Sessismo e classismo fanno schifo sempre

Gli insulti, l’odio e la violenza (anche verbale) contro le donne e gli impoveriti non possono ammettere se e ma.

Sessismo e classismo fanno schifo sempre

Siamo nei giorni della «Festa della Donna» e, come in ogni «Giornata», piovono copiosi discorsi retorici, belle parole, grandi propositi, commozioni e retoriche. La violenza maschilista, le molestie, gli stupri di ogni tipo, gli insulti, il massacro quotidiano segnano la vita di troppe donne in Italia. Anche una sola donna molestata, violenta, assassinata sarebbe troppo. Sia ben chiaro, non è accettabile che neanche una sola donna debba subire le depravazioni, perversioni, l’essere considerata oggetto di turpi appetiti, di dominio e violenza maschile. Ma i numeri sempre più drammatici dimostrano quanto sia un’emergenza di livelli sempre più insostenibili per un Paese che si definisca civile.

Oltre la cortina fumogena delle retoriche e delle passerelle, delle cerimonie e dei discorsi resta intatta una realtà vergognosa, capillare, strutturale, di dominio ed oppressione disumana e brutale. E tra le belle parole e le morali d’occasione la realtà irrompe all’improvviso ovunque. E certe dinamiche sociali si svelano. Ne abbiamo avuto l’ennesima riprova, di quanto la civiltà sia ancora lontana e la struttura sociale misogina e violenta sia capillare ad ogni livello. Alimentata anche da chi, in quella cortina fumogena e oltre, sostiene di combatterla.

L’ennesima dimostrazione l’abbiamo avuta nelle scorse settimane. Superato il clamore del momento, posata la polvere della bufera, una riflessione s’impone e non si può far cadere tutto nell’oblio. Come noto nelle scorse settimane un professore universitario, ex esponente istituzionale locale, in una trasmissione radiofonica ha ripetutamente insultato la presidente di Fratelli D’Italia Giorgia Meloni. Insulti sessisti e classisti, parole che nulla hanno di politico e sociale. Molte reazioni, sui social, sui media e nell’agone politico tra un tentativo di condanna e l’altro hanno espresso se, ma, hanno svicolato. Gira che ti rigira è emersa una questione incontrovertibile: quando si parla del corpo  di una donna o degli impoveriti l’odio, il gioco al massacro, gli insulti, possono essere considerati leciti e accettabili. Del corpo di una donna ma non solo, dell’animo e del cuore perché ogni donna è prima di tutto una persona nella sua totalità, non un oggetto e che si debba specificare questa elementare verità già fa capire il livello.

Nessuna donna può essere colpevole in quanto donna, nessun impoverito perché è povero. La provenienza sociale non deve mai essere occasione di scherno, insulto, disprezzo.

Nei partiti in cui ha militato Giorgia Meloni ci sono stati militanti violenti? C’è chi odia le donne o le considera inferiori? Se la risposta è esprimere esattamente quello di cui si accusa - tra l’altro è totalmente estraneo a quel contesto radiofonico come a tanti altri passati, insultare una donna in gravidanza per le sue forme è alimentare uno dei peggiori massacri maschilisti esistenti – non si è credibili, non c’è nessun attivismo politico e ogni proposito, più o meno presunta lotta sociale, nulla di nulla. Trionfa solo l’appartenenza ad una tribù, ad una fazione, ai «propri». Le donne o i più deboli, fragili, impoveriti della società rimangono sullo sfondo o diventano solo pretesto per una sorta di guerra tra bande del XXI secolo.

Lo stupro e la violenza sono crimini orrendi, schifosi, disumani. Sempre. Da decenni arma di guerra in tanti conflitti nel mondo. Dove eserciti e milizie paramilitari considerano le donne appartenenti alla fazione opposta merce e bottino di guerra. L’ipocrisia che si svela, la falsa coscienza che irrompe all’improvviso nell’agone politico, sociale e mediatico italico troppo spesso non appare alimentato da dinamiche molto diverse: i neofascisti campani che volevano stuprare «a sangue» una ragazza ebrea non sono più esecrabili dei presunti «antifà» che a Parma stuprarono anche con un fumogeno una ragazza, diffusero per mesi il video della violenza irridendola e schernendola.

Uno stupro è sempre uno stupro, una molestia è sempre una molestia, una violenza è sempre una violenza, un femminicidio è sempre un femminicidio. E l’ingiustizia sociale è ingiustizia sempre. Quando si cominciamo a seminare i se e i ma, quando le condanne diventano blande e condizionate si spalanca sempre la porta alle peggiori fogne di questa società, si perpetuano sempre quei meccanismi di oppressione e dominio. E si diventa complici delle dinamiche che impediscono all’Italia di essere un Paese realmente civile che non le ha ancora gettate nella spazzatura della Storia.

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