Un intellettuale scomodo

SPECIALE PIER PAOLO PASOLINI. IL MASSACRO DI UN POETA. Prima parte. Bologna, 5 marzo 1922 - Idroscalo di Ostia (massacro), 2 novembre 1975. Inizia oggi il nostro lungo "viaggio" per ricordare il poeta MASSACRATO (in vita e in morte) dal potere costituito. Lo faremo attraverso i suoi scritti e le sue profezie. Resta ancora una domanda che gravita intorno alla sua morte: chi ha ucciso Pasolini?

Un intellettuale scomodo
Pier Paolo Pasolini (ph www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it)

«Poi abbiamo perduto anche il simile. Cosa intendo per simile: intendo che lui ha fatto delle cose, si è allineato nella nostra cultura, accanto ai nostri maggiori scrittori, ai nostri maggiori registi. In questo era simile, cioè era un elemento prezioso di qualsiasi società. Qualsiasi società sarebbe stata contenta di avere Pasolini tra le sue file. Abbiamo perso prima di tutto un poeta. E poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo (applausi). Quando sarà finito questo secolo, Pasolini sarà tra i pochissimi che conteranno come poeta. Il poeta dovrebbe esser sacro.»

Orazione di Alberto Moravia ai funerali di Pasolini, 5 novembre 1975

Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna il 5 marzo 1922, primogenito di Carlo Alberto Pasolini, tenente di fanteria, e di Susanna Colussi, maestra elementare. Il padre, di vecchia famiglia ravennate di cui ha dissipato il patrimonio, sposa Susanna il 21 dicembre 1921 a Casarsa. I due sposi si trasferiscono in seguito a Bologna.

"Sono nato in una famiglia tipicamente rappresentativa della società italiana: un vero prodotto d’incrocio… un prodotto dell’unità italiana. Mio padre discendeva da un’antica famiglia nobile della Romagna, mia madre, al contrario, viene da una famiglia di contadini friulani che si sono a poco a poco innalzati, col tempo, alla condizione piccolo-borghese. Dalla parte di mio nonno materno erano del ramo della distilleria. La madre di mia madre era piemontese, ciò che non le impedì affatto di avere ugualmente legami con la Sicilia e la regione di Roma…"

A Bologna la famiglia Pasolini resta poco: si trasferiscono a Parma nel 1923, a Conegliano nel 1924, a Belluno nel 1925 e di seguito, di spostamento in spostamento, a Sacile, Idria, Cremona, Scandiano fino a stabilirsi a Bologna nel 1937.

"Hanno fatto di me un nomade. Passavo da un accampamento all’altro, non avevo un focolare stabile."

Nel 1925, a Belluno, nasce il secondogenito, Guidalberto. Visti i numerosi spostamenti, l’unico punto di riferimento della famiglia Pasolini rimane Casarsa, dove vengono trascorse le vacanze estive. Pier Paolo vive con la madre un rapporto di simbiosi, mentre si accentuano i contrasti col padre.

"Quando mia madre stava per partorire ho cominciato a soffrire di bruciori agli occhi. Mio padre mi immobilizzava sul tavolo della cucina, mi apriva l’occhio con le dita e mi versava dentro il collirio. E’ da quel momento “simbolico” che ho cominciato a non amare più mio padre. […] Tutte le sere aspettavo con terrore l’ora della cena sapendo che sarebbero venute le scenate […]. In me c’era stata una iniziale rimozione della madre che mi ha procurato una nevrosi infantile. Questa nevrosi mi aveva fatto diventare inquieto, di un’inquietudine che metteva in discussione in ogni momento il mio essere al mondo."

Riferendosi alla madre:

"Mi raccontava storie, favole, me le leggeva. Mia madre era come Socrate per me. Aveva e ha una visione del mondo certamente idealistica e idealizzata. Lei crede veramente nell’eroismo, nella carità, nella pietà, nella generosità. E io ho assorbito tutto questo in maniera quasi patologica."

Con il fratello Guido Pier Paolo vive in rapporto di amicizia, mentre il fratello minore vive in una sorta di venerazione per il maggiore: bravo nello studio e nei giochi con gli altri ragazzi. Questa ammirazione accompagnerà Guido fino al giorno della sua morte.
I primi anni di scuola sono compiuti tra innumerevoli trasferimenti che, comunque, non intaccano il rendimento scolastico di Pier Paolo. Frequenta la scuola elementare con un anno d’anticipo. Nel 1928 avviene l’esordio poetico: Pier Paolo annota su un quadernetto una serie di poesie accompagnate da disegni. Il quadernetto, a cui  seguirono altri, andrà perduto nel periodo bellico.
Ottiene il passaggio dalle elementari al ginnasio che frequenta a Conegliano.
Di quegli anni il passo noto come Teta veleta, che Pasolini più tardi spiegherà in questo modo:

