Revenge porn, perversione criminale contro le donne

La sentenza dei giorni scorsi sulla terribile vicenda di una maestra di Torino ci ricorda una delle più squallide piaghe della nostra società. Viene comunemente definito «revenge porn», vendetta, ma non c’è nulla di cui vendicarsi. È solo assoluta perversione, barbarie criminale che offende le donne e dimostra quanto siamo ancora lontani da essere una società civile.

Revenge porn, perversione criminale contro le donne
la denuncia su instagram di Ilaria Di Roberto

Condanne per la vicenda della maestra di Torino vittima di revenge porn. La notizia è dei giorni scorsi e ha riacceso i riflettori (ma per quanto? Purtroppo già è caduta nell’oblìo) sul cosiddetto «revenge porn». È reato da un anno e mezzo, introdotto dopo la morte di Tiziana Cantone – considerato suicidio ma è una ricostruzione su cui col tempo stanno emergendo più che dubbi – con la legge 69/2019 nota come «Codice Rosso». Revenge porn, vendetta porno, ma è un termine fuorviante e che non rende piena giustizia di quel che è.

Una barbarie criminale, opprimente, disumana, assoluta perversione di maschi squallidi che considerano le donne oggetto dei loro peggiori istinti, per i quali il corpo femminile è proprietà dei loro turpi desideri. Foto e video inviate online da chi dovrebbe considerare sacri e inviolabili l’intimità e il rispetto di una donna, sbattute su oscene vetrine online. Atti vigliacchi contro cui una società che si definisce civile dovrebbe indignarsi, ribellarsi e reprimere colui che si permette di compierli. Invece il gregge, il tribunale dell’inquisizione sociale troppo spesso attacca la donna. Che viene denigrata, isolata, disprezzata, insultata, che ripetutamente e di continuo finisce nel mirino. L’atto vigliacco e criminale  per troppi diventa il movente di molestie e oscenità di ogni tipo.

La sentenza sulla vicenda di Torino imporrebbe profonde e articolate riflessioni. Il tribunale di Torino, un anno e mezzo dopo il «Codice Rosso», ha punito soprattutto il licenziamento della maestra. Scambiate di chat in chat le foto erano state viste dalla mamma di un alunno che, senza porsi nessuna domanda, nessun dubbio, senza chiedersi come quelle foto erano arrivate su quel cellulare, le ha mostrate alla preside della scuola. Anche lei senza nessun indugio, dubbio, interrogativo, ha licenziato in tronco la maestra.

Un licenziamento che, adesso, il tribunale di Torino ha sancito (in primo grado, la sentenza è ben lontana dall’essere definitiva) essere stato sbagliato. Ma ci sono altri protagonisti di questa vicenda di cui l’attenzione pubblica sembra già essersi dimenticata, da cui tutto iniziò: coloro che si scambiarono e, per primi videro, quelle foto. E purtroppo possiamo immaginare quali volgarità, oscenità, insulti, quale concezione maschilista e quali schifosi commenti possano aver prodotto.

Una delle più terribili storie di questi anni è quella di Ilaria Di Roberto, colpita negli anni da una terribile catena di molestie, abusi, cyberbullismo, psicosette, revenge porn, violazioni e insulti del suo nome e della sua persona. La solidarietà, il calore umano, il rispetto, l’indignazione contro coloro che ripetutamente hanno portato avanti questa catena contro di lei dovrebbero essere totali, immediati e spontanei. Ed invece la reazione del suo paese, così come in alcuni spazi del web, è stata l’opposto. Figlie di quei retaggi sub culturali contro le donne che animano migliaia di complici e co-carnefici dei crimini maschilisti di questa società patriarcale.

Torna alla memoria la vicenda di Annamaria Scarfò, ragazza di Taurianova in Calabria che ha denunciato il branco (composto anche persone riconducibili ad ambienti criminali) che l’ha violentata per anni condannato in via definitiva dalla Cassazione nel 2016. Fu violentata per la prima volta a 13 anni, riuscì a denunciare tre anni dopo quando il branco decise di voler violentare anche la sorella. Fu isolata dalla comunità, insultata come «malanova». Ma lei con coraggio non si è fermata e ha raccontato la sua storia, la catena di abusi che ha subito in un libro che ha intitolato proprio «Malanova».

Nelle scorse settimane Ilaria Di Roberto ha denunciato che il suo nome è nuovamente finito in un sito porno. «Sto male. Il mio nome è finito di nuovo su un sito porno. È incredibile. Di nuovo. Dopo due anni. Che dire? Ci si vede in tribunale» il suo grido pubblico. Assurdamente censurato su facebook, su cui il post è stato cancellato perché non rispetterebbe gli «standard della community». Leggasi, quasi certamente, che in massa hanno tentato di far tacere la sua denuncia, continuano vigliacchi e nell’ombra a cercare di colpirla.  

