Rancitelli, denunciare «una minoranza a cui non va neanche riconosciuta una dignità»

Dopo la riconsegna della casa popolare ad un’anziana signora in difficoltà economica a cui era stata estorta appello del Comitato di quartiere «Per una nuova Rancitelli».

Rancitelli, denunciare «una minoranza a cui non va neanche riconosciuta una dignità»

«A Rancitelli è stata riconsegnata la casa popolare ad una signora a cui era stata estorta. Un’anziana signora in difficoltà economica era stata avvicinata da una coppia di malviventi che le aveva offerto aiuto economico in cambio di ospitalità nel suo appartamento. Dopo un primo momento di disponibilità ed aiuto materiale i due avevano costretto la signora ad abbandonare l’alloggio e a dormire nel sottoscala del palazzo. L’anziana signora, rimasta senza l’abitazione, alle prime lamentele rivolte alla coppia veniva gravemente minacciata e a quel punto si convinceva a denunciare l’accaduto».

La notizia è stata resa nota dal comitato di quartiere «Per una nuova Rancitelli», presieduto da Francesca Di Credico, nei giorni scorsi. Le indagini dei carabinieri hanno infatti ricostruito il sodalizio e accertato - «la casa è sempre formalmente rimasta intestata alla signora anche se di fatto non più nella sua disponibilità (i due avevano perfino cambiato la serratura e ristrutturato integralmente l’alloggio)» sottolinea il comitato – l’estorsione dell’alloggio e le reiterate minacce alla signora.

La positiva conclusione della vicenda della signora anziana è tra gli episodi, scrive il comitato di quartiere, che «ci fanno ancora sperare perché dimostrano che tutto è possibile con l’impegno, la coordinazione e la collaborazione di cittadini, istituzioni e forze dell’ordine. Quando la vittima trova il coraggio di denunciare nonostante le minacce e viene protetta e sostenuta adeguatamente da forze dell’ordine e istituzioni, le battaglie per la legalità si possono vincere. È quello che sosteniamo da sempre come Comitato di Quartiere ed è questo che orienta la nostra azione: per questo invitiamo le vittime di episodi simili a non avere paura, a uscire allo scoperto, a denunciare. La giustizia in questo caso ha vinto, e ringraziamo per l’ottimo lavoro svolto i carabinieri, in particolar modo quelli della caserma di via lago di Borgiano presente nel nostro quartiere, la magistratura, e soprattutto la cittadina che ha subito l’estorsione, che si è sentita a tal punto protetta da denunciare le angherie subite».

Senza le denunce dei cittadini, prosegue la nota, «non si sa neanche chi si trova effettivamente negli alloggi, e conviene a tanti far finta che il problema non esista. Segnalare e denunciare costa inoltre attacchi e ritorsioni a quanti realmente hanno bisogno di un alloggio popolare, che purtroppo da certa politica vengono visti anche come un serbatoio di voti da sfruttare». Il comitato, attivo per la repressione delle illegalità e la prevenzione, continuerà sempre a sollecitare «chi di dovere a intervenire sulle situazioni di difficoltà economica in cui versano in troppi» e invita le vittime e tutti i cittadini «a farsi avanti e a denunciare, perché solo rompendo il muro dell’omertà è possibile sradicare questo sistema malato» concludendo che «per un reale cambiamento bisogna vincere la paura e farsi avanti, la solita maggioranza “perbene” deve riappropriarsi del quartiere senza essere ostaggio di una “minoranza” a cui non va neanche più riconosciuta una dignità criminale».

Nei giorni precedenti la riconsegna dell’alloggio alla signora in via lago di Capestrano, il questore ha disposto la chiusura per quindici giorni di un bar, «la squadra volante – ha reso nota la Questura - è dovuta intervenire dopo aver ricevuto la segnalazione di un diverbio tra 3 persone che molto probabilmente erano uscite poco prima dal bar. Al loro arrivo sul posto, gli agenti hanno subito individuato due giovani già noti alle forze dell'ordine, sottoponendoli a controllo. Dalle indagini della squadra mobile è poi emerso che quella sera, mentre nel bar si stava festeggiando un compleanno, era entrato un rom della zona che, visibilmente ubriaco, aveva avuto una discussione ed era venuto alle mani con un altro avventore, spalleggiato a sua volta da un altro uomo».

Vicende come quella dell’anziana signora, denuncia il comitato «sono più frequenti di quanto si creda e vanno di pari passo con altri fenomeni delinquenziali legati alle case popolari che, purtroppo, a volte vengono negati da istituzioni e autorità» e quando lo Stato  «smette di essere presente nelle periferie (non solo Rancitelli, ma anche San Donato, Fontanelle, via Rigopiano e in altre zone della città) e di controllare le case popolari, si crea uno stato nello Stato». Uno «stato nello Stato» diffuso e dove vigono le leggi della violenza, della prepotenza, di famiglie criminali. Nell’agosto di due anni fa un bar nella stessa zona fu teatro del pestaggio di alcuni nigeriani da parte di appartenenti alle stesse famiglie già ricordate, fu raccontata come una banale rissa. Ma «raccontarla banalmente così» denunciarono l’Associazione Antimafie Rita Atria e PeaceLink Abruzzo «è semplicemente comodo, riporta ad una pura questione di ordine pubblico che assolve tutti» ma, come sottolineò il parroco don Max in un’intervista, «quell’episodio ci racconta qualcosa di molto più grave ed inquietante»: la violazione dei diritti dei più deboli, l’abbandono, il silenzio e l’omertà da parte di chi dovrebbe difendere la giustizia sociale e combattere le disuguaglianze sociali e il fiorire di uno «stato nello Stato» dominato dai clan, dalla violenza criminale, dall’ingiustizia sociale e dalla prevaricazione del più prepotente.

