Trattativa Stato-mafia, Padovani e il pericolo di Repubblica giudiziaria

Quella del 20 luglio, il giorno dopo il ventinovesimo anniversario della strage di via D'Amelio, è stata l'ultima udienza della fase dibattimentale del processo d'Appello sulla Trattativa Stato-mafia. Il 17 settembre sarà la volta delle repliche del procuratore generale, mentre il 20 la Corte dovrebbe ritirarsi in Camera di Consiglio per decidere sulle condanne inflitte agli imputati in primo grado. A prendere la parola sono stati gli avvocati Padovani (legale di Marcello Dell'Utri) e Anania (difensore del boss Leoluca Bagarella). Per entrambi, la sentenza di primo grado va annullata.

Trattativa Stato-mafia, Padovani e il pericolo di Repubblica giudiziaria

Riprenderà il 17 settembre il processo d'Appello sulla Trattativa Stato-mafia per le repliche del procuratore generale. Il 20, dopo aver dato la parola alle difese per eventuali controrepliche, la Corte si ritirerà in camera di Consiglio per decidere sulle condanne inflitte in primo grado agli imputati del processo, tutti condannati per il reato di minaccia a corpo politico dello Stato. A chiudere la fase dibattimentale sono stati gli avvocati Padovani e Anania, difensori rispettivamente di Marcello Dell'Utri e del boss Leoluca Bagarella.

Il professor Padovani si è agganciato all'arringa del collega Centonze, che già nella scorsa udienza aveva tentato di dimostrare l'estraneità del suo assistito rispetto ai fatti oggetto del processo. Padovani, attraverso il racconto dei quattro punti che avrebbero portato Dell'Utri a trasmettere la minaccia di Mangano a Berlusconi, ha provato a smontare del tutto l'accusa nei confronti dell'ex senatore. 

Punto primo. Vittorio Mangano incontra Dell'Utri nel 1994? Su questo punto, l'avvocato sostiene che non valga del tutto la convergenza del molteplice a proposito delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Giovanni Brusca avrebbe parlato di un solo incontro tra Mangano e Dell'Utri avvenuto quando Berlusconi non era ancora capo del governo. Salvatore Cucuzza, invece, avrebbe parlato di due incontri quando Berlusconi era già in carica: “possibile che Brusca non ne sapesse niente?”.
Uno parlava di minaccia, l'altro di “un lobbista in azione”, che non voleva rinnovare la stessa minaccia, ma fare pressioni, acquisire informazioni.
La sentenza di primo grado afferma che “deve ritenersi provato che dopo l'insediamento del nuovo governo, Mangano ebbe a incontrare Dell'Utri in almeno due occasioni (la prima tra giugno e luglio 1994 e la seconda nel dicembre 1994) per sollecitare l'adempimento degli impegni presi durante la campagna elettorale, ricevendo, in entrambe le occasioni, ampie e concrete assicurazioni”.

Punto secondo. Cosa Mangano comunica a Marcello Dell'Utri? Secondo il professor Padovani, non vale l'assunto della Corte di primo grado secondo cui la pericolosità del soggetto (Mangano) costituisse di per sé una prova della minaccia (“la minaccia è un reato formale di pericolo che si consuma già allorché il mezzo usato per attuarla abbia in sé l'attitudine a intimorire il soggetto passivo e cioè a produrre l'effetto di diminuirne la libertà psichica e morale di autodeterminazione”). “Il mafioso ha la minaccia incorporata?”, ha scherzato l'avvocato. Non basta lo spessore criminale dell'interlocutore per comprendere la percezione della portata minatoria del messaggio, anche se la sentenza sottolinea come “sia Dell'Utri, sia Berlusconi, cui erano rivolte le richieste, ben conoscevano lo spessore mafioso di Vittorio Mangano. […] Quale che sia stata la natura dell'aproccio di Mangano, nessuno può dubitare che questo sia stato inevitabilmente percepito dal proprio interlocutore quantomeno come una forma di pressione più o meno esplicita, ma sicuramente esercitata sotto la minaccia di possibili ritorsioni come la storia e l'esperienza avevano sempre dimostrato anche più direttamente e specificamente a quegli stessi interlocutori”.

Punto terzo e punto quarto. Che cosa Dell'Utri riferisce a Berlusconi? Gli riferisce effettivamente la minaccia? E Berlusconi e il governo percepiscono la portata minatoria di ciò che gli viene rivelato? Secondo la difesa, no. Secondo la difesa, a Dell'Utri non è stata prospettata una minaccia stragista e gli incontri che ha avuto con Mangano non hanno avuto ad oggetto il rinnovamento della stessa minaccia, ma solo “richieste di informazioni” o pressioni. Anche il professor Padovani, come il suo collega, torna sull'“eterno ritorno dell'uguale”: si processa, di nuovo, Marcello Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Reato per il quale l'imputato è stato assolto per i fatti successivi al 1992. 

C'è poi un quinto punto su cui il difensore si è soffermato lungamente: “dov'è il governo?”. Perché per lui quel riferimento al “singolo componente del governo” inserito nella riforma del 2017 dell'art 338 c.p.p., che punisce il reato di “violenza o minaccia a corpo polito dello Stato”, non può agire retroattivamente. Per la difesa, la minaccia sarebbe stata rivolta tuttalpiù al Presidente Berlusconi ma non all'organo del governo, anche se poi le richieste di Cosa nostra si sarebbero tradotte in provvedimenti legislativi approvati dal Consiglio dei ministri.

“Le norme rappresentano il senso delle cose solo se effettivamente corrispondono alle cose. Sennò, sono altro”. L'articolo 338 è stato inserito “solo per dare rilevanza penale alla Trattativa”, è una “precomprensione ermeneutica”, come ebbe a dire Fiandaca. Sarebbe stato strumentalizzato, niente di più. Perché “Dell'Utri è un imputato irrinunciabile”, anche se “a suo carico non c'è nulla”.

Abbiamo istituito la Repubblica giudiziaria”, una forma di governo in cui il titolare del potere esecutivo può ritenere di aver subito minaccia su qualsiasi questione. Se così fosse, per Padovani, non ci sarebbe più stato di diritto. 

Dopo l'arringa della difesa Dell'Utri, è intervenuto anche l'avvocato Giovanni Anania, legale di Leoluca Bagarella e precedentemente di Salvatore Riina. Nel suo intervento, l'avvocato ha speso parole di indignazione nei confronti del regime carcerario del 41 bis ed è tornato su Vito Ciancimino e sull'arresto di Totò Riina, che esclude sia stato immolato sull'altare della Trattativa, ma che è invece stato frutto esclusivamente “delle ricerche del maresciallo Lombardo (“quello che poi si è suicidato”, con un suicidio anomalissimo sul quale non si è mai fatto luce) e delle rivelazioni di Balduccio Di Maggio.

Il processo è rinviato all'udienza del 17 settembre, quella dedicata alle repliche del procuratore generale. Il 20, dopo aver ascoltato le difese, la Corte dovrebbe ritirarsi in Camera di consiglio per le decisioni finali.

 

 

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