"Fu a Belluno, avevo poco più di tre anni. Dei ragazzi che giocavano nei giardini pubblici di fronte a casa mia, più di ogni altra cosa mi colpirono le gambe soprattutto nella parte convessa interna al ginocchio, dove piegandosi correndo si tendono i nervi con un gesto elegante e violento. Vedevo in quei nervi scattanti un simbolo della vita che dovevo ancora raggiungere: mi rappresentavo l’essere grande in quel gesto di giovanetto corrente. Ora so che era un sentimento acutamente sensuale.  Se lo riprovo sento con esattezza dentro le viscere l’intenerimento, l’accoratezza e la violenza del desiderio. Era il senso dell’irraggiungibile, del carnale – un senso per cui non è stato ancora inventato un nome-. Io lo inventai allora e fu “teta veleta”. Già nel vedere quelle gambe piegate nella furia del gioco mi dissi che provavo “teta veleta”, qualcosa come un solletico, una seduzione, un’umiliazione."

Lo stesso Pasolini preciserà:

"La mia infanzia finisce a 13 anni. Come tutti: tredici anni è la vecchiaia dell’infanzia, momento perciò di grande saggezza. Era un momento felice della mia vita. Ero stato il più bravo a scuola. Cominciava l’estate del ’34. Finiva un periodo della mia vita, concludevo un’esperienza ed ero pronto a cominciarne un’altra. Questi giorni che hanno preceduto l’estate del ’34 sono stati tra i giorni più belli e gloriosi della mia vita."

Pier Paolo conclude gli studi liceali e a 17 anni, nel 1939, si iscrive all’Università di Bologna alla Facoltà di lettere. Negli anni del liceo, insieme a Luciano Serra, Franco Farolfi, Ermes Parini (di cui Guido Pasolini prenderà a prestito il nome, Ermes, per la sua militanza partigiana nella Brigata Osoppo) e Fabio Mauri, crea un gruppo letterario per la discussione di poesie e collabora a “Il Setaccio”, il periodico della Gil bolognese. Pasolini scrive poesie  in italiano e, con esercitazioni che iniziano nel 1941, anche in friulano. Queste ultime  saranno raccolte nel libretto Poesie a Casarsa, edito nel 1942.
Dalla fine del 1942, ripara con la madre e il fratello a Casarsa, più sicura rispetto a Bologna, minacciata dalla guerra. In Friuli, insieme ad altri amici e letterati del posto, fonda nel 1944 la rivista Stroligut di cà da l’aga”, di cui escono i primi due numeri nell’aprile e nell’agosto,  e crea nel 1945 l’ Academiuta di lenga furlana. La scelta del dialetto, per la poesia e per la prosa,  rappresentaanche una sorta di opposizione al potere fascista:

"Il fascismo non tollerava i dialetti, segni / dell’irrealizzata unità di questo paese dove sono nato, / inammissibili e spudorate realtà nel cuore dei nazionalisti." 

Accanto alle motivazioni estetiche, l’uso del dialetto rappresenta anche un tentativo di privare la Chiesa dell’influenza culturale sulle masse sottosviluppate. E inoltre, mentre la sinistra predilige infatti l’uso della lingua italiana, Pasolini tenta appunto di portare anche a sinistra un approfondimento della cultura in senso popolare e linguisticamente dialettale.
Il ritorno a Casarsa rappresenta, negli anni dell’università, il ritorno ad un luogo felice per Pasolini. Scrive a Silvana Ottieri in una lettera dell’8 aprile 1947:

"Che si fosse di Sabato Santo era un particolare che mi lasciava freddo. Tu avessi visto i colori dell’orizzonte e della campagna! Quando il treno si fermò a Sacile, in un silenzio fittissimo, da ultima Tule, ho sentito di nuovo le campane. […] Lì, dietro alla stazione di Sacile, si spinge verso la campagna una strada che non so se ho percorsa durante l’infanzia o se ho sognata."

 

II. Dal 1945 al 1949. La seconda guerra mondiale e la morte di Guido

La seconda guerra mondiale rappresenta per Pasolini un periodo estremamente difficile. Il suo stato d’animo si intuisce anche dal tenore delle lettere, come questa diretta all’amico pittore Federico De Rocco:

"Quanto a salute non c’è male; anzi bene. Quanto a morale, anche, quando tutto è calmo, cioè raramente. Del resto, molta paura. Paura di lasciarci la pelle, capisci, Rico? E non soltanto la mia, ma quella degli altri. Siamo tutti così esposti al destino; poveri uomini nudi."

"Non so se ci rivedremo, tutto puzza di morte, di fine, di fucilazione […] Tutto puzza di spari, tutto fa nausea, se si pensa che su questa terra cacano quei tali. Vorrei sputare sopra la terra, questa cretina, che continua a metter fuori erbucce  verdi  e  fiori  gialli  e  celesti, e gemme sugli alni."

