«Vittime di giochi di potere»
SECONDA PARTE. Presa di posizione dell’Associazione Antimafie Rita Atria dopo la liberazione dei 18 pescatori di Mazara del Vallo, vittime della geopolitica, della guerra tra bande in Libia e degli interessi delle «potenze» contrapposte. E degli stessi meschini e vigliacchi interessi politici che ventiquattro anni cercarono di rendere invisibili le vittime della «strage di Natale».
I giorni precedenti al Natale hanno portato, al termine di quest’anno terribile e drammatico, la notizia della liberazione dei 18 pescatori di Mazara del Vallo.
Rapiti oltre 100 giorni prima dalle milizie di Haftar ovvero uno degli attori istituzionali (o presunti tali) della Libia post Gheddafi, presidente del governo auto proclamato che si contrappone al governo di Al Serraj. In queste settimane diversi tra associazioni, movimenti e sindacati – attivissima l’Unione Sindacale di Base – si sono mobilitati per chiedere la fine della detenzione in Libia dei pescatori e nel denunciare quel che stava accadendo sulla loro pelle.
L’Associazione Antimafie Rita Atria, in un articolato documento pubblicato dopo la liberazione, denuncia che «i pescatori sono stati vittime di giochi di potere, tra potenze. Una tela di scontri e incontri tra i governi e Stati in primis l’Egitto e la Turchia».
Giochi di potere nei quali si intrecciano, sulla pelle di milioni di persone, gli interessi delle multinazionali dell’energia, militari e dei produttori di armi che non hanno mai conosciuto crisi negli ultimi lustri, di mafie, governi e meschini interessi politici di bottega. Lì dove non arrivano i potentati economici e politici arriva la propaganda interessata, le botteghe in campagna elettorale permanente. Le «politiche» internazionali, il rapporto con il continente africano e le frontiere sono terreno privilegiato di tutto questo.
Nei giorni scorsi abbiamo ricordato la «strage di Natale» del 1996 e i silenzi interessati dell’epoca, spezzati solo dalle denunce di Dino Frisullo e pochi altri coraggiosi. Nella nota dell’Associazione Antimafie Rita Atria si ricorda cosa accadde in Italia in quegli anni, evidenziando il filo rosso delle stesse meschine dinamiche in azione in queste settimane sulla pelle dei pescatori di Mazara del Vallo. «Impossibile credere che la liberazione dei nostri pescatori sia avvenuta con una stretta di mano gratuita» afferma senza giri di parole l’associazione.
«Il governo di centro-sinistra dell’epoca non fece nulla, negando perfino l’accaduto, perché non si voleva turbare l’ingresso dell’Italia nella fortezza Europa», scrisse Alessia Montuori dell’Associazione Senzaconfine (di cui Dino per tantissimi anni, fino all’ultimo giorno della sua esistenza terrena, fu l’anima) a Carlo Lucarelli, che nel 2007 dedicò una puntata di Blunotte al naufragio, “la legge Bossi-Fini aggravò la situazione normativa degli immigrati e dei richiedenti asilo, ma non inventò nulla che non esistesse già: i Centri di permanenza temporanea teatro di varie tragedie, (tra cui il rogo del Serraino Vulpitta di Trapani del 28 dicembre ’99, dove persero la vita bruciate in tutto 6 persone detenute), i blocchi navali (ricordiamo il naufragio del venerdì santo in Adriatico, a causa di una manovra di harassment della marina militare italiana, nel quale morirono un’ottantina di albanesi, era il ’97, pochi mesi dopo la tragedia di Natale), le innumerevoli difficoltà burocratiche per l’immigrazione regolare, che costringevano le persone ad arrivare clandestinamente affidandosi ai trafficanti e rischiando la vita».
Quella strage, denunciò Dino Frisullo, fu «rimossa dalla memoria collettiva perché «conoscere le circostanze, i responsabili, ancora in piena attività, metterebbe in crisi non solo le politiche dell’immigrazione o dell’antimafia, ma l’idea che abbiamo di noi stessi e della nostra civiltà». Nel 2001 la coraggiosa denuncia di un pescatore di Portopalo permise anche il relitto della nave naufragata e, almeno per qualche tempo, i naufraghi di quella notte divennero meno invisibili. Con alcuni anni di colpevole ritardo decisivi: nel 1997 «con i trafficanti messi in mora e denunciati dalle vittime, con un'opinione pubblica non ancora resa xenofoba, con un governo ai primi passi, quei poveri corpi riemergendo avrebbero potuto motivare una scelta coraggiosa: una nuova politica dell'immigrazione e dell'asilo, che sostituisse legalità e certezza del diritto all'illegalità, alla soggezione, alla morte» scrisse nel 2001 su Il Manifesto Dino Frisullo. Ma «non fu così» e «l’inchiesta proseguì stancamente, senza risalire la catena assassina oltre gli ultimi esecutori, senza discendere nel mare di Sicilia».
2.continua
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