Pornhub: negli USA nuove denunce anche per video di stupri e traffico sessuale di minori

PRIMA PARTE. Trentaquattro donne portano in tribunale la più nota piattaforma pornografica al mondo: nonostante già il titolo chiariva che la ragazza aveva solo tredici anni per mesi è rimasto online.

Pornhub: negli USA nuove denunce anche per video di stupri e traffico sessuale di minori
foto di alcune delle ricerche più diffuse su PornHub, fonte: pagina facebook Pornoverità

È la «piattaforma per adulti più sicura al mondo». Così diversi mesi fa due dirigenti della società che gestisce Pornhub, la più conosciuta piattaforma web al mondo di contenuti pornografici, definì il portale. L’inchiesta del New York Times aveva già avviato l’onda di indignazione e indagini su quanto viene quotidianamente, nel silenzio interessato dei gestori, pubblicato e squarciato il velo di abusi e violenze. Anche pedofile. Ma tutto questo ai multimilionari detentori non sembrava interessare minimamente e hanno continuato ad esprimere arrogante sicumera.

La stessa che li ha portati, davanti a nuove denunce e a possibili nuovi processi, a definire le recenti nuove accuse «false» ed «infondate». Parole che non scalfiscono minimamente, e non poteva essere altrimenti, la notizia proveniente dagli Stati Uniti di recente. Ovvero la denuncia da parte di 34 donne di quanto pubblicato, e mantenuto online almeno per mesi, video che le ritraevano mentre subivano stupri e abusi sessuali. Quattordici donne erano minorenni all’epoca dei crimini. Una ragazza, Serena Fleites, l’unica che non ha scelto di rimanere anonima, ha scoperto l’esistenza di un video in cui già il titolo chiariva la sua minore età. Tredici anni. Eppure è sempre rimasto online finché lei non l’ha scoperto e si è attivata per chiedere la rimozione. Che è avvenuta solo diverso tempo dopo.

Gli avvocati delle trentaquattro donne hanno evidenziato che Mindgeek, la società proprietaria di Pornhub, è proprietaria di oltre cento piattaforme e case di produzione che ogni mese totalizzano almeno 3.5 miliardi di visualizzazioni.

Il 14 giugno Andre Garcia, produttore della società «GirlsDoPorn», è stato condannato dal tribunale federale californiano a 20 anni di carcere. «Traffico di persone a fini di sfruttamento sessuale» l’accusa per cui è stato processato e condannato, perpetrato «tramite coercizione e frode». A dicembre dell’anno scorso quaranta donne, vittime dei traffici di «GirlsDoPorn», hanno denunciato che video in cui erano ritratte erano rimasti pubblicati online e promossi anche dopo la rivelazione che erano video di stupri. La piattaforma web al centro delle loro denunce era, ancora una volta, PornHub.

Il 9 giugno Lauren Kaye Scott, ragazza 27enne al centro di un numero sterminato di video caricati su Pornhube, è stata trovata morta in un camper di Los Angeles. Secondo alcune fonti, ha riportato il New York Times, Kaye Scott stava lottando con alcune dipendenze, alcol e fentanyl, e stava cercando di uscire da un ambiente familiare difficile. «Lauren era il prodotto di una famiglia altamente disfunzionale che coinvolgeva droghe, alcol, abusi fisici, emotivi, verbali e sessuali», ha detto al Sun una zia. Sono innumerevoli le ragazze i cui video sono stati pubblicati su queste piattaforme, o diffusi tramite altri canali, che denunciano dopo anni traumi e devastazioni psicologiche. Inchieste giornalistiche, come quella del New York Times, hanno documentato come sono innumerevoli – probabilmente almeno diversi milioni – i video che concretizzano la più depravata e criminale «cultura dello stupro».

Aggressioni a donne anche svenute, donne torturate, video di soffocamento, l’elenco è drammatico quanto vario. E di questi video migliaia se non milioni vedono al centro minori di qualsiasi età vittime di ogni abuso. Come denunciò Meter nei mesi scorsi esistono anche video in cui bambini sono stati stuprati da cani. Una «cultura dello stupro», l’oggettificazione più perversa e ripugnante possibile, che in Italia abbiamo visto anche per esempio nei più recenti casi divenuti noti di stupro. Nell’onda di rivittimizzazione secondaria e colpevolizzazione delle vittime, davanti il fatto che sul banco degli imputati sono finiti personaggi noti e loro familiari, emerge – silenziato in una vasta puzza di omertà e maschilismo – quanto gli uomini accusati hanno concretizzato quello che quotidianamente viene pubblicato su ogni piattaforma online pornografica odierna.

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