Pasolini viene arruolato a Livorno nel 1943. All’indomani dell’8 settembre disobbedisce all’ordine di consegnare le armi ai tedeschi e fugge. Con un rocambolesco percorso torna a Casarsa.
Nell’ottobre 1944, Pier Paolo e la madre decidono di rifugiarsi a Versuta, piccolissima frazione di Casarsa, luogo meno esposto ai bombardamenti alleati e ai rastrellamenti tedeschi. Qui dà vita a una libera scuola per i ragazzi cui la guerra impediva la frequenza alle lezioni regolari.
Ma l’avvenimento che segna quegli anni è la morte del fratello Guido, che già nel maggio 1944 decide di intraprendere la lotta partigiana. Alla stazione di Casarsa acquista un biglietto per Bologna dove finge di essere diretto, mentre un amico ne acquista un altro per Spilimbergo. Da Spilimbergo Guido raggiunge Pielungo, nelle Alpi Carniche, aggregandosi alla divisione partigiana Osoppo-Friuli. Assume il nome di battaglia di Ermes, il nome di Parini, l’amico di Pier Paolo disperso nella campagna di Russia.
Con l’avvicinarsi della fine della guerra, tra i vari gruppi della resistenza antifascista friulana nascono conflitti intestini per la questione dei confini. I comunisti delle Brigate garibaldine premono per un’annessione del Friuli alla Jugoslavia di Tito, mentre la brigata Osoppo si fa paladina della italianità del Friuli. Guido scrive in proposito a Pier Paolo, perché si impegni, con suoi articoli, a difendere le posizioni della Osoppo.
Nel febbraio del 1945 Guido viene ucciso, insieme al comando della divisione Osoppo. I fatti avvengono nelle malghe di Porzùs, dove un gruppo di garibaldini cattura alcuni partigiani della Osoppo e li passa per le armi. Guido, catturato e portato a Cividale, seppure ferito, riesce a fuggire, ma, ripreso di nuovo, viene massacrato nel Bosco Romagno, nei pressi di Cividale. La famiglia Pasolini saprà della morte e delle circostanze solo a conflitto terminato. Scrive Pasolini:

"Spesso penso al tratto di strada tra Musi e Porzùs percorso da mio fratello in quel giorno tremendo; e la mia immaginazione è fatta radiosa da non so che candore ardente di nevi, da che purezza di cielo. E la persona di Guido è così viva." 

Così Pasolini racconterà su “Vie nuove”, periodico comunista, del 15 luglio 1961, rispondendo a un lettore che chiedeva chiarimenti sulla morte di Guido:

"La cosa si racconta in due parole: mia madre, mio fratello ed io eravamo sfollati da Bologna in Friuli, a Casarsa. Mio fratello continuava i suoi studi a Pordenone: faceva il liceo scientifico, aveva diciannove anni. Egli è subito entrato nella Resistenza. Io, poco più grande di lui, l’avevo convinto all’antifascismo più acceso, con la passione dei catecumeni, perché anch’io, ragazzo, ero soltanto da due anni venuto alla conoscenza che il mondo in cui ero cresciuto senza nessuna prospettiva era un mondo ridicolo e assurdo. Degli amici comunisti di Pordenone (io allora non avevo ancora letto Marx, ed ero liberale, con tendenza al Partito d’Azione) hanno portato con sé Guido ad una lotta attiva. Dopo pochi mesi egli è partito per la montagna, dove si combatteva. Un editto di Graziani, che lo chiamava alle armi, era stata la causa occasionale della sua partenza, la scusa davanti a mia madre. L’ho accompagnato al treno, con la sua valigetta, dov’era nascosta la rivoltella dentro un libro di poesia. Ci siamo abbracciati: era l’ultima volta che lo vedevo.
Sulle montagne, tra il Friuli e la Jugoslavia, Guido combatté a lungo, valorosamente, per alcuni mesi: egli si era arruolato nella divisione “Osoppo”, che operava nella zona della Venezia Giulia insieme alla divisione “Garibaldi”. Furono giorni terribili: mia madre sentiva che Guido non sarebbe tornato più. Cento volte egli avrebbe potuto cadere combattendo contro i fascisti e i tedeschi: perché era un ragazzo di una generosità che non ammetteva nessuna debolezza, nessun compromesso. Invece era destinato a morire in un modo più tragico ancora.
Lei sa che la Venezia Giulia è al confine tra l’Italia e la Jugoslavia: così, in quel periodo, la Jugoslavia tendeva ad annettersi l’intero territorio e non soltanto quello che, in realtà, le spettava. Mio fratello, pur iscritto al Partito d’Azione, pur intimamente socialista (è certo che oggi sarebbe stato al mio fianco), non poteva accettare che un territorio italiano, com’è il Friuli, potesse esser mira del nazionalismo jugoslavo. Si oppose, e lottò. Negli ultimi mesi, nei monti della Venezia Giulia la situazione era disperata, perché ognuno era tra due fuochi. Come lei sa, la Resistenza jugoslava, ancor più che quella italiana, era comunista: sicché Guido venne a trovarsi come nemici gli uomini di Tito, tra i quali c’erano anche degli italiani, naturalmente, le cui idee politiche egli in quel momento sostanzialmente condivideva, ma di cui non poteva condividere la politica immediata, nazionalistica.
Egli morì in un modo che non mi regge il cuore di raccontare: avrebbe potuto anche salvarsi, quel giorno: è morto per correre in aiuto del suo comandante e dei suoi compagni. Credo che non ci sia nessun comunista che possa disapprovare l’operato del partigiano Guido Pasolini. Io sono orgoglioso di lui, ed è il ricordo di lui, della sua generosità, della sua passione, che mi obbliga a seguire la strada che seguo. Che la sua morte sia avvenuta così, in una situazione complessa e apparentemente difficile da giudicare, non mi dà nessuna esitazione. Mi conferma soltanto nella convinzione che nulla è semplice, nulla avviene senza complicazioni e sofferenze: e che quello che conta soprattutto è la lucidità critica che distrugge le parole e le convenzioni, e va a fondo nella cose, dentro la loro segreta e inalienabile verità."

