Natale a Rebibbia

Mentre gli Italiani arrancano e appaiono sempre più sfibrati e il governo Conte cerca di rimanere in piedi, a Rebibbia la politica dello sganascio sfila in processione davanti a uno dei protagonisti degli ultimi anni della vita pubblica del nostro Paese: il pregiudicato Denis Verdini.

Natale a Rebibbia

A saperlo, Neri Parenti avrebbe evitato di scomodare i marziani. E pure di riesumare la versione flaccida e raggrinzita di Boldi e De Sica per il cinepanettone del 2020. Bastava avvisarlo. Bastava spostarsi qualche chilometro più su di Cinecittà, nella periferia nord-est di Roma, per trovare set e sceneggiatura perfette per il film da sganascio delle feste (anomale) di quest'anno.

Il cinepanettone, da sempre elogio della mediocrità e dell'assurdo, è un momento di abbuffate collettive, di mascelle che si muovono ingurgitando ghigni e sghignazzi, tutti pronti a ingolfarsi di risate a crepapelle per le trovate più grottesche e ridicole che l'italianità media (e mediocre) riesce a partorire ogni volta.

Ma quest'anno non c'era bisogno di spostarsi su Marte, davvero. Anche perché i marziani, al solo pensiero di vederci sbarcare lassù da loro, inventerebbero una qualsiasi scusa per non farsi trovare. Spariti, evaporati, estinti.

E invece da queste parti siamo costretti ad essere spettatori (pure) paganti della commedia delle commedie: la crisi di governo. Che pende sulle nostre teste in tempi di pandemia e incertezza, foraggiata da uno stuolo di mendicanti di poltrone, prebende, incarichi, nomine, soldi e potere talmente imbarazzante da far impallidire persino certi vecchi volponi della Prima Repubblica. La politica dello sganascio, in perfetto stile cinepanettone.

I sovranisti annusano gli appetiti della folla per azzannare la carne esposta del governo. I cosiddetti “responsabili” di Forza Italia lisciano e lambiscono nella speranza che il divin Silvio (la beatitudine è rimandata a dopo la pandemia) possa un giorno assurgere alle soglie del Quirinale e mettere la parola fine (pena) a tutti i suoi guai giudiziari.

Matteo Renzi (e altri due o tre), tra un “Ciao” e un #ciaone, infila una lama qui e una lì, aspettando di dissanguare il nemico e fare razzia di tutto quel ben di Dio apparecchiato dall'Europa per i tipi con la faccia sveglia proprio come lui.

E intanto gli italiani passano il Natale più brutto degli ultimi sessanta o settant'anni, probabilmente a chiedersi perché mai i padri costituenti abbiano inserito nella Costituzione l'espressione “la sovranità appartiene al popolo” se poi il popolo rischia di finire coi piedi all'aria per i capricci di una forza politica espressione di un 2-3% dell'elettorato (non del popolo tutto) italiano.

Ma lo stuolo dello sganascio giura che, in caso di caduta del Conte II, “un'altra maggioranza è possibile”. Si sono riempite caterve di fogli di carta sull'ipotesi di un governo Draghi, probabilmente l'equivalente della (fu) foresta Amazzonica. Ma il vero trait d'union della nuova, arzilla maggioranza si nasconde a Rebibbia.

Denis Verdini, appena condannato in via definitiva a sei anni e mezzo per la bancarotta del Credito cooperativo fiorentino, è ancora protagonista della vita politica del Paese. Almeno stando alla schiera di supporters bipartistan che si è presentata alla sua cella nelle ultime settimane.

Il vecchio Denis “ha la barba lunga e lo sguardo stanco”, giura Repubblica. E si sarebbe messo a fare “il tutor ai detenuti”. Ma di recente ha ricevuto più visite lui che Mattarella. Luca Lotti, Ignazio La Russa, Daniela Santanché, Cosimo Ferri, Renata Polverini, Maurizio Lupi, il re delle cliniche romane Antonio Angelucci, la forzista Michaela Biancofiore e così via.

In un periodo in cui i familiari dei detenuti hanno visto limitarsi le visite in carcere a causa delle direttive anti-Covid, davanti la cella di Verdini vanno di scena le nuove consultazioni, che abbracciano forze politiche di ogni colore.

“Io gli resto amico comunque, come dovrebbe fare tanta gente” disse Francesco Storace, all'indomani della sentenza definitiva. E pare che molti lo abbiano preso in parola. Compresi i due Matteo, i leader che più di tutti vorrebbero la testa di Conte e una nuova maggioranza che non passi per le elezioni anticipate: Renzi, che fu introdotto proprio da Verdini nelle grazie di Arcore e a lui affidò il compito di riscrivere la Costituzione, e Salvini, genero del detenuto, che giusto un anno fa twittava indignato: “Io in carcere ci vado a trovare i poliziotti, non i carcerati.”

Se il momento non fosse drammatico, la calca dei questuanti a caccia dell'oracolo di Denis avrebbe anche qualcosa di esilarante, materiale per sbellicarsi dal ridere. E invece, in tempi di crisi, con le serrande dei negozi abbassate e più settantaduemila famiglie che hanno perso i propri cari a causa del virus, gli Italiani si domandano se la nuova maggioranza che vorrebbe governare il Paese non trovi davvero un massimo comun denominatore nei consigli e nei sussurri di un pregiudicato.

Sarebbe una bella promotion per il nuovo cinepanettone di Neri Parenti: “Denis Christmas”, “Maggioranze di Natale 2020”,“Fardelli d'Italia”, “L'ammucchiata delle feste”, “Natale a Rebibbia”.

E invece è la realtà.

 

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