, anche se spesso non si capisce cosa si dice e si deve ripetere. Intanto tuo marito o tua moglie o tua madre, tua figlia o tuo nipote entrano per fare l’esame e tu… aspetti. Non aspetti solo che l’esame finisca, ma che l’infermiera a cui hai dato le tue impegnative, te le ridia per andarle a pagare. Il pagamento va “giustamente” fatto dopo, a seconda di come sta andando l’esame, se c’è una cosa da inserire oppure da non inserire ed esce la somma da pagare.

Diciamo che non c’è nulla di male. Come si fa a saperlo prima?

Allora tu aspetti, il tempo passa, l’infermiera esce, ti dà le impegnative e tu vai. Non sai mica bene dove andare, chiedi a Tizio e a Caio e a Sempronio per non sbagliare. Sei prudente, non sai le cose, perché “perdere” altro tempo?

Allora vai, premi il tuo tasto per fare la fila, quello stesso tasto che ti aveva suggerito Sempronio, e osservi: ore 12:11, sei numero 95 ed hai altre 35 persone davanti a te!

Trentacinque persone davanti per pagare? Inizi a farti delle domande, forse lecite, forse sbagliate, ma intanto pensi: l’ospedale è il luogo più sicuro, ma per pagare devi fare una fila di oltre 80 persone tutte messe in uno spazio tendenzialmente piccolo, tutti con la mascherina, tutti “sani”, tutte persone che sono al limite della sopportazione perché anche loro, come te, stanno aspettando senza capire “se” ci fosse un modo diverso per pagare una prestazione nell’era del Covid evitando la fila.

Troppi, il tempo passa, non sai se l’esame è già finito, allora torni su, il tuo “caro” non c’è ancora, allora torni giù. Intanto sono passati altri minuti e non si vede la via per finire quella mattinata interminabile. 

Din don il numero 63 allo sportello 5. Inizi a pensare “Mamma mia, altri 32 prima di me!”. Il tempo passa, risali su, inizi a guardare dalla balconata la fila e, intanto, guardi la porta se il tuo “caro” si veda arrivare, d'altronde sono già passati 55 minuti!

Torni giù, vai a verificare a che numero sono arrivati, ti infili cautamente tra le persone, guardi il tabellone AA 74, "bene, bene – pensi – stanno procedendo!"

Intanto prendi un caffè, tiri giù per un attimo la mascherina (il caffè diventa davvero una scusa, sono ore che non respiri, sono ore che sudi, sono ore che non hai la mente lucida). Torni su, finalmente il tuo “caro” viene accompagnato fuori dall’infermiera che ti guarda e ti chiede “Ma ancora non paga?”, tu scuoti la testa in senso di arresa e, dopo un saluto brevissimo, torni giù e continui a fare la fila.

Passa ancora del tempo, sono le 13:18 e, finalmente, sei allo sportello numero 2 a pagare. La fila è ancora lì, ci sono i tuoi “amici” di ventura con cui hai parlato per ore in sala di attesa che stanno facendo ANCORA la fila per pagare. Prendi la ricevuta, ringrazi, sei sollevato e corri su dal tuo “caro”, lasci le copie all’infermiera che “si scusa per il tempo” e ve ne tornate a casa.

Il tutto in 4 ore di tempo, in un mondo in cui dovrebbe essere tutto più protetto, tutto più sistemato, tutto più veloce per evitare file e assembramenti. Ma purtroppo il mondo che ci immaginiamo non è il nostro, si vede solo nei film.

Comunque l’esame tutto bene, alla fine questo è quello che conta, vero?