 

Pasolini metterà in versi questa tragedia personale e politica nei Còrus in muàrt di Guido (Cori in morte di Guido), che appariranno nell’agosto 1945 nella rivista “ Stroligut”, mutato nome dei precedenti “Stroligut di cà da l’aga” del 1944:

La libertàt, l’Italia
e qissà diu cual distin disperat
a ti volevin
dopu tant vivut e patit
ta quistu silensiu.
Cuant qe i traditours ta li Baitis
a bagnavin di sanc zenerous la neif,
Sçampa – a ti an dita – no sta tornà’ lassù’
I ti podevis salvati,
ma tu
i no ti às lassat bessòi
i tu cumpains a murì.
Sçampa, torna indavour.
I te podevis salvati
ma tu
i ti sos tornat lassù,
çaminant.
To mari, to pari, to fradi,
lontans
cun dut il to passat e la to vita infinida,
in qel dì a no savevin
qe alc di pì grant di lour
al ti clamava
cu’l to cour innosent. 

La morte di Guido avrà effetti devastanti per la famiglia Pasolini, soprattutto per la madre, distrutta dal dolore. Il rapporto tra Pier Paolo e la madre diviene ancora più stretto, anche a causa del ritorno del padre dalla prigionia in Kenia:

"Egli finì così a Casarsa, in una specie di nuova prigionia: e cominciò la sua agonia lunga una dozzina di anni"

Il 26 novembre del 1945 Pasolini si laurea a Bologna, discutendo la tesi dal titolo Antologia della lirica pascoliana. Introduzione e commenti, e si stabilisce poi definitivamente in Friuli. Qui, nel 1947, trova lavoro come insegnante di italiano e latino nella scuola media di Valvasone, allora in provincia di Udine e oggi in quella di Pordenone.
In questi anni comincia la sua militanza politica. Dopo l’impegno per l’autonomismo friulano, nel 1947 dà la propria adesione al Pci, iniziando anche la collaborazione con vari giornali, come il settimanale del partito “Lotta e lavoro”.
Le circostanze della morte del fratello Guido rappresentano sicuramente una difficoltà da superare per l’adesione al Pci. Pasolini comunque  evita le strumentalizzazioni di quella dolorosa vicenda e anzi deve giustificare la sua militanza politica anche agli occhi della madre e soprattutto del padre, tornato sconfitto e incattivito dalla prigionia. 

L’adesione al Pci rappresenta per il giovane poeta un atto di profondo coraggio: egli intendeva con ciò sacrificare il profondo dolore inferto a sé e alla propria famiglia a un ideale sociale da condividere con quello stesso Partito friulano che aveva ispirato politicamente gli assassini del fratello.
Pasolini diventa segretario della sezione di San Giovanni di Casarsa, ma non viene visto di buon occhio dal partito, e soprattutto dagli intellettuali comunisti friulani. In Pasolini molti comunisti vedono disinteresse per il realismo socialista, un certo cosmopolitismo e un’eccessiva attenzione per la cultura borghese.

Il periodo della militanza comunista resta comunque l’unico in cui Pasolini si sia impegnato attivamente nella lotta politica. Ne restano testimonianza i manifesti murali, ideati da Pasolini come originale forma di propaganda, anche per denunciare le ingiustizie sociali e il costituito potere democristiano.
Nel dopoguerra  Pasolini conosce il pittore Giuseppe Zigaina, cui rimarrà sempre legato da una profonda amicizia.