Questo nuovo crimine l’ha denunciato agli organi inquirenti, la giustizia prima o poi dovrà arrivare. E lei non si è mai arresa. La narrazione mediatica troppo spesso confina le vittime di questi odiosi reati ad esserlo per sempre, a cercare di renderle interpreti di un copione preciso. E ingiusto. Quello di inermi, di chi alla fine cede, si lascia solo segnare e rimane passivo. Le donne vittime di violenze, molestie, cyber bullismo, revenge porn hanno il sacrosanto diritto di vivere, di andare avanti, di essere anche sorridenti, impegnate, positive, di avere forza e non lasciarsi distruggere. Sarebbe ingiusto il contrario, dovrebbe essere naturale. Ma il «copione» mediatico e di questa società maschilista, che odia le donne e la loro libertà, che cerca sempre di delegittimarle e vigliaccamente trasformarle in colpevoli di qualcosa, vorrebbe il contrario.   

La vita e l’impegno di Ilaria Di Roberto questo copione non l’hanno mai seguito, non si è mai arresa all’ingiustizia di vedere la propria vita distrutta e totalmente sacrificata ai violenti, ai vigliacchi e alla perversione maschilista. Ilaria sta ricostruendo la sua vita, ha deciso di schierarsi e impegnarsi accanto ad altre donne, a trasformare una sofferenza personale in impegno collettivo. E a non arrendersi mai, a cercare di far splendere la sua vita, ad illuminare, a vivere. Ne dà dimostrazione quotidianamente tenace, sorridente, ribelle, vitale. Un impegno femminista, di liberazione delle donne dal maschilismo, dall’oppressione patriarcale, in questa società dove ancora oggi esiste la concezione delle donne solo in funzione del maschio. Una concezione che dovrebbe essere confinata in una società che si definisce civile al passato ma purtroppo non è così.

Questo post pubblicato nei giorni scorsi da Ilaria Di Roberto, che parte dalla sua testimonianza personale, contro il revenge porn va letto, dovrebbe imporre riflessioni su cosa significa «colpevolizzare» le donne, farsi portatori insani di una sub mentalità oppressiva, complice e co-carnefice di molestie, abusi, violenze. È lungo ma è una lettura che si impone alla coscienza, per capire, vergognarsi e doverosamente impegnarsi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tra i commenti più abituali rispetto a ciò che concerne il reato di Revenge P*rn abbiamo:

"LE DONNE INVIANO LE PROPRIE FOTO O VIDEO INTIMI PER PURO PIACERE".

Materiale che in virtù di quella "vendetta" tanto osannata dal popolo dei redpillati e degli incel, finisce per essere sbandierato illecitamente su qualche sito porno, per mano di ex non ancora abbastanza grado di accettare la fine di una relazione.

Mi sembra coerente, a tal proposito, parlare della mia esperienza personale.

Sono stata vittima di Revenge P*rn. Due volte.

"Due volte tr*ia" - penserà qualcuno, mentre i piú comprensivi diranno - "due volte stupida!".

Mai negato. Al contrario, nego con estrema lena la forma mentis "r*venge porn = scelta sessuale", termine coniato per la prima volta dall'Illustrissimo Premier della Lega, Matteo Salvini e rimarcato in un secondo momento dal clamore dell'esercito dei Redpill & Incel Company.

Il Revenge P*rn non si sceglie.

È lui che sceglie te.

Ti sceglie per la capacità che hai di vedere il buono anche in coloro che il buono, non sanno neanche cosa sia.

Ti sceglie per i tuoi vuoti mai sanati, per quel bisogno incondizionato d'amore che sembra ancora non voler far parte della tua vita.

Ti sceglie per la tua mancanza di autostima, per la tua fragilità, per l'incapacità che hai di dire "no" davanti a proposte un pò troppo azzardate, convinta che solo grazie all'asservimento riuscirai ad ottenere quell'affetto che ti è mancato da sempre.

Ti sceglie perché vorresti aprire gli occhi, essere sfiduciata, alzare le barriere e chiuderti a riccio davanti al primo campanello dall'allarme, ma non ce la fai. Le mortadelle che hai sugli occhi ti stanno troppo bene. Velano la realtà, ma lasciano trasalire tutto quell'amore che da sempre ti è mancato, impedendoti di sperimentare l'autenticità di un sentimento. Sentimento che il più delle volte non proviene dalla persona che ami: è il tuo amore riflesso a farti da specchio.

Credi di riceverne, ma non è lui. Non è l'amore.

Ecco perché il Revenge P*rn ti sceglie.

Ecco perché mi ha scelta.

A fare da garante alle illusioni, abbiamo poi l'estremo convincimento che "pratiche" di certo calibro, possano essere di tuo gradimento. In realtà è la sindrome di Stoccolma che ha preso possesso del tuo corpo e non ti permette di vedere ciò che accade intorno a te. Mandavo quelle foto sì, ma non per piacere personale: qualora mi venissero chieste, provavo un imbarazzo tale da scoppiare puntualmente in lacrime nell'immediato attimo successivo. Mi sentivo uno straccio. Uno straccio usato.

Quando non sei abituata a certe cose, può starci il bello della "novità", ma quando in un secondo momento ti rendi conto che vivere dei rapporti REALI sia molto meglio che mettersi a scambiare foto hot, interpretando, per giunta, un personaggio che non sei, è proprio in quell'attimo che il mondo ti crolla sulle spalle.

