Non se ne parla mai abbastanza
«Nessun uomo merita di vivere ai margini di una scoraggiante società, che tutela pochi e azzanna il resto dei suoi cuori come Scilla e Cariddi nell’Odissea di Omero.»

Parlare d’amore, di scienza, di arte, di sport, ecc, è un chiacchiericcio che, installato tra i rapporti sociali, fa da filo conduttore tra le menti e il vivere. Ma parlare di sessualità crea sempre un certo imbarazzo, soprattutto se per sessualità è intesa l’omosessualità: realtà indiscutibile vissuta da molti, condivisi da tanti, schifata da altri.
Quest’ultimo è un caso, quasi un emblema, difficile da spiegare, perché le menti che trattano gli omosessuali come fossero il nero della società, non hanno ben inteso appieno il vero senso della vita, che si riconduce ad un famoso detto: vivi e lascia vivere, in quanto la propria libertà finisce dove inizia quella dell’altro.
L’altro, però, è un essere umano tanto quanto gli altri sette miliardi che popolano pianeta.
A mio avviso, gli schifati dall’omosessualità sono i primi perversi, se di perversione si può parlare, di questa società malsana che continua a mietere figuracce, purtroppo! Tra tutte le figure del cacchio che, ora, mi vengono in mente c’è, senza dubbio, quella della signora Meloni, che ride e deride la legge contro l’omofobia al Maurizio Costanzo Show. In altri tempi, forse fino alla fine degli anni Ottanta e oltre, le sue risate isteriche sarebbero state accolte con plausi, ma oggi hanno sortito il dissenso dell’intera platea, degli opinionisti seduti lì con lei, dello stesso conduttore che, per togliersi dall’imbarazzo, esorta la regia a “lanciare” la sigla.
Ma questa non è l’unica brutta e demenziale figura con cui l’intero popolo LGBT ha dovuto fare i conti. Infatti, pochi mesi prima del “pagliaccio” Meloni in televisione, si è assistito alla bocciatura in diretta TV, da parte del Senato, del Ddl Zan. Bene, si fa per dire, l’intera Nazione in quell’occasione ha perso molto. Purtroppo, viviamo in Italia: il Paese delle marionette, reso tale da una politica volta solo a conservare i propri diritti, senza cedere mai, e sottolineo “mai”, un dovere. Siamo tutti dei poveri burattini in balìa della furia di pochi Mangiafuoco. Che tristezza!
Detto ciò, va specificato che l’omosessualità non è una malattia mentale, ma una semplice e cristallina caratteristica. Sì, perché anche gli omosessuali, così come i trans o i bisex, la mattina fanno colazione, vanno a lavoro, fanno la spesa, amano la musica, i concerti, il cinema, la televisione. Le loro abitudini sono le stesse degli etero – che non sono i padroni del mondo come credono e prima se ne faranno una ragione e meglio è – ma con una differenza: godono nell’amare come il loro cuore desidera.
Questo è un discorso delicato e, per iniziare ad introdurlo, vorrei lasciare alcune righe ad una celebre canzone di Loretta Goggi:
Voglia di stringersi e poi
Vino bianco, fiori e vecchie canzoni
E si rideva di noi
Che imbroglio era
Maledetta primavera
Di carezze che non toccano il cuore
Stelle una sola ce n'è
Che mi può dare
La misura di un amore
Se per errore
Chiudi gli occhi e pensi a me
Se per innamorarmi ancora
Tornerai, maledetta primavera
Ovviamente, questi sono brevi estratti di un testo stratosferico che, però, ha un gusto quasi eterno, se vogliamo. Maledetta primavera incarna appieno il senso della sessualità vissuta come libertà assoluta. Sì, perché questo brano ha mille sfaccettature tra cui anche quella di un amore vissuto allo stremo degli spasmi del sesso. Inteso, quest’ultimo, come il darsi tutto ciò che si possiede, senza chiedere in cambio nulla che vada oltre il momento del piacere.
Ebbene: ogni amore, da quelli etero a quelli trans passando per quelli gay, dovrebbero essere rispettati, difesi e onorati come fossero l’ultima goccia d’acqua potabile sull’intero pianeta Terra.
Tuttavia, se “per innamorarsi basta un’ora”, per trovare il coraggio di dichiararsi, non è sempre così semplice. Molti ragazzi – intesi come nucleo, non come genere – per paura dell’essere giudicati malamente non hanno il coraggio di esporsi, costringendosi a “truccarsi” ogni giorno per apparire come gli altri.
Il risultato, però, è una continua e dilaniante frustrazione, che non apporta altro che paure, ansie e pianti di depressione, di disperazione che passerà inosservata, perché di un “diverso”.
Anche questo è un discorso delicato, ma per spiegarlo meglio ci vengono in soccorso alcuni versi di un’intensa canzone di Renato Zero.
Ogni giorno racconto la favola mia
La racconto ogni giorno, chiunque tu sia
E mi vesto di sogno per darti se vuoi
L'illusione di un bimbo che gioca agli eroi
Queste luci impazzite si accendono e tu
Cambi faccia ogni sera, ma sei sempre tu
Sei quell'uomo che viene a cercare l'oblio
La poesia che ti vendo, di cui sono il Dio
Dietro questa maschera c'è un uomo e tu lo sai
L'uomo d'una strada che è la stessa che tu fai
E mi trucco perché la vita mia
Non mi riconosca e vada via
Ed ogni volta nascerò
Ed ogni volta morirò
Per questa favola che è mia
Vieni, ti porto nella favola mia
Renato zero, personaggio eclettico, con La Favola Mia, forse, vuole esortarci a credere che dietro un qualsiasi trucco, c’è un uomo pieno di vita: nessuno ha il diritto di giudicare e nessuno ha il dovere di subire offese.
Le offese non sono mai costruttive, ma armi demolitrici di un sogno che va oltre una semplice caratteristica sessuale. Quel sogno si chiama Uomo.
Nessun uomo merita di vivere ai margini di una scoraggiante società, che tutela pochi e azzanna il resto dei suoi cuori come Scilla e Cariddi nell’Odissea di Omero.
Mi rendo conto, ovviamente, che non se ne parla mai abbastanza!
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