Il 22 ottobre del 1949 Pasolini viene denunciato dai carabinieri di Casarsa per corruzione di minorenni e atti osceni in luogo pubblico: è l’inizio di una delicata e umiliante trafila giudiziaria che cambierà per sempre la vita di Pasolini. In una lettera inviata il 10 febbraio 1950 a Silvana Mauri da Roma, dove si stabilisce nel gennaio di quell’anno, Pasolini dirà tra l’altro:

"Ormai su di me c’è il segno di Rimbaud o di Campana o anche di Wilde, ch’io lo voglia o no, che gli altri lo accettino o no."

Pasolini viene accusato di essersi appartato il 30 settembre 1949 nella frazione di Ramuscello con due o tre ragazzi. I genitori dei ragazzi non sporgono denuncia ma i Carabinieri venuti a sapere delle voci che girano in paese indagano sul fatto. È un periodo di contrapposizioni molto aspre tra la sinistra e la Dc, siamo in piena guerra fredda e Pasolini, per la sua posizione di intellettuale comunista e anticlericale, rappresenta un bersaglio molto vulnerabile. La denuncia per i fatti di Ramuscello viene ripresa sia dalla destra che dalla sinistra: prima ancora che si svolga il processo, il 26 ottobre 1949, Pasolini viene espulso dal Pci, come riporta  “l’Unità” del 29 ottobre:

ESPULSO DAL PCI IL POETA PASOLINI
La federazione del Pci di Pordenone ha deliberato in data 26 ottobre l’espulsione dal partito del Dott. Pier Paolo Pasolini di Casarsa per indegnità morale. Prendiamo spunto dai fatti che hanno determinato un grave provvedimento disciplinare a carico del poeta Pasolini per denunciare ancora una volta le deleterie influenze di certe correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide, Sartre e di altrettanto decadenti poeti e letterati, che si vogliono atteggiare a progressisti, ma che in realtà raccolgono i più deleteri aspetti della degenerazione borghese.

Pasolini si trova proiettato nel giro di qualche giorno in un baratro apparentemente senza uscita. La risonanza a Casarsa dei fatti di Ramuscello ha una vasta eco. Davanti ai carabinieri Pasolini cerca di giustificare i fatti, intrinsecamente confermando le accuse, come una esperienza eccezionale, una sorta di sbandamento intellettuale. Ciò non fa che peggiorare la sua posizione: è espulso dal Pci, perde il posto di insegnante, si incrina momentaneamente il rapporto con la madre: è la disfatta. Pasolini decide di fuggire da Casarsa, dal suo Friuli mitizzato; insieme alla madre si trasferisce a Roma, per l’inizio di una nuova vita. Scriverà in seguito:

"Fuggii con mia madre e una valigia e un po’ di gioie che risultarono false, / su un treno lento come un merci, / per la pianura friulana coperta da un leggero e duro strato di neve. / Andavamo verso Roma. / Avevamo dunque, abbandonato mio padre / accanto a una stufetta di poveri, / col suo vecchio pastrano militare / e le sue orrende furie di malato di cirrosi e sindromi paranoidee. / Ho vissuto /quella  pagina di romanzo, l’unica della mia vita: / per il resto, che volete, / son vissuto dentro una lirica, come ogni ossesso."

III. Le borgate romane. Esperienze letterarie. Il cinema.
Quel tragico 2 novembre 1975…

I primi anni romani sono difficilissimi per Pasolini, proiettato in una realtà per lui del tutto nuova quale quella delle borgate romane. Sono tempi d’insicurezza, di povertà, di solitudine. Una situazione drammatica che meglio si evince dalle stesse parole di Pasolini:

"Era un periodo tremendo della mia vita. Giunto a Roma dalla lontana campagna friulana; disoccupato per molti anni; ignorato da tutti; divorato dal terrore interno di non essere come la vita voleva; occupato a lavorare accanitamente a studi pesanti e complicati; incapace di scrivere se non ripetendomi in un mondo ch’era cambiato. Non vorrei mai rinascere per non rivivere quei due o tre anni…"

"Nei primi mesi del ’50 ero a Roma, con mia madre: mio padre sarebbe venuto anche lui, quasi due anni dopo, e da Piazza Costaguti saremmo andati a abitare a Ponte Mammolo; già nel ’50 avevo cominciato a scrivere le prime pagine di Ragazzi di vita. Ero disoccupato, ridotto in condizioni di vera disperazione: avrei potuto anche morirne. Poi con l’aiuto del poeta in dialetto abruzzese Vittorio Clemente trovai un posto di insegnante in una scuola privata di Ciampino, a venticinquemila lire al mese."

