NINO DI MATTEO ED IL «GIOCO GRANDE DEL POTERE»

Mozioni di sfiducia ed apprezzamenti a parte, non c'è dubbio che la figura di Nino Di Matteo e quella di altri uomini che come lui si battono da sempre per la ricerca della verità sulle stragi del 1992-1993, sia scomoda. Una figura scomoda che si trova da sempre all'interno di un mondo in cui i buoni ed i cattivi non sempre sono riconoscibili. Quello stesso mondo che Giovanni Falcone definiva "il gioco grande del potere".

NINO DI MATTEO ED IL «GIOCO GRANDE DEL POTERE»
foto: Antimafia2000

Vi è un serie di argomenti che in Italia, il nostro Bel Paese, non si possono trattare come si dovrebbe fare. Uno di questi è senza ombra di dubbio (anche se di ombre ve ne sono in quantità industriali) il mistero del periodo delle stragi del 1992-1993.

Un personaggio su tutti sta pagando moltissimo da diversi anni a questa parte, sia in termini di dignità personale che in termini di vita personale: Nino Di Matteo. Con lui, non vanno dimenticati gli altri servitori dello Stato che lo hanno accompagnato in questi anni sia nel processo del secolo (ovviamente quello sulla Trattativa Stato-mafia) che in altri (vedi processo a carico di Marcello Dell'Utri).

Uomini mossi dall'ideale di libertà e giustizia, finalizzato al tentativo di scoperchiare quel muro di gomma che c'è sopra all'esigenza di verità su ciò che è avvenuto 28 anni fa.

Antonio Ingroia fu il padre dell'indagine sulla trattativa, poi sfociata nel processo tanto odiato dal potere politico. Poi anche gli altri uomini del pool: Roberto Scarpinato, Vittorio Teresi, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia.

E' inutile girarci intorno: se sei un magistrato che porta avanti con convizione l'ideale di verità e giustizia sulle stragi, se vuoi far luce sul biennio 1992-1994 portando alla conoscienza di tutti quell'indissolubile legame (Perdio! Quante trattative vi sono  state dal 1948 ad oggi?) tra apparati deviati dello Stato e Cosa Nostra, se una persona scomoda ed invisa al potere politico.

Perciò fanno sorridere (per non dire di peggio) le mozioni di sfiducia contro il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, portate in Senato, votate e poi bocciate entrambe; una targata centrodestra e l'altra targata +Europa (meno voti) di Emma Bonino. Al di là dei contenuti diametralmente opposti, a fare specie sono state le dimostrazioni di stime dagli spalti del centro destra a Nino Di Matteo; lo stesso Nino Di Matteo che insieme ad Antonio Ingroia portò alla sbarra nel 2013 Marcello Dell'Utri , braccio destro di Silvio Berlusconi, fondatore di Forza Italia, condannato a 7 anni e mezzo per concorso esterno in associazione mafiosa.

Dicesi propaganda.

E' stato proprio un esponente del centro destra, l'onerovole Maurizio Gasparri, qualche settimana fa nel post Tg2 ad inviare a chi di dovere dei messaggi sibilini proprio sul processo trattativa.

Messaggi del tipo: «vedrete come finià in appello. Vedrete». Già, vedremo. Fino ad ora vi è stata una sentenza di primo grado che ha riconsciuto l'impianto dell'accusa (il pool capitanato da Nino di Matteo) sul reato di minaccia o violenza a corpo politico dello Stato (art.338 c.p.p), distribuendo delle condanne che fanno ancora rumore: 12 anni ad Antonino Cinà (il postino del papello), 12 anni a Marcello Dell'Utri, 12 anni all'ex generale Mario Mori, 12 anni ad Antonio Subranni (Mori e Subranni all'epoca delle stragi erano ai vertici del Ros), ecc.

