Vitale: “Se non siamo uniti vince la mafia”

Parla il protagonista di RadioAut, oggi collaboratore di TeleJato

Vitale: “Se non siamo uniti vince la mafia”

 

di Alessio Di Florio

Il 5 gennaio è il compleanno di Peppino Impastato. Per l’occasione abbiamo intervistato Salvo Vitale che, con Peppino, fu tra i protagonisti delle denunce di Radio Aut, oggi collaboratore di Telejato e curatore del blog ilcompagno.it, i cui interventi sono pubblicati anche su Antimafia2000 e altre testate. In questi decenni tantissimi sono stati i ricordi, le commemorazioni, l’abbondante retorica persino su un personaggio scomodo come Peppino Impastato. Per questo, con Salvo Vitale, abbiamo cercato di andare oltre e di riflettere su quali sono i Cento passi di oggi.

Impastato, quarant’anni dopo la morte, è una figura di cui alcuni hanno ancora “paura”, mentre molti, soprattutto i giovani, ne sono affascinati. Eppure, e tu ne hai spesso scritto in questi anni, lui si sentiva estraneo, addirittura straniero, alla società borghese, moralista e ipocrita che lo circondava. Cosa è rimasto oggi di quella società e quale senso avrebbe oggi portare avanti una lotta sociale e politica contro questa società?

«La risposta è complessa, le condizioni sociali per molti aspetti non sono cambiate. I fascisti c’erano e ci sono ancora, le classi sociali dominanti e i mascalzoni anche. E le minchiate sulla non esistenza delle differenze politiche restano prive di analisi storica. Esiste ancora una possibilità di lotta di classe e di scontro tra classi, per modificare i rapporti di classe che dopo le due guerre mondiali hanno caratterizzato la nostra storia? In molte parti del mondo, come in Francia, c’è molto fermento sociale. In Italia, nonostante le disuguaglianze sono molto più accentuate, non c’è. Abbiamo una massa di persone affascinate da falsi profeti di cui diventano tifosi anche se sono i loro avversari sociali. Mi inquieta la crescita di personaggi come Salvini in un sud che non dovrebbe avere nulla da spartirci. Abbiamo poi realtà come i 5Stelle, che con un avventurismo improduttivo fanno da barriera al conflitto sociale, sopito da un sapiente uso dei mass media. Le prospettive dei tempi di Peppino ci sono ancora. Ma c’è molta accettazione dell’esistente, anche se ci sono disoccupazione e povertà».

Dopo gli anni Settanta, molto politicizzati, abbiamo avuto gli Anni Ottanta della “Milano da bere” e dell’avvento della televisione. Anni in cui un addomesticamento delle coscienze è avanzato, nonostante esperienze politiche come quella di Pio La Torre. E un certo moralismo ipocrita sociale ha trasformato in nemici e pericoli chi non rispetta certi canoni. Invece politici corrotti, mafiosi e imprenditori che avvelenano i territori, costruiscono con materiali scadenti e il malaffare che ben conosciamo e che sono realmente pericolosi non vengono considerati tali. Può essere una lettura corretta? Alla luce dell’esperienza di Radio Aut cosa potremmo dire noi?

«La lettura coincide perfettamente con la mia. In un momento storico in cui alcuni settori sociali si sfaldano e non riescono a coagularsi e i padroni del vapore hanno la situazione sotto controllo. Oggi c’è una situazione ben precisa: c’è una massa di persone che cercano la famosa “America” e determinate chiusure a riccio. E quindi alcuni riescono a governare il capitalismo. Trump non vuol far altro che mettere le mani sul petrolio. Nella questione libica, alle nostre porte, Erdogan o Putin non hanno mire molto diverse. È rimasto qualcosa di quello che diceva Peppino. La battaglia contro il neofascismo dovrebbe essere come negli anni Settanta e dare risposte nette e organizzate. Dobbiamo impegnarci a invertire il senso della storia, il travaso della ricchezza nelle mani di pochi ricchi. Obiettivamente sarebbe un discorso semplicissimo da portare avanti».

In tutto questo, come si dovrebbe portare avanti la lotta contro quella che, già in quegli anni, fu definita borghesia mafiosa? Come potremmo oggi proseguire quella denuncia, anche di rottura dei canoni borghesi ipocriti, che è stata di Radio Aut e di Peppino Impastato?

«Devo essere chiaro e spietato in questo. La realtà ci ha dimostrato che la concezione del mafioso “coppola e lupara” è superata, il mafioso si è inserito in ogni piega della società. Con il controllo sociale e falsi miti che permettono alla borghesia mafiosa di essere in sella. Sotto certi aspetti uno come Trump sarebbe da considerarsi mafioso, ha tutte le caratteristiche del mafioso. E il discorso si può spostare ad altri. I metodi di Radio Aut sono rimasti gli stessi. Ci sono pochi casi di controinformazione, però, e per il resto un mare di banalità della grande informazione, che ci impone le notizie del giorno e cosa dire. E le persone acquisiscono un certo modo di pensare. La partita si porta avanti nel fare controinformazione. Altrimenti resteremo sempre sconfitti».   