Scrive Pasolini il 6 marzo 1950 a Silvana Mauri:

"Una cosa che non capisco, e che non rientra nei calcoli, nel conto tra me e chi mi punisce, è il destino di mia madre. Non te ne scriverò a lungo, perché ho già le lacrime agli occhi. Ha trovato lavoro presso una famigliola (marito e moglie con un bambinello di due anni): e con un eroismo e una semplicità che non ti so dire, ha accettato la sua nuova vita. Vado a trovarla ogni giorno e le porto a spasso il bambino, per aiutarla un po’: lei fa di tutto per mostrarsi contenta e leggera: ieri era il giorno del mio compleanno, e tu sapessi come si è comportata…"

 Il padre è malato, e dopo i fatti di Casarsa si sono accentuati i contrasti con il figlio:

"Due anni di lavoro accanito, di pura lotta: e mio padre sempre là, in attesa, solo nella povera cucinetta, coi gomiti sul tavolo e la faccia contro i pugni, immobile, cattivo, dolorante; riempiva lo spazio del piccolo vano con la grandezza che hanno i corpi morti."

Pasolini, piuttosto che chiedere aiuto ai letterati che conosce, per pudore, cerca da solo di trovarsi un lavoro. Studia, tenta la strada del cinema, ottenendo la parte di generico a Cinecittà, fa il correttore di bozze, vende i suoi libri nelle bancarelle rionali.
Sono gli anni in cui Pasolini trasferisce la mitizzazione delle campagne friulane nella cornice disordinata della borgate romane, viste come centro della storia, da cui prende spunto un doloroso processo di crescita. Nasce il mito del sottoproletariato romano.

"Sono due o tre anni che vivo in un mondo dal sapore “diverso”: corpo estraneo  e quindi definito di questo mondo, mi ci adatto, con presa di coscienza molto lenta. Tra ibseniano e pascoliano (per intenderci…) sono qui in una vita tutta muscoli, rovesciata come un guanto, che si spiega sempre come una di queste canzoni che una volta detestavo, assolutamente nuda di sentimentalismi, in organismi umani così sensuali da essere quasi meccanici; dove non si conosce nessuno degli atteggiamenti cristiani, il perdono, la mansuetudine ecc.., e l’egoismo prende forme lecite, virili […] . Nel mondo settentrionale, dove io sono vissuto, c’era sempre o almeno mi pareva, nel rapporto tra individuo e individuo, l’ombra di una pietà che prendeva forme di timidezza, di rispetto, di angoscia, di trasporto affettuoso, ecc.: per vincolarsi in un rapporto di amore bastava un gesto, una parola. Prevalendo l’interesse verso l’intimo, verso la bontà o la cattiveria che è dentro di noi, non era un equilibrio che si cercava tra persona e persona, ma uno slancio reciproco. Qui tra questa gente ben più succube dell’irrazionale, della passione, il rapporto è sempre invece ben definito, si basa su fatti più concreti: dalla forza muscolare alla posizione sociale…"

Pasolini prepara le antologie sulla poesia dialettale e sulla poesia popolare; su “Paragone”, rivista di Anna Banti e Roberto Longhi,  pubblica Il ferrobedò, che, con delle varianti, sarà poi il capitolo iniziale di Ragazzi di vita.
Angioletti lo chiama a far parte della sezione letteraria del giornale radio, accanto a Carlo Emilio Gadda, Leone Piccioni e Giulio Cattaneo. Un po’ alla volta vengono superati i primi difficili anni romani.
Nel 1954 Pasolini abbandona l’insegnamento e si stabilisce a Monteverde Nuovo, un quartiere di Roma. Pubblica il suo primo importante volume di poesie friulane, La meglio gioventù.

Nel 1955 viene presentato da Attilio Bertolucci all’editore Garzanti, per cui pubblica il romanzo Ragazzi di vita, che ha un vasto successo sia di critica che di lettori. Il giudizio della cultura ufficiale del Pci è però in gran parte negativo. Il libro viene definito intriso di “gusto morboso, dello sporco, dell’abietto, dello scomposto, del torbido”. L’ufficio spettacoli e proprietà letteraria della Presidenza del Consiglio (su ispirazione probabile dell’allora ministro degli Interni Fernando Tambroni) promuove un’azione giudiziaria contro Pasolini e Livio Garzanti. Il processo dà luogo all’assoluzione perché “il fatto non costituisce reato”. Il libro, che era stato tolto dalle librerie, viene dissequestrato.

Pasolini diventa uno dei bersagli preferiti dei giornali di cronaca nera; viene accusato di reati al limite del grottesco: favoreggiamento per rissa e furto; rapina a mano armata ai danni di un bar limitrofo a un distributore di benzina a San Felice Circeo.

Nel 1957 Pasolini, insieme a Sergio Citti, collabora al film di Fellini, Le notti di Cabiria, stendendone i dialoghi nella parlata romanesca. Firma sceneggiature insieme a Bolognini, Rosi, Vancini e Lizzani, col quale esordisce come attore nel film Il gobbo del 1960.

Nel 1955 progetta e anima la rivista “Officina” insieme agli amici bolognesi Francesco Leonetti, Roberto Roversi, Angelo Romanò e Gianni Scalia, cui si unirà in seguito anche Franco Fortini.

