Riccardi: «le donne devono poter studiare, lavorare ed essere indipendenti»

TERZA PARTE. Una ragazza che ha avuto il coraggio di denunciare il branco senza aver paura della ‘ndrangheta e del paese, una ragazza che ha scelto la strada dello studio e della libertà e di opporsi alla camorra. La presidente della Fondazione Famiglia di Maria ci racconta le loro storie esemplari e con noi riflette sulla situazione delle donne nella società di oggi.

Riccardi: «le donne devono poter studiare, lavorare ed essere indipendenti»
Locandina di una carezza in un pugno contro la violenza di genere

«Abbiamo avuto un grande momento di risveglio delle coscienze delle donne ma c'è ancora tanto da fare» è una delle riflessioni che Anna Riccardi, presidente della Fondazione Famiglia di Maria, condivide con noi in quest’intervista.

C’è ancora molto da fare perché troppo spesso la violenza e la pretesa di considerare una ragazza come un oggetto di cui si è proprietari vengono considerati amore, perché troppe donne non sono ancora libere di poter scegliere se fare o non fare certi lavori, perché non sempre le ragazze hanno l’opportunità di studiare, rendersi libere economicamente e poter essere indipendenti.

È la strada scelta da Adriana, una piccola grande donna con una grande madre la definisce nell’intervista Anna Riccardi, che ha giovanissima ha scelto di scendere in piazza contro la camorra, studiare e percorrere la strada della legalità. Annamaria Scarfò giovanissima fu vittima delle violenze del branco, ripetute nel tempo, e decise di denunciare per difendere la sorella più piccola, sfidando il paese e la ‘ndrangheta. Amalia De Simone ci ha raccontato le loro storie nell’intervista del 28 aprile. Adriana frequenta la Fondazione, con Annamaria Scarfò c’è stato un intenso incontro, in quest’articolo Anna Riccardi ci regala le sue profonde riflessioni sulle loro storie, sulla situazione sociale ed economica delle donne ai nostri tempi.  

Grazie soprattutto ad Amalia De Simone nei mesi scorsi molti abbiamo scoperto alcuni incontri della Fondazione, tra cui quello con Annamaria Scarfò. Puoi raccontarci come è nato e come si è svolto, quali emozioni ha portato quest'incontro?

«La Fondazione ha partecipato al bando «una carezza in un pugno» del Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri sul contrasto della violenza di genere. All'interno del progetto c'è la possibilità di incontrare donne vittime di violenza che possono testimoniare occasioni di riscatto e di una nuova vita. Testimonianze che fanno riflettere perché quando le incontri si comprende che i segni delle violenze non si possono mai cancellare del tutto. Amalia De Simone è stata la madrina del progetto: lo ha inaugurato raccontando la sua esperienza di giornalista d'inchiesta sul campo con le donne nigeriane ai ragazzi della fondazione e delle quattro scuole partner. In quell'occasione indicò il nome di Annamaria Scarfò per un incontro, per me è stata una delle esperienze più forti e toccanti: una donna che ha avuto la forza di ricominciare, queste vicende ci toccano nel profondo leggendole sui giornali ci toccano nel profondo ma quando le ascolti dal vivo, senti il suono delle parole e ti soffermi sulla forza di donne come lei è tutta un'altra cosa. Annamaria Scarfò ha avuto la dignità e la forza di denunciare tutti e soprattutto di ricominciare.

Spero che manterrà sempre questa forza, anche se ci saranno i momenti di sconforto perché non si cancella quel che avvenuto, la sua testimonianza è stata la più forte e mi ha dato maggior convinzione nell'indipendenza culturale ed economica sono i cardini della libertà di una donna. Le donne oggi devono poter studiare, lavorare ed essere indipendenti da qualsiasi uomo. Lo ripeto sempre: al primo grido e al primo schiaffo da parte di un uomo che si pensa sia geloso perché innamorato è necessario scappare, al primo papà che mette le mani addosso ad una madre perché la sera non ha voluto sparecchiare la tavola bisogna rispondere no, non si fa, al primo trucco che una donna vuole truccarsi nessuno può dirgli di toglierlo.

