Omicidio Ilardo, la verità non può fermarsi

SENTENZA CASSAZIONE. Le condanne per i mafiosi che hanno ordinato, organizzato ed eseguito l'omicidio del confidente Luigi Ilardo sono state confermate dalla Corte di Cassazione. Un sentenza definitiva è ora piombata su questa vicenda. Ma è sufficiente? Gli interrogativi sulla morte di Ilardo sono ancora troppi e si intrecciano con quell'amalgama di ombre, misteri e mezze verità che ha caratterizzato tante - troppe - storie di mafia, di morti ammazzati e sangue versato in questo Paese.

Omicidio Ilardo, la verità non può fermarsi
Il luogo del delitto

La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi della difesa e confermato le sentenze di condanna già espresse dalla Corte d'Assise di Catania nel 2017 e successivamente dalla Corte d'Asssise d'Appello nel 2019 per l'omicidio di Luigi Ilardo
Condanna definitiva all'ergastolo dunque per Giuseppe Madonia, Vincenzo Santapaola, Maurizio Zuccaro e Orazio Benedetto Cocimano, rispettivamente i mandanti mafiosi del delitto, l'organizzatore e l'esecutore materiale. 

Una vittoria, ma solo a metà. Più che altro "un punto di partenza", come lo ha definito l'avvocato Felice Centineo, il legale della famiglia Ilardo. Una felicità parziale, incompleta, per Luana, la figlia del confidente ucciso il 10 maggio del 1996 a pochi passi da casa. 

Perché se è vero che i responsabili mafiosi dell'omicidio di Luigi Ilardo sono stati definitivamente consegnati alla giustizia, lo stesso non si può dire dei "soggetti esterni" che pure hanno avuto precise responsabilità nella vicenda che lo ha condotto alla morte.

Un'espressione, quella dei "soggetti esterni", fin troppo ricorrente nelle storie d'Italia. Storie storte, capovolte. Quelle di un Paese sbilenco in cui piangiamo un mafioso coraggioso e mandiamo alla sbarra uomini in divisa troppo opachi. 

Luigi Ilardo ha deciso di saltare il fosso perché voleva chiudere con il proprio passato e guardare avanti con la speranza di un avvenire migliore. Per sé e per la sua famiglia. Abbiamo raccolto il parere del colonnello Michele Riccio sulla vicenda Ilardo, come pure abbiamo riportato le parole della figlia Luana, che ha iniziato la battaglia più dura di tutte, quella per la verità in un Paese che si accontenta sempre delle bugie.

La morte del confidente Luigi Ilardo, nome in codice Oriente, lascia ancora aperte innumerevoli domande che pretendono risposta. Infiltrato nel cuore di Cosa nostra, Oriente ha fornito agli investigatori notizie precise e puntuali che hanno portato a decine e decine di arresti di mafiosi tra Messina, Catania e Caltanissetta. Ha fatto centinaia di nomi, fornito informazioni essenziali per comprendere le trasformazioni che avvenivano nell'organizzazione, rivelato collusioni della mafia con l'imprenditoria siciliana, con la massoneria e con la politica. Ha toccato le sfere sacre, quei fili ad alta tensione che non possono essere sfiorati, che devono rimanere avviluppati nel sommerso.

Luigi Ilardo è il mafioso che ha condotto lo Stato fin dentro l'uscio di Bernardo Provenzano. Era il 1995, undici anni prima che il boss venisse effettivamente arrestato. Il Ros, attraverso il colonnello Riccio che raccoglieva le informazioni di Oriente, era a conoscenza del luogo preciso, del giorno e dell'ora esatta in cui Bernardo Provenzano si sarebbe trovato faccia a faccia con Ilardo, eppure ha deciso di non fare nulla.

Sulla mancata cattura del boss a Mezzojuso si sono celebrati processi - che hanno portato all'assoluzione degli imputati Mario Mori e Mauro Obinu - ma un dato rimane. Indelebile, incancellabile: Provenzano poteva essere arrestato e invece rimase latitante per altri undici anni. Perché?

L'avvocato Centineo, commentando la sentenza della Cassazione, ha affermato che esistono dei punti di contatto tra la storia di Ilardo e le stragi del '92. In entrambi i casi, lo Stato ha delle precise responsabilità, se non altro perché non è riuscito a proteggere gli uomini mandati al macero in prima linea. E anche Salvatore Borsellino analizza quegli eventi con la medesima chiave di lettura: "gli assassini di Ilardo e di mio fratello non sono solo mafiosi". Per questo incita Luana a non mollare e a "non accontentarsi della sentenza". Perché alcune domande, come dicevamo, restano. Prepotenti, improrogabili.

Chi ha tradito Luigi Ilardo? Chi è "la talpa nissena" di cui parlava il pentito Nino Giuffré? Come ha fatto Cosa nostra a sapere, appena otto giorni dopo la riunione in cui si era stabilito di iniziare la collaborazione formale con la giustizia, che Ilardo stava saltando il fosso?

Perché Provenzano ha continuato a frequentare Mezzojuso come se nulla fosse anche dopo la morte di Ilardo e la scoperta del suo ruolo di infiltrato? 

Oriente è morto pochi giorni prima che iniziasse a mettere nero su bianco le sue dichiarazioni. 

"Molti attentati addebitati a Cosa nostra non sono stati commessi da noi ma dallo Stato. Voi lo sapete benissimo". Parole che pesano come un macigno e che non hanno avuto il tempo di essere approfondite. Un personaggio scomodo, Ilardo. Abbandonato al suo triste destino, dato in pasto al piombo della mafia purché non parlasse, non facesse nomi, non provocasse troppo rumore.

Un'amara constatazione l'ha fatta la figlia Luana, a margine della conferenza tenutasi a Roma per commentare le decisioni della Cassazione: "è quando inizi a odiare la mafia che lo Stato dovrebbe prenderti per mano e farti vedere che c'è qualcos'altro al di là". Nel caso di Luigi Ilardo - e successivamente dei suoi famigliari - non l'ha fatto. Al contrario, in questa vicenda lo Stato ha dimostrato che dall'altra parte ci sono solo morte, oblio, irriconoscenza e vano sacrificio.

Per dimostrare che non tutto è stato inutile, però, possiamo continuare a pretendere Giustizia e Verità. Per dimostrare che il sacrificio di Luigi Ilardo non è stato vano, possiamo continuare a porci quelle domande che attendono risposta e, nell'attesa che si faccia piena chiarezza anche su questa vicenda, parlare, raccontare, tenere accesi i riflettori su una storia che in molti preferirebbero inscatolare e insabbiare per coprire errori ed orrori di questa triste Repubblica. 

 

 

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