Nel 1957 pubblica le raccolte di poesie Le ceneri di Gramsci per Garzanti e l’anno successivo, per Longanesi, L’usignolo della Chiesa cattolica.

Nel 1960 Garzanti pubblica la raccolta di saggi Passione e ideologia e nel 1961 il volume di versi La religione del mio tempo.

Nel 1961 Pasolini realizza il suo primo film da regista e soggettista, Accattone. Il film viene vietato ai minori di diciotto anni e suscita non poche polemiche alla XXII Mostra del cinema di Venezia.

Del 1962 è Mamma Roma.

Nel 1963 l’episodio La ricotta,  inserito nel film collettivo  Ro.Go.Pa.G, viene sequestrato e Pasolini è imputato per reato di vilipendio alla religione dello Stato.

Nel ’64 dirige Il Vangelo secondo Matteo; nel ’65 Uccellacci e Uccellini; nel ’67 Edipo re; nel ’68 Teorema; nel ’69 Porcile; nel ’70 MedeaTra il ’70 e il ’74 realizza la cosiddetta Trilogia della vita, composta dai film  DecameronI racconti di Canterbury e Il fiore delle Mille e una notte.

L’ultimo film, Salò o le 120 giornate di Sodoma, è del 1975.
Il cinema lo porta a intraprendere numerosi viaggi all’estero: nel 1961 è, con Elsa Morante e Alberto Moravia, in India; nel 1962 in Sudan e Kenia; nel 1963 in Ghana, Nigeria, Guinea, Israele e Giordania (dove girerà l’ importante documentario Sopralluoghi in Palestina).

Nel 1966, in occasione della presentazione di Uccellacci e uccellini al Festival di Montreal, compie il suo primo viaggio in America. Negli Stati Uniti rimane molto colpito soprattutto da New York. Confesserà a Oriana Fallaci:

"Non mi era mai successo conoscendo un paese. Fuorché in Africa, forse. Ma in Africa vorrei andare e restare per non ammazzarmi. L’Africa è come una droga che prendi per non ammazzarti, un’evasione. New York non è una evasione: è un impegno, una guerra."

Nel 1968 Pasolini è di nuovo in India per girare un documentario. Nel 1970 torna in Africa: in Uganda e Tanzania  realizzerà il documentario Appunti per un’Orestiade africana

Nel 1972, presso Garzanti, pubblica i suoi interventi critici, soprattutto di critica cinematografica, nel volume Empirismo eretico.
Negli anni della contestazione studentesca Pasolini assume una posizione originale rispetto al resto della cultura di sinistra. Seppure accetti e appoggi le motivazioni ideologiche degli studenti, ritiene che questi siano antropologicamente dei borghesi, e in quanto tali destinati a fallire nel loro tentativo rivoluzionario.

Nel 1968 Pasolini ritira dalla competizione del Premio Strega il romanzo Teorema e accetta di partecipare con il film che ne ha tratto alla XXIX Mostra del cinema di Venezia, solo dopo che, come gli è stato garantito, non ci saranno votazioni e premiazioni. Pasolini è tra i maggiori sostenitori dell’Associazione Autori Cinematografici che si batte per ottenere l’autogestione della mostra

Il 4 settembre il film Teorema viene proiettato per la critica in un clima arroventato. Pasolini interviene alla proiezione del film per ribadire che il film è presente alla Mostra solo per volontà del produttore, ma in quanto autore egli prega i critici di abbandonare la sala. Ciò non avviene. Il regista si rifiuta allora di partecipare alla tradizionale conferenza stampa, e invita i giornalisti nel giardino di un albergo per parlare non del film  ma della situazione della Biennale.

Nel 1970 Pasolini acquista quel che resta di un castello medievale a Chia, nei pressi di Viterbo. Lo ristruttura e lì comincia la stesura dell’opera che resterà incompiuta e sarà edita postuma nel 1992, Petrolio.

Nel 1972 Pasolini decide di collaborare con i giovani di Lotta Continua ed insieme ad alcuni di loro, tra cui Bonfanti e Fofi, firma il documentario 12 dicembre, sulla strage di piazza Fontana a Milano.

Nel 1973 comincia la collaborazione al “Corriere della Sera”, con interventi critici sui problemi del paese.

Nel 1975, presso Garzanti, pubblica la raccolta di interventi critici Scritti corsari, e ripropone le poesie in friulano con il titolo La nuova gioventù.

La mattina del 2 novembre 1975, sul litorale romano di Ostia, in un campo incolto in via dell’idroscalo, una donna, Maria Teresa Lollobrigida, scopre il cadavere di un uomo. È Ninetto Davoli a riconoscere il corpo di Pier Paolo Pasolini.

