Sevel Fca, la denuncia degli operai: «Non è cambiato nulla»
La Slai Cobas spiega: «I lavoratori non sono carne da macello, paralizzate le linee di produzione». Molti lavoratori restano spaesati e increduli davanti a certe scelte: «non abbiamo le mascherine e non possiamo rispettare la prescrizione della distanza».
«La ripresa produttiva è stata paralizzata grazie alla mobilitazione prolungata lanciata a tutela dei lavoratori con riduzione dei volumi impostati del 70% rispetto ai giorni precedenti». Lo scrivono, in un nota, i rappresentanti sindacali di Slai Cobas Chieti. Ma, nello stesso tempo, la richiesta resta sempre la stessa: la chiusura temporanea dell’intero sito Sevel e delle aziende collegate, «al fine di tutelare gli operai e le loro comunità di provenienza, come avvenuto negli altri stabilimenti Fca italiani ed europei a seguito dell’emergenza sanitaria».
Tra i due fuochi resta l’angoscia dei lavoratori. Sui social si possono leggere le loro considerazioni.
Lamentano la mancanza di mascherine, prescritte chiaramente nel protocollo. «Le mascherine solo capo ute e team leader»; «le mascherine mancano alle forze dell’ordine e agli ospedali, figurati se la sevel può averle»; «è una cosa vergognosa. Roba da pazzi»; «la mascherina a chi si e a chi no e ti fanno firmare un foglio che gira e rigira per qualsiasi responsabilità è tua, questo è quello che mi hanno detto»; «non è cambiato assolutamente niente».
Anche sul rispetto delle distanze si leggono forti critiche: «le mascherine sono previste unicamente per le postazioni dove è impossibile mantenere il metro di distanza»; «io non sono a lavoro ma dal montaggio mi riferiscono la stessa cosa…»; «io sono a casa. Da lì mi riferiscono tutto normale come se nulla fosse successo»; «ho riferito loro di chiamare i carabinieri ma non credo lo faranno»; «è tutto confermato»; «confermato, anzi prova a cercare gel per mani».
In questa situazione assurda, dove i lavoratori devono scegliere tra la salute e il lavoro, sta montando una certa tensione: una guerra tra poveri, tra chi sostiene che sia giusto restare a casa e chi, giustamente, deve affrontare le proprie problematiche: «Ma perché siete andati a lavorare mi domando se sapete già che non vi verrà assicurata la tutela necessaria per vivere questa situazione straordinaria». La risposta del lavoratore non può lasciare indifferenti: «Tu hai ragione ed io sono con te, ma se l’azienda non chiede la cassa per quanto tempo credi potrai scioperare? Io sono monoreddito con tre figli a carico e pago l’affitto. Il sacrificio lo farei se poi avessi un risultato, ma a questa condizioni non so. L’azienda è ferma nelle sue posizioni».
Tutto questo accade perché non è stata bloccata la produzione di beni che, ovviamente, non sono di prima necessità. Scriveva Ignazio Silone nel suo capolavoro Fontamara: «La morte dell’asino se la piange il padrone».
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