The Corona Virus. Ipocrisia e mezze verità

La nuova epidemia proveniente dalla Cina mostra ancora una volta l’ipocrisia e le mezze verità del main stream italico, col passare delle settimane appare sempre più il cavalcare uno show che altro

The Corona Virus. Ipocrisia e mezze verità
(fonte, quotidiano.net, elaborazione dati del South China Morning Post)

Primato di una grandissima eccellenza del nostro paese, viva l’Italia e i suoi eroi. Si potrebbe riassumere così la narrazione dei giorni scorsi alla notizia che il coronavirus della nuova epidemia cinese è stato isolato all’Istituto Spallanzani di Roma. Tutti sul carro della grande ricerca italiana, compresi esponenti politici nazionali e ministri. Una salita del carro che ha diversi «non detti» e appare più il copione di uno show ad uso e consumo di altri interessi che la preoccupazione e l’interesse della salute pubblica. Non è intenzione di quest’articolo soffermarsi sull’approfondimento scientifico, sul fornire nozioni mediche che richiedono anni e anni di studi. Ma alcuni dati balzano subito all’attenzione per chi vuol andare oltre la cortina fumogena dell’allarmismo esasperato e di uno show mediatico che da settimane ha conquistato la ribalta. L’Istituto Spallanzani nel rendere noto i risultati della propria equipe ha ricordato che anche in altri stati si è già isolato e se ne stanno ottenendo, la gran parte della stampa ha parlato e scritto di «primi al mondo» (neanche fosse il mondiale di calcio!). Esiste un database mondiale, disponibile online sul portale GenBenk, dove tutte queste ricerche possono essere condivise. E così scopriamo non solo che i cinesi non hanno nascosto le loro ricerche al mondo ma che l’Italia è … trentesima.

L’equipe dell’Istituto Spallanzani è composto da tre ricercatrici: la direttrice del laboratorio di virologia Maria Rosaria Capobianchi, la responsabile dell’unità virus emergenti dell’Istituto Concetta Castilenti e la ricercatrice Francesca Colavita. Laureata in biologia applicata alla ricerca biomedica e specializzata in microbiologia e virologia all’università Sapienza di Roma, Francesca Colavita è una trentenne originaria di Campobasso che lavora da sei anni all’Istituto Spallanzani in totale precarietà, il suo è un contratto da co.co.co. con uno stipendio annuo minore di quello di un qualsiasi impiegato pubblico, che lo Spallanzani ha annunciato di modificare con l'assunzione e la stabilizzazione solo settimane dopo l'annuncio nazionale. Una situazione comune a tantissimi ricercatori di tutta Italia che, mentre le cronache spesso ci riportano testimonianze di «cervelli in fuga» all’estero alla ricerca di maggior valorizzazione e migliori prospettive, sono costretti a barcamenarsi nelle condizioni più difficili possibili. E la stessa ricerca scientifica è di fatto una delle «cenerentole» dell’economia italiana, scarsamente finanziata e sottoposta spesso anche a tagli di già miseri budget. L’anno scorso il governo aveva assicurato di voler aumentare i fondi per la ricerca scientifica con l’istituzione di un’apposita agenzia nazionale fornita di un cospicuo budget, un mese dopo essere nata quest’agenzia già sta vedendo falcidiate le forniture con il decreto milleproroghe. E la sanità pubblica, tra ospedali non attrezzati o chiusi, mancanza di medici o eccesso di precari, non è messa meglio, sarebbe cronaca quotidiana di tutta Italia. Sulle misure di individuazione di questo nuovo coronavirus in alcuni aeroporti da alcuni giorni (per la grande epidemia globale!) sono stati attivati controlli con termo scanner, insieme ad alcuni medici sono mobilitati soprattutto i volontari della Croce Rossa Italiana.  E, a proposito di aeroporti e confini internazionali, anche in queste settimane ci sono state fazioni politiche che sono tornati a chiedere la chiusura totale, barriere a proteggere il suolo italiano da presunte orde di barbari che si preparerebbero ad infettare l’italica stirpe. A proposito di barbari che, tra un abisso morale e la disumanità più brutale, possono mettere a rischio anche la salute c’è un dato vergognosamente sottaciuto da anni, un record mondiale detenuto da italiani e che meriterebbero frontiere chiuse ma nessuno finora l’ha mai chiesto: da almeno quasi 3 lustri ogni anno sono 80.000 i clienti italiani del turismo sessuale nel mondo, soprattutto nel sud est asiatico e sfruttando bambine, mentre il Sun nelle scorse settimane ha pubblicato un’inchiesta dove ha definito il Gambia «un paradiso per pedofili» dove i bambini vengono venduti a ricchi turisti europei per due sterline.  

Si legge sul sito del portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica dell’Istituto Superiore di Sanità che i (attenzione al plurale!) «coronavirus (CoV) sono un’ampia famiglia di virus respiratori che possono causare malattie da lievi a moderate, dal comune raffreddore a sindromi respiratorie come la MERS (sindrome respiratoria mediorientale, Middle East respiratory syndrome) e la SARS (sindrome respiratoria acuta grave, Severe acute respiratory syndrome)» e che «i coronavirus umani conosciuti ad oggi, comuni in tutto il mondo, sono sette, alcuni identificati diversi anni fa (i primi a metà degli anni Sessanta) e alcuni identificati nel nuovo millennio». Ad oggi questo nuovo Coronavirus sta mostrando una mortalità che sembra molto bassa, un dato che appare molto più grave per altre malattie come ebola e morbillo. Questo nuovo coronavirus non è l’unica emergenza sanitaria nel mondo, l’anno scorso solo nella Repubblica Democratica del Congo il morbillo ha ucciso oltre 6.000 persone e contagiato oltre 288.000 persone secondo stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nella stessa area è in corso da oltre un anno e mezzo una gravissima diffusione di Ebola con una mortalità tra le persone contagiate intorno al 70%. In Italia, secondo stime dell’Air Quality Report 2019 dell’Agenzia Europea per l’Ambiente rese note nei mesi scorsi, le morti precoci sono almeno 58.600 per alcuni veleni nell’aria che respiriamo, la rivista Nature nel settembre scorso ha pubblicato i risultati di una ricerca scientifica che stima in 3,3 milioni nel mondo (principalmente in Asia) i morti per inquinamento atmosferico. Il 22 dicembre scorso in varie parti d’Italia si è sono mobilitate le Magliette Bianche, un movimento che unisce le lotte per la bonifica nei SIN (siti d’interesse nazionale), luoghi come Bussi in Abruzzo, la Taranto dell’Ilva, la Brescia della Caffaro e tanti altri, l’elenco completo è una vera e propria Spoon River della devastazione ambientale italiana. Senza scendere nel dettaglio di tutti questi luoghi bastano alcuni dati su scala nazionale per cominciare ad inquadrare il criminale dramma che uccide e avvelena. Il quinto rapporto Sentieri dell’Istituto Superiore di Sanità ha registrato nei SIN tra il 2013 e il 2016 quasi 12.000 morti in più rispetto alle attese, nei bambini fino a 4 anni sono stati 22.000 i ricoveri in eccesso, a Taranto un maggior numero rispetto alle medie statistiche di linfomi non Hodgkin, sarcomi, nelle persone tra i 20 e i 29 anni il 70% di tumori alla tiroide, delle cellule germinali, trofoblastici e gonadici, tra il 2002 e il 2015 il 9% di malformazioni congenite nei nuovi nati.