"Quando il suo corpo venne ritrovato, Pasolini giaceva disteso bocconi, un braccio sanguinante scostato e l’altro nascosto dal corpo. I capelli impastati di sangue gli ricadevano sulla fronte, escoriata e lacerata. La faccia deformata dal gonfiore era nera di lividi, di ferite. Livide e rosse di sangue anche le braccia, le mani. Le dita della mano sinistra fratturate e tagliate. La mascella sinistra fratturata. Il naso appiattito deviato verso destra. Le orecchie tagliate a metà, e quella sinistra divelta, strappata via. Ferite sulle spalle, sul torace, sui lombi, con il segni degli pneumatici della sua macchina sotto cui era stato schiacciato. Un’orribile lacerazione tra il collo e la nuca. Dieci costole fratturate, fratturato lo sterno. Il fegato lacerato in due punti. Il cuore scoppiato."

Nella notte i carabinieri fermano un giovane, Giuseppe Pelosi detto “Pino la rana”, alla guida di una Giulietta 2000 che risulterà di proprietà di Pasolini. Il ragazzo, interrogato dai carabinieri, e di fronte all’evidenza dei fatti, confessa l’omicidio. Racconta di aver incontrato Pasolini presso la Stazione Termini e, dopo una cena in un ristorante, di aver raggiunto con Pasolini  il luogo del ritrovamento del cadavere; lì, secondo la versione di Pelosi, Pasolini avrebbe tentato un approccio sessuale e, vistosi respinto, avrebbe reagito violentemente;  questo avrebbe scatenato la reazione del ragazzo. Il processo che segue porta alla luce retroscena inquietanti. Si ipotizza da diverse parti il concorso di altri nell’omicidio. Non vi sarà mai chiarezza su questo punto. Pino Pelosi viene condannato, unico colpevole, per la morte di Pasolini.

Pasolini è sepolto nel piccolo cimitero di Casarsa, nel suo mai dimenticato Friuli. Sulla bara è appoggiata la maglia della “Nazionale Italiana Spettacolo”, la squadra calcistica di cui Pasolini fu uno dei fondatori.

"E’ dunque assolutamente necessario morire, perché, finché siamo vivi, manchiamo di senso, e il linguaggio della nostra vita (con cui ci esprimiamo, e a cui dunque attribuiamo la massima importanza) è intraducibile: un caos di possibilità, una ricerca di relazioni e di significati senza soluzione di continuità. La morte compie un fulmineo montaggio della nostra vita: ossia sceglie i suoi momenti veramente significativi (e non più ormai modificabili da altri possibili momenti contrari o incoerenti), e li mette in successione, facendo del nostro presente, infinito, instabile e incerto, e dunque linguisticamente non descrivibile, un passato chiaro, stabile, certo, e dunque linguisticamente ben descrivibile  (nell’ambito  appunto di una Semiologia generale). Solo  grazie alla morte, la nostra vita ci serve ad esprimerci."

… un aggiornamento
(novembre 2005) 

Pochi giorni dopo la morte, esce La Divina Mimesis, singolare «riscrittura» dell’Inferno dantesco, risalente ai primi anni Sessanta; negli anni seguenti vedono la luce numerosi altri testi, inediti, sparsi o incompiuti. Ricordiamo, per quanto riguarda la narrativa, Amado mio. Atti impuri (1982) e Petrolio (1992); per la poesia, Le poesie (antologia, 1975), Poesie e pagine ritrovate (1980), Poesie dimenticate (1980). Per quanto riguarda la saggistica e gli scritti giornalistici, oltre ai volumi già menzionati, sono usciti postumi, Il sogno del centauro (1983), Lettere agli amici. 1941-1945 (1976), Lettere 1940-1954 (1986), Volgar’eloquio (1987), Lettere 1955-1975 (1988), Il portico della morte (1988), I dialoghi (1992), Antologia della lirica pascoliana (1993), Vita attraverso le lettere (1994), Interviste corsare (1995).

Tra il 1999 e il 2003 l’opera completa di Pasolini è stata edita da Mondadori nei dieci volumi della collana “Meridiani”.

Nel 2005, a trent’anni dal barbaro omicidio, Pino Pelosi si è presentato alla trasmissione televisiva “Ombre sul giallo” di Franca Leosini e, in presenza degli  avvocati di parte civile al processo del 1975-76, Guido Calvi e Nino Marazzita, ha dichiarato che l’autore del delitto Pasolini non era stato lui, ma altre persone di cui tuttavia non conosceva l’identità. Ha aggiunto che li aveva visti per la prima volta quel 2 novembre 1975. Lo avevano minacciato di fare del male alla sua famiglia se avesse parlato. E lui, semplicemente, si era adeguato. Dopo una prima riapertura del fascicolo giudiziario – a seguito di una precisa istanza degli avvocati – i magistrati di Roma hanno concluso che al momento non sembrano esserci elementi per la riapertura delle indagini sul delitto. 

 

fonte: www.centrostudipierpaolopasolinicasarsa.it

 

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