Prepotenza, violenza e crimini: Casamonica, Spada e sodali d’Abruzzo
PRIMA PARTE. La lettura integrale delle motivazioni della Cassazione sul «Mondo di Mezzo», la condanna degli Spada per la sparatoria del 2013, il ritorno in tribunale dei Casamonica autori dell’aggressione al bar alla Romanina, nuovi particolari sul funerale show dei Casamonica. Dinamiche comuni anche all'Abruzzo dove parenti e affiliati sono da sempre presenti, egemonizzano narcotraffico, usura, estorsione e racket vari. E impongono con la violenza la loro presenza nei territori. Maxi operazione contro il clan Senese: perquisizioni anche a L'Aquila e un arresto a Campo di Giove.
Sette condanne per un totale di 20 anni ad esponenti dei clan Spada e Barboncino per fatti relativi alla faida scoppiata nel 2013, unica testimone la giornalista Federica Angeli che dal balcone di casa sua vide lo scontro a fuoco che contrappose Ottavio e Carmine Spada ad esponenti del clan Triassi. La notizia, totalmente ignorata dal main stream impegnato a seguire i desiderata a comando del sempiterno ras della res privata novanta-duemila e oltre, è stata l’ultima in ordine cronologico del mese di giugno.
A metà dello scorso mese un altro processo contro il clan Spada ha visto la Corte d’Assise d’Appello confermare diverse condanne per un totale di 27 anni e la sussistenza dell’associazione mafiosa.
Negli stessi giorni sono state pubblicate le motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione sul “mondo di mezzo” romano: la lettura mediatica superficiale (o interessata?) ha riproposto i soliti cliché sulla capitale pulita, onesta e offesa addirittura dalle accuse sull’esistenza a Roma delle associazioni mafiose di Carminati, Buzzi, Casamonica e sodali, dove per un incidente della vita si son ritrovate alcune mele marce.
Una stantia ripetizione negazionista insomma,che vediamo in azione ormai da decenni mentre i Casamonica e non solo avanzavano a Roma o come, per esempio, in Abruzzo altre famiglie a loro imparentate o comunque collegate.
Negare, chiudere gli occhi, accettare tutto, adattarsi ad ogni contesto ergendosi anche a paladini delle proprie terre.
E, mentre queste sceneggiate andavano avanti, i sistemi criminali e i territori se li sono letteralmente divorati. Ed infatti la Corte di Cassazione non ha riconosciuto il 416bis ma ha confermato pesanti accuse così come, per esempio, nella sentenza della stessa Cassazione del giugno dell’anno scorso, l’associazione mafiosa è stata riconosciuta per appartenenti ai Casamonica. Fatti inequivocabili che portano a letture ben diverse rispetto a papere, paperelle e pavidi.
Sempre a metà giugno la trasmissione televisiva «Sono le Venti», condotta sul canale Nove da Peter Gomez, ha documentato come dietro il funerale show del 2015 di un Casamonica ci sono stati ricatti e minacce violente.
Retroscena emersi inoltre nelle 467 pagine dell’ordinanza del gip di Roma che ha disposto venti arresti nell’ambito del clan Casamonica. «Sei stato invitato a presentarti al funerale più importante di Roma, che si terrà giovedì a mezzogiorno. Non avere paura a presenziare, perché chi deve sapere sa, abbiamo in mano tutti i politici, tutti gli schieramenti, e ci hanno assicurato che ci faranno celebrare la messa in serenità, dopo averli minacciati di far succedere una guerra e che ci saranno morti per strada. Se non verrai non mi ripresenterò io stesso, ma altre persone a cui non potrai dire di no. Abbiamo visto la tua macchina, ci piace molto e può accadere che sarai tu a consegnarci le chiavi se non vieni al funerale, e non potrai neanche presentare la denuncia di furto».
Queste le minacce denunciate già nei giorni successivi il funerale.
Un quadro che avrebbe scatenato in qualsiasi posto del mondo un’ondata di indignazione e mobilitazione imponente ma, in questi giorni, larga parte di pronisti erano tutti concentrati nel massacrare mediaticamente un ragazzo «colpevole» di essersi emozionato e aver avuto un attimo di incertezza.
Il quadro delle ultime settimane si conclude, per ora, con il ritorno in aula dell’aggressione al Roxy Bar della Romanina del 1° aprile 2018: quel giorno un appartenente ai Casamonica e tre ai Di Silvio picchiarono il gestore che si era ribellata alla loro prepotenza prevaricante con la quale cercarono di imporre di essere serviti prima di tutti gli altri clienti, insultarono la moglie rumena e picchiarono con cinghie una cliente disabile.
Già nel dicembre di due anni fa la Corte di Cassazione ha riconosciuto l’aggravante mafiosa quando respinse il ricorso contro gli arresti. Per i tre Di Silvio, che avevano scelto il rito abbreviato, il 2 luglio la Corte di Cassazione ha reso definitive le condanne.
I Casamonica provengono da Campobasso e dall’Abruzzo, mentre i Di Silvio animano costantemente la cronaca nera e giudiziaria della regione adriatica insieme ad altre famiglie imparentate e collegate con entrambe: Spinelli, De Rosa, Bevilacqua, Ciarelli e altri – come abbiamo già avuto modo di sottolineare in questi mesi – da Vasto a Casalbordino fino a Rancitelli a Pescara ed altri comuni hanno egemonizzato (o quasi) il traffico di droga, estorsione e usura e sono frequentemente autori di prepotenze, violenze e intimidazioni pubbliche con le quali impongono la loro presenza.
I contagi da covid19 a Vasto, Lanciano e Rancitelli, la spedizione violenta a Lanciano, i fuochi d’artificio su cui abbiamo ricevuto segnalazioni a Rancitelli, Vasto e Casalbordino sono solo alcuni degli ultimi segnali della loro presenza. L'ultima conferma in ordine cronologico degli stretti legami tra i sistemi criminali di «mafia capitale» e l'Abruzzo è arrivato il 7 luglio: la maxi operazione contro il clan Senese, collegato con il clan camorristico Moccia di Afragola, e che ha colpito anche interessi in Svizzera e Lombardia ha portato a perquisizioni anche a L'Aquila e all'arresto a Campo di Giove dell'imprenditore D'Alessandro, che aveva aperto già due attività nel comune dove era interessato all'acquisto anche di un albergo e intenzionato ad aprire un'altra attività a Sulmona.
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