Abbiamo avuto un grande momento di risveglio delle coscienze delle donne ma c'è ancora tanto da fare, guardando le adolescenti di oggi mi rendo conto che dobbiamo fare ancora molto di più perché troppo spesso confondo l'amore con la violenza e con la grande debolezza di un maschio che non è capace di lasciar libera la compagna di vestirsi come vuole o di uscire da sola con le amiche. Ringrazierò sempre Annamaria per la testimonianza durante questo progetto, non la dimenticherà mai nei comportamenti perché queste testimonianze sono importanti quando riescono a modificare i comportamenti.

Credo molto nella parità di genere e il contrasto alla violenza di genere, immettere il seme della nonviolenza di genere è molto importante: far capire alle ragazzine e alle loro madri che se una sera non vogliono fare i lavori domestici devono poter dormire sonni tranquilli senza ricevere uno schiaffo da nessun uomo. Siamo molto felici della scelta del Comune con l'assessorato alle politiche sociali di considerare prioritarie le politiche educative e realizzazione di alcune importanti attività: abbiamo un centro polifunzionale per minori e l'educativa territoriale, se non fosse arrivata l'emergenza sanitaria avremmo a breve inaugurato anche un altro servizio per le famiglie rimasto per adesso in stand by. Il palazzone enorme della Fondazione è abitato in tutte le sue stanze come quella delle mamme dove possono fare teatro, ginnastica, pilates e intrattenimento.

Il colpo di pistola contro il nostro portone fu sparato il 12 settembre 2019, per me fu una cosa pazzesca che mi segna ancora oggi. Il mio timore fu che non sarebbe più venuto nessuno in Fondazione, una grande forza venne proprio dalle mamme del quartiere e dei bambini che frequentano la Fondazione. Non mi hanno lasciata sola e detto «da qua non ce ne andiamo, dobbiamo continuare e saremo insieme al tuo fianco». La Fondazione ha un senso se fa comunità educante, quando vedi che l'impegno è apprezzato anche da alte cariche istituzionali ci si rende conto che un colpo di pistola o un'emergenza come quella che stiamo attraversando può fermare tutto questo».

Il padre di Adriana è in carcere e lei ha deciso di ribellarsi ad un destino che poteva apparire segnato, scendendo in piazza contro la camorra con parole dure. Adriana è la dimostrazione che è possibile un'alternativa alla camorra. Come è avvenuto l'incontro con la Fondazione e quali attività portate avanti insieme?

«Adriana è una piccola grande donna ed ha una grande madre che è riuscita a portare avanti l'educazione delle due figlie in maniera esemplare. Il padre di Adriana è in carcere, lei ha scelto con il cuore la strada giusta, non ha assolutamente paura di dire che sa quale strada è giusta: le manifestazioni contro la camorra, aiutare chi è in difficoltà, sa dove è la legge e cosa è giusto. Scelte in cui è sempre stata accompagnata da una grande mamma. Adriana ci racconta che parla anche col padre di queste sue scelte di vita che le dice «fai bene, fai bene, fai bene a stare in fondazione e fare le cose che fai».

Adriana vuole studiare, abbiamo fatto un progetto con l'Università Federico II nel quale i ragazzi della Fondazione, bambini della periferia, hanno incrociato per tre giorni i ragazzi della DIGITA Academy, laureati economisti, ingegneri, informatici, con cui hanno progettato delle piccole app. Quando Adriana ha varcato le soglie dell'Università ha detto «io qua voglio stare, voglio tornare perché voglio studiare ed essere una donna libera, voglio diventare una donna importante ma soprattutto qualcuno che ha studiato».

A conclusione uscendo ha detto «io adesso esco ma ci tornerò quando sarò grande. Adriana è un'altra piccola grande donna che ha scelto, mi verrebbe da dire da partigiana, la strada giusta, la strada che la maggior parte delle ragazzine e dei ragazzini di San Giovanni calpesta. Un terreno molto duro, come il cemento e l'asfalto, ma noi abbiamo la schiena dritta perché sappiamo quali sono gli insegnamenti e anche gli errori e pratichiamo una strada che non è buia e oscura, una strada che ci vede tutti insieme ed è quella della libertà. Adriana studia, frequenta il secondo anno delle scuole superiori, ogni tanto ci sentiamo anche in questi giorni di quarantena, ha mantenuto una grande umiltà. La forza di Adriana e Martina, la sorella, è come sottolineavo prima la mamma.