L'unica cosa che ti tiene in vita è l'erronea convinzione che proprio grazie a quegli sforzi sarai amata, perché tutto ha un prezzo e nessuno ti da niente per niente.

Tocca a te fare tutto.

Tocca a te spogliarti.

Tocca a te mostrare un seno o una vulva. Tocca a te assumere le posizioni piú strane pur di compiacere il bisogno sessuale della persona dalla quale credi di ricevere amore.

Tocca sempre a te.

E no, non mi piaceva.

Non mi eccitava nemmeno, tutt'altro: più mi veniva chiesto di cimentarmi in video "estremi", piú una parte della mia dignità volava via, dopo aver premuto il tasto INVIO.

Chi lo avrebbe mai detto che a distanza di qualche settimana, quelle foto sarebbero finite sugli schermi di qualche microcefalo piazzato lì, bello e pronto per la pippa quotidiana? L'unica differenza è che stavolta non avevano davanti a sé la foto di una qualche modella vogliosa sopra una qualche rivista "da gabinetto".

La foto, stavolta, era la mia.

Era il mio corpo ad essere monitorato.

Decidi di dare di nuovo fiducia ad un'altra persona, stavolta reale, con la quale condividi gli istanti piú magici della tua vita e insieme a cui sperimenti per la prima volta, la bellezza di un rapporto "carnale". A lui racconti tutto, anche di essere stata vittima di una delle peggiori piaghe sociali di tutti i tempi: il revenge p*rn.

Dopo qualche mese di frequentazione ed una serie infinita di "not all men", ''io non sono come gli altri", "di me puoi fidarti", "non ti farò mai del male", nel corso di uno dei vostri momenti intimi, decide di fotografarti senza il tuo consenso. Come ti accorgi dell'atto, gli fai giurare e spergiurare di non diffondere le foto, visto che già sei incappata una volta nelle trappole del Web. E si sa, una volta è più che sufficiente.

"Metto il blocco, le ho solo io".

Peccato che a distanza di qualche mese, i suoi amici siano venuti a ridirmi di aver visto quelle stesse foto. Il tutto, condito da un esuberante "GUARDATE CON CHI SONO STATO IERI! HAHAHAH"

Ed eccomi qua, sputtanata a ludibrio ancora una volta.

Nel frattempo, completamente ignara del fatto, ho continuato comunque ad uscirci, a mangiare con lui, a frequentarlo nella più totale inconsapevolezza. Ad oggi mi domando ancora con quale impudenza riuscisse a guardarmi negli occhi.

"Tr*ia due volte" - penserete ancora - "stupida due volte".

Probabilmente.

Ma mentre tu sei lì, a domandarti come sia mai potuto accadere tutto questo, i due ominidi decidono di denunciarti in contemporanea e come se non bastasse, le autorità iniziano ad indagare su di te.

Vittima per DUE VOLTE CONSECUTIVE.

Simpatico, eh?

È questa la prassi italiana per ciò che concerne i reati di revenge p*rn, o meglio per ciò che concerne LE DONNE vittime di revenge p*rn.

Vittime due volte.

Lo sei la terza volta quando decidi di andare a denunciare e le autorità ti domandano la ragione per la quale, ad una scrittrice come te, possa passare per l'anticamera l'idea di farsi fotografare.

Lo sei la quarta volta quando anche gli amici piú stretti ti abbandonano.

Lo sei la quinta quando perdi il saluto delle persone che un tempo, fingevano di stimarti.

Lo sei la sesta quando perdi il lavoro a causa del danno alla tua immagine professionale, o almeno così lo chiamano: devo riconoscere sia abbastanza riduttivo, visto che oltre all'immagine è stata danneggiata anche la mia anima, la mia integrità fisica e mentale (smisi di mangiare, tentai il suicidio due volte) e ben due anni della mia vita.

Potrei continuare all'infinito, cercando un altro miliardo di ragioni per convincervi che in realtà, di piacere ne abbia provato ben poco. Non mi eccitavo nemmeno. Tuttavia, so che non servirà, visto che la conclusione sarà sempre la stessa:

"donne, evitate di farvi le foto da tr*ie".

Cari amici Incel e Redpillati,

dolci ancelle del sano patriarcato, grazie del consiglio. Eviteremo di farci le foto "da tr*ie" e per quel poco di dignità che c'è rimasta, chiederemo anche scusa a nome di coloro che anziché EVITARE di diffondere ciò che non gli appartiene, disintegrano per sempre l'identità di un essere umano, firmando con un click la sua condanna a morte.

Perdonateci se "la tana del lupo" c'è sembrata per un attimo il castello delle favole, ma lo dite anche voi che non tutti gli uomini sono uguali.

"Not all men", avete presente?

Pertanto, care sorelle, evitiamo di mandare i nostri nudes a chi promette di amarci. E se vi chiedono il perché del rifiuto, rispondetegli che nulla è per sempre, tranne lo sterco che plasma la loro natura.

Not all men? No, vi sputo in un occhio.

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