Violenta rivolta nel carcere di Santa Maria Capua Vetere

Nella notte tra venerdì e sabato due detenuti hanno aggredito sei agenti e incendiato la cella, la rivolta è rientrata solo nel primo pomeriggio. Giovedì erano stati notificati gli avvisi di garanzia a 45 agenti di polizia penitenziaria per fatti risalenti alle rivolte di inizio marzo.

Violenta rivolta nel carcere di Santa Maria Capua Vetere
uno degli agenti feriti, foto concessa da Orlando Scocca (segretario regionale FP CGIL Penitenziaria)
Violenta rivolta nel carcere di Santa Maria Capua Vetere

Il carcere di Santa Maria Capua Vetere in questi giorni è tornato al centro delle cronache nazionali. Una violenta rivolta da parte dei detenuti è avvenuta nella notte tra venerdì e sabato, l’aggressione da parte di due detenuti contro sei agenti della polizia penitenziaria e l’incendio della cella è stata la miccia da cui è partita una violenta rivolta rientrata solo nel primo pomeriggio.

Dopo lo scoppio della rivolta è giunto presso il carcere anche il vice capo del DAP Roberto Tartaglia al cui termine si sono registrati otto agenti penitenziari feriti di cui uno trasportato d’urgenza in ospedale. «Nel reparto in questi giorni sono arrivati anche rinforzi da altri penitenziari perché diversi colleghi sono in malattia. Nel reparto in cui è esplosa la rivolta ci sono diversi detenuti già autori di atti violenti, da notizie in nostro possesso è stato chiesto l’allontanamento immediato» ci ha sottolineato Orlando Scocca, segretario regionale della FP CGIL Penitenziaria. Dopo la fine della rivolta il Ministero della Giustizia ha reso noto di aver trasferito 70 detenuti.

«I colleghi si rifiutano di andare a fare servizio» ha dichiarato Vincenzo Palmieri (Osapp) che ha denunciato «stanotte sono stati torturati nostri colleghi, presi a sprangate e feriti con le lamette. I torturati siamo noi e non loro». Chiaro riferimento a quanto avvenuto giovedì quando pubblicamente sono stati notificati avvisi di garanzia a 45 agenti, accusati di tortura, violenza privata e abuso di autorità durante le rivolte di inizio marzo.

«Poliziotti penitenziari in divisa di Santa Maria Capua Vetere, all’ingresso del carcere e mentre si accingevano ad entrare in istituto per iniziare il servizio, sarebbero stati fermati dai carabinieri per controlli e, addirittura, avrebbero sequestrato dei telefoni cellulari. Tutti i poliziotti sono usciti nel piazzale del carcere perché si sarebbero sentiti abbandonati dal comandante che sembra non esserci – la ricostruzione di quanto avvenuto giovedì mattina da parte di Michele Vergale (Sippe) - I poliziotti penitenziari si sentirebbero offesi per le modalità in cui sarebbero stati trattati, considerato che questa azione sarebbe avvenuta in presenza dei familiari dei detenuti. Durante il blocco non erano presenti sul posto nessun funzionario della polizia penitenziaria e neanche il direttore, giunti solo dopo il controllo quando i carabinieri sarebbero andati via; questo – ha aggiunto – avrebbe fatto scatenare la rabbia di tanti colleghi che si sarebbero trovati davanti a questa imbarazzante situazione e si sarebbero sentiti abbandonati» aggiunge il sindacalista.

«Ci sono situazioni che andavano gestite diversamente – la riflessione che ha condiviso con noi Scocca – come ribadito nel nostro comunicato nazionale abbiamo fiducia nella magistratura ma le modalità di consegna degli avvisi di garanzia dovevano avvenire in maniera più consona senza dare spettacolo. Le notifiche degli avvisi di garanzia sono una garanzia per chi li riceve e nessuno dei nostri colleghi è accusato di terrorismo o chissà quale reato grave. I nostri colleghi stanno continuando il servizio. Mercoledì sarò presente con il nostro coordinatore nazionale Stefano Branchi per stabilire i fatti e come intervenire a tutela dei nostri colleghi».

«L’amministrazione ha totalmente lasciato la gestione delle rivolte a chi si trova negli istituti, non si può accettare il fatto che ci siano state rivolte con fatti violenti e ad oggi non sappiamo se ci sono stati provvedimenti nei confronti dei detenuti violenti. Mentre ad agenti di polizia penitenziaria si sono visti ricevere avvisi di garanzia con queste modalità, colleghi che si sono ritrovati di fronte 100/200 detenuti che hanno compiuto atti violenti, hanno realizzato danni per milioni e milioni di euro e si son dovuti difendere e mettere in sicurezza l’istituto. Parte della stampa e dell’opinione pubblica immediatamente in questi casi si scaglia contro gli agenti e rilancia l’idea dei detenuti parte debole che vengono picchiati dalla parte forte che sarebbero gli agenti. Assicuro che non è così: siamo in servizio per salvare le vite, chiunque si trova davanti a 100/200 detenuti violenti che incendiano e devastano gli agenti cercano di difendersi, mettere in sicurezza l’istituto e non soccombere».  