Proseguendo nella strada tracciata da Radio Aut, oggi quali sono i corrotti e mafiosi da definire tali?

«Sono convinto che Cosa Nostra e la ‘ndrangheta stanno cambiando identità. Ci sono nuove frontiere come i rifiuti. Quando si vuole mettere in crisi un’amministrazione comunale basta partire da qui. E i mafiosi sono sicuramente molto attrezzati. Ma si lascia fare tutto ai privati. La privatizzazione di tutto andrebbe rivista alla luce del compito di uno Stato sociale, dare a tutti la stessa possibilità. La privatizzazione consente di sopravvivere solo ai ricchi. Dalle nostre parti abbiamo la diga sullo Jato, frutto del lavoro di Danilo Dolci, che doveva servire a favorire l’agricoltura. Ma non è più così. Negli anni Settanta presero piede personaggi legati ad amici e parenti di Badalamenti. A pieno regime dovrebbe contenere fino a 27 milioni di metri cubi di acqua e quindi fornire abbondantemente gli agricoltori. È accaduto in passato, alcuni contadini hanno messo su intere colture grazie alla diga. Col tempo sono avanzati degrado e abbandono, la politica (soprattutto la DC e parte della sinistra) ci ha messo le mani ed è diventata monopolio di pochi “furbetti”. Alcune tubature sono ancora in amianto, molte hanno perdite notevoli. Oggi è gestito dal consorzio “Palermo2”, solo in maniera politica e per gli amici». 

Abbiamo già fatto riferimento ai rifiuti e a come squallide consorterie mafiose, prosperano. Molto spesso si pensa alla Campania, ma il grande mercato è al Nord. In Sicilia cosa accade? Quali interessi ci gravitano?

«Ci sono ditte al “profumo” di mafia, in questo territorio di recente ad una società, la Mirto, è stato revocato il certificato antimafia. Una società, legata al clan di Giovanni Brusca, che ha diversi divieti di incarico da parte dei Comuni. E col curriculum molto tormentato, non è la prima volta che gli viene revocato il certificato antimafia. A Partinico, invece, per esempio il servizio è molto approssimativo, nonostante gravi per molti milioni sulle casse comunali. Il problema poi arriva a monte, ovvero dove vengono conferiti. La discarica pubblica più grande della Sicilia, a Palermo, attualmente è chiusa per lavori. E i rifiuti finiscono tutti in discariche private. Una delle più attrezzate si trova verso Sciacca, gestita dai due fratelli Catanzaro. Uno dei quali era vicino ad Antonello Montante. Hanno avuto la capacità di impadronirsene, togliendola al Comune. I sindaci in situazione di emergenza possono scegliere direttamente le discariche, con una sorta di mano libera. E il naturale sviluppo è che tutto diventa lecito». 

Negli ultimi anni sul fronte antimafia si sono identificati alcuni magistrati coraggiosi. Unici, insieme a pochi cronisti quasi sempre isolati e minacciati costantemente, ad essere considerati in prima linea. Una Radio Aut di oggi dovrebbe urlare “Io sto con Gratteri” o “Io sto con Di Matteo”?

«La prima cosa da sottolineare è che avere pochi magistrati in prima linea - mentre la gran parte è in seconda, terza, quarta o non è proprio in linea – fa capire come procede la magistratura. Non è possibile che un compito che dovrebbe essere di tutti viene scaricato solo su alcuni. Pensa poi all’Ufficio Prevenzione di Palermo di Silvana Saguto. E della sua distribuzione di incarichi, che a Telejato abbiamo denunciato per primi. Pagandone le conseguenze. La magistratura è uno di quei tasselli organici a un sistema di potere. Il fatto che ogni tanto nascano due o tre magistrati che svelano le trame mafiose non ci autorizza a pensare che tutti lo fanno. Molti non lo fanno per paura, interessi o perché non sa fare il suo dovere. Non credo al concetto che la magistratura possa risolvere i problemi dell’Italia. Mi pare chiaro e spontaneo dire “Io sto con Gratteri” o “Io sto con Di Matteo”. C’è una parte della magistratura che con competenza e onestà svolge il proprio dovere, non possiamo che stare al loro fianco. Vanno appoggiati senza dubbi. E dobbiamo stare attenti a quello che ci vogliono far credere, alle macchine del fango delle consorterie delinquenziali e mafiose contro questi magistrati. La cui crudezza è stata già conosciuta da Falcone. Se non ci si coagula vince la mafia».