Provare  a scoperchiare quel mondo di collusione politico-mafiosa può portare anche a pagare un prezzo enorme quale la vita. E' poi è quello che è accaduto a Giovanni Falcone. Fin da quel fallito attentato all'Addaura nel 1989 egli aveva capio che era entrato in un "gioco grande del potere" gestito da "menti raffinatissime".

Non è un mistero che un uomo come Falcone, andato nel 1991 a Roma presso l'Ufficio degli Affari Penali per coaudiuvare l'allora Ministro della Giustizia Claudio Martelli, avesse ben chiaro cosa c'era dietro ai delitti di mafia.

Non è un mistero che Falcone stesso si era portato appresso a Roma il facicolo su un'indagine avente ad oggetto GLADIO e le sue operazioni di Stay Behind. La stessa GLADIO la cui esistenza era stata rivelata nel 1990 da Giulio Andreotti, anche se l'elenco dei gladiatori parve subito incompleto. GLADIO non era altro che una struttura parastatale di fede atlantica, finalizzata a porre in essere attività sovversive o paramilitari in ottica anticomunista, sul territorio italiano. E la sua ombra è presente dietro a tutti i misteri delle stragi: da Piazza Fontana, all'Italicus, passando per Brescia e Bologna, fino ad arrivare a Capaci, Via D'Amelio e alle bombe sul continente del 1993.

Proprio su Capaci Nino Di Matteo subì lo scorso anno di questo stesso periodo un ingiusto trattamento da parte del Procuratore Nazionale Antimafia Federico Cafiero de Raho, fresco di nomina: venne estromesso dal pool sulle stragi per aver fatto delle rivelazioni al programma Atlandite in onda su la7 , condotta da Alessandro Purgatori.

Rivelazioni utili alle indagini, in un intervento non gradito dal procuratore De Raho. Che cosa aveva detto Nino Di Matteo di così tanto segreto?

Aveva parlato di fatti non di segreti; fatti già di dominio pubblico da decenni. Fatti che entrano di diritto in quel "gioco grande", troppo spesso ripetuto quasi come in un loop senza fine. Fatti come quel biglietto lasciato poco dopo l'esplosione sul cratere di Capaci, recante un'utenza telefonica appartente al Sisde; fatti come il ritrovamento di un guanto con tracce di DNA femminile, forse riconducibile ad una figura misteriosa (la donna di servizi) che ricorre spesso nel periodo stragista (vedi anche la strage dei Georgofili a Firenze nella notte tra il 26 e 27 maggio 1993); fatti come la scomparsa dei diari di Falcone e la manomissione dei suoi computer nell'immediatezza dell'esplosione; e poi la presenza di soggetti esterni a Cosa nostra sul luogo della strage, dopo l'esplosione e anche nei giorni precedenti a essa (come l'avvistamento il giorno prima di uomini a lavoro in corrispondenza a dove sarebbe poi saltata in aria l'autostrada).

E proprio su Cafiero de Raho sono uscite delle rivelazioni abbastanza scottanti in riferimnto alla sua nomina. Si delinea una rete di rapporti e confidenze con Luca Palamara: proprio sulle chat telefoniche di quest'ultimo, depositate nell'indagine perugina in cui lo vedono coinvolto sulla decisione "a tavolino" delle nomine al CSM.

Emergono una serie di messaggi tra colleghi: il magistrato della DNA Cesare Sirignano, che appartiene alla stessa corrente della magistratura Unicost, invia un file a Palamara alle 8.39 , il mattino dopo la notizia dell'estromissione di Nino D Matteo dal pool stragi. Alle 8.42 Palamara risponde: "Grande Federico" (Cafiero de Raho, nda). Dopo poco Sirignano replica: "Noi siamo seri".

Ma che la figura di Nino Di Matteo non sia ben vista da Palamara e dai "suoi" uomini non è una novità. Già in questa inchiesta sulle nomine al CSM, era emersa più volte una forte antipatia di Palamara verso Di Matteo. Inoltre, emerge anche una messaggistica in cui Palamara & friends si dicevano propensi a spingere per la nomina a Procuratore Nazionale Antimafia la figura di Cafiero de Raho, rispetto a quella di Roberto Scarpinato. Il risultato , infatti, finì 5 a 1 per de Raho.