Modalità sconvolgenti secondo Giuseppe Moretti (Uspp) «se l’obiettivo era di mettere alla gogna la Polizia Penitenziaria, noi non ci stiamo» sottolineando che «la vicenda sembra sia nata da dichiarazioni rese da detenuti al garante, parole che sono tutte da dimostrare». «Quanto accaduto nella giornata di giovedì resterà una pietra miliare del fallimento dello Stato sulla politiche sulla sicurezza – riassume i fatti il sindacalista - acclarato che viene perseguitato chi difende la legalità nelle carceri mettendolo alla pubblica gogna con conseguenti festeggiamenti nelle celle e non solo di chi delinque, ma purtroppo, come se non bastasse già questo, anche generando nuove aggressioni violente da parte di detenuti che si sentono impunibili e legittimati a comportamenti di rivalsa nei confronti degli agenti».

La notizia degli avvisi di garanzia è stata festeggiata dai detenuti e dalle loro famiglie non solo all’interno delle celle ma anche con fuochi d’artificio, modalità in uso nei sistemi criminali italiani anche per sfidare lo Stato e marcare la propria presenza sul territorio come ci ha riportato il sociologo Leonardo Palmisano in una recente intervista, e insulti sui social network contro «sbirri e guardie», un mezzo che come abbiamo ripetutamente documentato in questi mesi è utilizzato sempre più per violenti messaggi fino alle minacce di morte.

In una lettera inviata anche al ministro della Giustizia Bonafede e al Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria i segretari regionali Palmieri (Osapp), Gallo (Sinappe), De Benedictis (Uil. P.A.), Strino (PP FNS Cisl), Auricchio (Uspp) e Napoletano (Cnpp) hanno chiesto una «verifica urgente» sulla «procedura di notifica degli atti di polizia giudiziaria» che denunciano «è avvenuta nel mancato rispetto del diritto alla privacy e della riservatezza determinando nocumento all'immagine dell'intero Corpo».

«Si è stati costretti a far rientrare i detenuti nelle celle per reprimere la violenta rivolta – ci ha dichiarato il segretario nazionale del SPP Aldo Di Giacomo in una recente intervista - ma non c’è nessun detenuto con una situazione medica particolare. Queste accuse la dicono lunga sull’attacco nei confronti delle istituzioni carcerarie e penitenziarie. Se si dovesse accertare che anche solo un poliziotto penitenziario ha commesso irregolarità noi saremmo i primi ad affermare che chiunque collabora con organizzazioni criminali (abbiamo avuto i portatori di telefoni e di messaggi) o usa violenza gratuita va assolutamente allontanato e punito con pene tre volte più severe del severo. Sono persone che danneggiano un’istituzione seria e non rispettano i colleghi che ogni giorno lavorano anche con turni massacranti e aumento dei pericoli: da quando è stata istituita la sorveglianza dinamica sono aumentati del 700% eventi critici come le aggressioni nei nostri confronti o di detenuti più deboli».

Posizione diametralmente opposta a quella di Antigone che, dopo le notizie di giovedì, ha reso noto di aver ricevuto «nei mesi scorsi» segnalazioni di «presunte violenze ai danni di detenuti da parte di esponenti della polizia penitenziaria» e di aver presentato il 14 aprile un esposto presso la Procura di Salerno relativa alle rivolte di inizio marzo. Durante le rivolte, scoppiate contemporaneamente in vari carceri italiani e su cui è forte il sospetto (la Procura di Salerno sta indagando per un possibile «papello» e una «trattativa») di un’unica regia criminale, secondo la ricostruzione delle prime ore a Santa Maria Capua Vetere alcuni detenuti hanno aggredito gli operatori della struttura e durante un’irruzione nelle cucine si sono impossessati di olio bollente e vari oggetti pericolosi. Al termine della rivolta a vari detenuti sono stati effettivamente sequestrati spranghe, olio bollente e coltelli artigianale.

Diversa la versione fornita dai familiari di alcuni detenuti secondo cui ci sarebbero state percosse, una «spedizione punitiva» da parte degli agenti dopo alcune «proteste pacifiche» e torture nelle celle. Da questa versione dovrebbe essere partita l’inchiesta che ha portato alla notifica degli avvisi di garanzia giovedì a cui sono seguiti i violenti fatti di queste ultime ore.