Uno dei segni dell’avanzare di questo «stato nello Stato», nella sfida e nel cercare costante di imporre la presenza alcuni segnali sono le vedette nelle piazze, nei bar e agli angoli della strada – intimidendo la cittadinanza e non disdegnando la violenza per marcare il territorio, decidere le sorti delle attività economiche e sociali (come abbiamo già avuto modo di raccontare), mantenere o aprirsi nuove piazze di spaccio ed estorsione – e nei fuochi d’artificio come stiamo denunciando da mesi. Le motivazioni di questi fuochi li ha ampiamente raccontati in un’intervista Leonardo Palmisano, dopo il nostro articolo del 22 luglio in cui abbiamo riportato le segnalazioni ricevute nel mese e mezzo precedente nella sola Pescara ci sono stati segnalati che gli spettacoli si sono ripetuti il 30 luglio, il 3 agosto e in altri giorni. L’11 agosto, per il rischio di assembramenti e di non poter far rispettare le distanze fisiche anti-covid19, a Vasto e in altri comuni limitrofi sono stati annullati i tradizionali fuochi d’artificio del ferragosto. Lo «stato nello Stato» invece prosegue i propri spettacoli, lo stesso 11 agosto durante una videoriunione su zoom (purtroppo con lo smartphone e quindi non mi è stato possibile documentare quanto stava accadendo) sono stato testimone oculare – ultimo di una serie aumentata d’intensità recentemente – a Casalbordino del rumore degli «spari» che si udivano forti e molto vicini da casa.

L’immagine di copertina di quest’articolo, screenshot di un post facebook dei giorni dell’esplosione dei focolai abruzzesi successivi al famoso funerale di Campobasso del 30 aprile, documenta il disprezzo per la convivenza civile e le sue regole, la prepotenza e l’arroganza di chi anima questi sistemi criminali e dei loro familiari, parenti, affiliati e sodali. Sistemi egemonizzati da alcune famiglie, anche se probabilmente il termine più corretto sarebbe clan, i cui cognomi sono ben noti e ripetutamente animano le cronache giudiziarie - Di Silvio, Ciarelli, Spinelli, De Rosa, Bevilacqua, Guarnieri, Di Rocco - imparentati con i Casamonica romani (anche se originari di Abruzzo e Molise) ed attivi nel racket delle case popolari così come nel narcotraffico, nell’usura, nell’estorsione e nell’imposizione violenta della propria presenza.

Un anno fa la capitale fu teatro del funerale omaggio - nonostante i divieti delle pubbliche autorità e un ampio dispiegamento di forze dell’ordine che fu apertamente insultato, dileggiato e sfidato dai presenti – a Diabolik Piscitelli, elemento di spicco delle batterie criminali e delle fasciomafie romane. Fu presente anche una delegazione di ultras da Chieti (curva fortemente colpita nei mesi successivi da una maxi operazione contro il narcotraffico).

«A Roma – scrisse Nello Trocchia, autore di un libro e molte inchieste sui Casamonica - si consuma una delle pagine più nere degli ultimi anni. Tutto nel silenzio della politica e delle istituzioni nonostante ampiamente anticipato. Un boss della droga viene osannato in pubblica piazza, il feretro non esce perché si tratta con i capi e i familiari, le squadre della finanza indietreggiano, i giornalisti insultati. Non parlate di lotta al crimine perché sfiorate il ridicolo, evitate. Vincono loro perché al rigore si preferisce l'accordo, alle regole il compromesso. Quello di oggi somiglia tanto ad una giornata di agosto di 4 anni fa quando fu celebrato il re dei Casamonica.

Alla fine tutto è accaduto in silenzio. Niente, non è intervenuto nessuno: celebrare un signore della droga, a Roma, con avallo di stato, è del tutto normale». Al funerale citato da Nello Trocchia, e alle connessioni con i sistemi criminali abruzzesi dei coinvolti, abbiamo dedicato un approfondimento nelle scorse settimane. Per documentare ancora una volta che quel silenzio, quell’accordo, quel compromesso, quel silenzio che puzza di omertà e connivenza è normale, è quotidiana normalità anche qui. Finché non denunciano i cittadini, non rompono i silenzi e non credono alle «verità di comodo». Come fa in prima persona, e invita tutti a farlo, il comitato di quartiere «Per una nuova Rancitelli» e come la vicenda dell’anziana signora a cui è stato restituito l’alloggio estorto con la violenza dimostrano si può (e si deve) fare.