Peppino non era un eroe: viveva, denunciava, sognava e costruiva

ALTINO. Il 3 luglio scorso Giovanni Impastato ha presentato, ospitato dalla Pro Loco, il libro «Mio fratello, tutta una vita con Peppino». Un’intensa e ricca serata di testimonianza, riflessione, dibattito.

L’Italia vive un paradosso assurdo e spiazzante: un Paese che mostra ogni giorno di non avere memoria ma, allo stesso tempo, vive di cerimonie e commemorazioni. La lotta alle mafie, troppo spesso declamata e molto meno incarnata, è forse l’emblema massimo di tutto questo. Luglio è il mese in cui si conclude un lungo «mese della memoria» con gli anniversari della strage di Via D’Amelio e della morte di Rita Atria. Anche in questo secondo anno di pandemia ci saranno ricordi veri, di memoria attiva, e tante cerimonie e bei pomposi discorsi dietro cui si nascondono nulla o complicità reali.

Questo lungo «mese della memoria» inizia il 9 maggio, anniversario dell’omicidio mafioso di Peppino Impastato a Cinisi. Il luglio di quest’anno ad Altino, in provincia di Chieti, è iniziato con una serata intensa e ricca di testimonianza vera, di riflessioni sentite e profonde: Giovanni Impastato, ospite della Pro Loco, ha presentato il libro «Mio fratello, tutta una vita con Peppino» a cui è seguito un vivace dibattito.

Peppino Impastato, si legge nel libro, oggi non sarebbe diventato un guru (un influencer nel gergo ormai di moda) o un eroe. Avrebbe continuato a tenere occhi e orecchie aperte, a studiare, approfondire, conoscere persone, stimolare impegno e denunciare. Tormentato nel dubbio davanti a possibili errori che solo chi si impegna può realizzare («a che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca?» è il sempre attuale interrogativo di don Lorenzo Milani) per poi proseguire senza mai fermarsi. Indomito, ribelle, inquieto. Peppino Impastato cercava di vivere, amare, sognare, studiare, costruire per «raddrizzare ciò che è storto, incoraggiare lo stanco, sollevare il debole, esaltare il sapiente». Esorta i giovani il fratello Giovanni a «vivere come Peppino: facendosi domande, smontando le menzogne del mondo – e anche le nostre, dentro di noi» ripudiando le scorciatoie, i giochi «senza regole», la sopraffazione che «fanno perdere le occasioni di essere vivi».

Parole che dovrebbero suonare più che familiari in una terra di clientelismo e malaffare, di progetti scellerati contro l’ambiente e i cittadini e di una politica che troppo spesso non è certo lontana parente di mentalità e conduzioni mafiose. Lo ha ricordato, sempre energico e storia vivente delle lotte di questo lembo della regione adriatica, Enrico Graziani. Già senatore del Partito Comunista protagonista in prima linea, anche contro buona parte del suo stesso partito, della lotta contro l’insediamento della Sangro Chimica in Val di Sangro. Fino ad essere stato, negli ultimi lustri, ancora in prima linea instancabile contro le trivelle petrolifere a terra e in mare.  

Nel mare del conformismo, dell’omologazione, dell’accettazione di tutto e il contrario di tutto, del chinare il capo, di scimmiette e paperelle mute a comando, la serata del 3 luglio – organizzata dalla Pro Loco di Altino in maniera straordinaria e con un’efficienza esemplare – è stata occasione preziosa, oserei quasi scrivere vitale, per indicare una strada in questi mesi, per una memoria vera e che sappia fecondare un territorio troppo arido e imbelle. Un lembo d’Italia in cui la lotta alle mafie, nonostante le evidenze di ogni giorno e quanto ha testimoniato il senatore Graziani, appare lontana, non interessare, in cui la favoletta dell’isola felice perdura. La terra delle mafie dei pascoli, di una politica dove corruzione, clientelismo e il prostarsi a lobby ed interessi particolari impazza. La terra d’origine dei Casamonica, dei Di Silvio e dei Ciarelli, tra i più attivi nei sistemi criminali mafiosi laziali, da Roma alla provincia di Latina, e dei loro parenti/affiliati i cui nomi e cognomi abbiamo sempre ripetuto Spinelli, Guarnieri, Di Rocco, De Rosa e altri. L’anno scorso a Pescara è stata segnata da due morti legate alle droghe, la prima fu l’omicidio di Rancitelli di cui è accusato un esponente dei Ciarelli. Così come a Lanciano, appartenenti allo stesso mondo l’anno scorso scatenarono la violentissima notte di fine giugno a Santa Rita. E quest’anno nuove notti violente nelle scorse settimane.

Questa è la terra in cui, dopo aver picchiato alcuni studenti ad una festa d’istituto, l’allora capetto di casapound scrisse sui social cinque anni fa che lui veniva attaccato perché era «come Peppino Impastato». Frasi indegne, schifose e menzognere che furono segnalate all’epoca a Salvo Vitale, compagno di Peppino a Radio Aut, che con lo stesso Giovanni prese immediatamente posizione rispondendo a dovere al vigliacco e violento camerata. https://www.ilcompagno.it/va-fa-nculo-pezzo-di-merda/

Terra, questo lembo d’Abruzzo, che due anni fa coccolò ed esalto colui che continua a fare la scelta opposta di Peppino, ad essere orgoglioso del «padre benevolo» e dei «valori» che gli ha trasmesso, ovvero Giuseppe Salvatore Riina detto Salvo, terzogenito di Totò u curtu, la belva. In quei mesi, dopo i riflettori sul suo libro - che ha sempre continuato a pubblicizzare e vendere, come sia possibile stampare ancora copie se la casa editrice è fallita da anni resta imperscrutabile mistero – e il soggiorno padovano interrotto per la frequentazione del mondo del narcotraffico, in Abruzzo fu considerato ospite d’onore, fu spacciato come volontario dal cuore d’oro nei giorni dell’anniversario dell’omicidio di don Peppe Diana, negli stessi giorni del compleanno di Giovanni Falcone (e pochi giorni dopo dell’anniversario della strage di Capaci) fu festeggiato lui, fu fatta giungere dalla Sicilia la madre solo per festeggiarne il compleanno. Lo abbiamo raccontato in quest’anno e mezzo in svariati articoli, all’epoca ben poche furono le voci che si alzarono sdegnate nomi, cognomi, atti e fatti alla mano.  

 

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