Potere, amicizie, correnti, nomine a tavolino. Questo è uno dei mondi che non ha mai visto di buon occhio la figura di Nino Di Matteo. 

Infine vi è anche il modo degli apparati di Stato deviati. Anche quest'anno, per commemorare i 28 anni dalla Strage di Capaci, Alessandro Purgatori nella sua Atlantide ha cercato di mettere altri puninti sulle "i" in merito ai misteri dietro alla strage.

Le famose menti raffinatissime di cui parlò Falcone nell'intervista a Saverio Lodato, all'indomani del fallito attentato all'Addaura. Che poi non sono segreti e misteri.

Prendiamo ad esempio l'ex numero 3 del Sisde di allora: Bruno Contrada. Nella trasmissione è uscito fuori che confidenzialmente Falcone disse a Lodato il nome dell'ex n.3 del Sisde come sospettato di quel mondi di menti raffinatissime.

Nel dicembre 1992 Contrada venne arrestato e poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Questo non è un mistero. Così come non lo è il fatto che nel 1989 Giovanni Falcone non vedeva di buon occhio la figura di Contrada. Basti pensare alla sua grande considerazione verso il giovane poliziotto Nino Agostino (colui che ritrovò la borsa inesplosa piena di candelotti all'Addaura) ed ucciso nel 1989 in circostanze ancora misteriose. Circostanze che vedono muoversi soggetti strani: faccia di mostro, membri dei servizi ed ancora Contrada.

Oppure non è un mistero che lo stesso Paolo Borsellino avesse parlato a sua moglie della preoccupazione di essere spiato dai servizi, soprattutto dopo quel cruciale 1° luglio 1992 quando nel bel mezzo di un interrogatorio top secret con il pentito Gaspare Mutolo, venne chiamato dal Ministro dell'Intero Nicola Mancino, appena insiediato, per un incontro; incontro in cui il giudice Borsellino (così rivela Mutolo) era giunto a conoscenza che i servizi sapevano del suo colloquio segreto con Mutolo.

Sempre quel 1° luglio Mutolo fece a Borsellino il nome di Bruno Contrada.

Così come non è un mistero che quella domenica del 19 luglio 1992 a Palermo, in barca vi fosse Bruno Contrada in ferie e che pochi istanti dopo lo scoppio in Via D'Amelio, avvenuto alle 16:58, era già a conoscenza che ad essere saltato in aria era il giudice Borsellino. Peccato che i primi dispacci Ansa vennero lanciati dopo le 17:16 (vedere Il vile agguato, di Enrico Deaglio, Feltrinelli). Bruno Contrada. Sempre lui.

Perciò ecco che la figura di Nino Di Matteo, ingiustamente tirata per la giacchetta in questi giorni sia da destra che da sinistra è purtroppo un soggetto, al visto da ambo e parti.

Perchè è dentro quel gioco grande che si svolse la trattativa, la quale, al di là della sua rilevanza penale (ce lo dirà il processo), è un fatto già documentato e certificato da altre sentenze definitive.

Nino Di Matteo è scomodo sia a destra che a sinistra, perchè quel patto segreto coinvolse ben tre governi: due di centro sinistra (Amato e Ciampi) e uno di centro destra (Berlusconi I). Ed ancora oggi siamo qui che paghiamo quelle cambiali derivanti da quel patto di sangue, sancito sul sangue di vittime innocenti. Stragi, Capaci, Via D'Amelio, Firenze, Roma , Milano, Contrada, GLADIO, servizi, Berlusconi.

Eccolo qui, il gioco grande. Eccolo qui, il mondo contro cui uomini come Nino Di Matteo si battono da sempre.