Le curve nere vogliono marciare su Roma

Dopo chi sogna una nuova marcia su Roma il 6 giugno in piazza ultra neonazisti, si proclamano ragazzi d’Italia ma le file sono guidate dai soliti gruppi neofascisti che da anni stanno prendendo piede nelle curve del calcio. Tra reti neonaziste internazionali, solite sigle nere e intrecci con il narcotraffico e le organizzazioni criminali

Le curve nere vogliono marciare su Roma
fonte: rsi.ch

«Carica eversiva», così Leonardo Palmisano nell’intervista pubblicata un mese fa sintetizzava la minaccia violenta e destabilizzante che corre anche in Italia contro la democrazia, una carica di cui «un esempio sono le curve del calcio egemonizzate dalle mafie tra cui soprattutto la ‘ndrangheta che è la più eversiva».

In questi mesi di emergenza sanitaria, sociale ed economica l’eversione nera – l’abbiamo raccontato nei giorni scorsi – si è organizzata, è uscita allo scoperto e cerca di occupare le piazze. Il 30 maggio e il 2 giugno in piazza c’erano anche gruppi che sognano una nuova «marcia su Roma» accanto al «generale aperol», come l’ha definito «Famiglia Cristiana» sintetizzando l’attenzione mediatica catalizzata dalle giacche sgargianti e l’aspetto folkloristico di chi in realtà ha avuto ruoli istituzionali importanti e sogna da quasi vent’anni un golpe militare oltre ad aver insultato Mario Ciancarella (l’ufficio radiato con firma falsa di Pertini per aver cercato la verità sulla strage di Ustica) contribuendo alla cappa di depistaggi e omertà su una delle pagine più buie della storia repubblicana.

Scandagliando i gruppi facebook «Marcia su Roma» tra invocazioni al nuovo Benito, minacce violente, suggestioni para militari e tanto altro nei giorni scorsi abbiamo trovato svariati riferimenti ad alleanze cl mondo ultras, proposte di contattarli e fare fronte unico. Dietro tutto questo un riferimento ben preciso: sabato 6 giugno quando in piazza scenderanno gruppi ultras soprattutto del nord Italia. Squadristi organizzati appartenenti ad una galassia ben definita: i neonazisti che da anni sono presenti in molte curve e, senza disdegnare narcotraffico, prepotenza violenta e frequentazioni mafiose se ne stanno impossessando.

I nomi sono fin troppo noti anche nell’Italia dell’indifferenza, del «va tutto bene madama la marchesa» e delle complicità con il marcio più marcio: Juventus, Inter, Milan, Lazio, Roma, Verona, Varese, Brescia e Atalanta, in Abruzzo Chieti tra le tante. Il 6 giugno chiamano in piazza saldate in un’unica alleanza, «per certi aspetti un fatto inedito con la discesa in politica di gruppi cresciuti negli stadi» dietro cui si nasconde «il tentativo di alcune formazioni neofasciste di inserirsi nel disagio sociale con altre maschere» scrive Saverio Ferrari dell’Osservatorio Democratico sulle nuove destre. Si presentano come «i ragazzi d’Italia», proclamano di manifestare «in nome del popolo» ma a muovere le fila sono sempre gli stessi arnesi neofascisti: tutto è partito dalla brigata bresciana in collegamento con il fronte neonazista veronese, su blog e social rilanciati e pompati da esponenti di Forza Nuova.

È sempre lo stesso collaudato copione: soffiano sul fuoco della disperazione sociale ed economica, si presentano totalmente apolitici senza appartenenze partitiche e poi spuntano svastiche, croci celtiche, saluti romani, slogan contro ebrei (perché nel 2020 siamo ancora al livello dei «Protocolli dei Savi di Sion» e della più squallida propaganda nazista delirante contro complotti giudaici e dei perfidi banchieri giudei), migranti, impoveriti tra i più poveri e le immancabili «zecche». Si sono dissociate dalla manifestazione la curva nord di Brescia, Cesena, nord Bergamo e Foggia.

Nel dicembre 2018 negli scontri tra ultras di Napoli e Inter perse la vita un capo ultrà nerazzurro, nella coreografia commemorativa  è spuntato il logo di Blood&Honour, sangue e onore ovvero il motto della gioventù hitleriana, rete internazionale di skinhead neonazisti. La piazza più importante in Italia è Varese, curva nera gemellata con gli omologhi nerazzurri, i cui capi tra simboli neofascisti allo stadio e violenze sono attivi nello spaccio di fiumi di hashish e cocaina inseriti nei circuiti europei e nord africani del narcotraffico.

Diversi sono i casi di capi ultrà neofascisti indagati o arrestati per il sostegno e la collaborazione con gruppi neonazisti (anche ultras) ucraini, un modello che probabilmente sognano di replicare in Italia. La cronaca delle ultime ore riporta sotto i riflettori una delle curve che più descrive quanto da tanti anni sta accadendo, quella del Genoa: quindici ultras indagati per associazione a delinquere, estorsioni, violenza privata e intestazioni fittizie. Nell’indagine è coinvolto un capo ultrà già coinvolto nell’indagine sul calcio scommesse di Cremona e nella protesta prepotente del 2012 quando gli ultras costrinsero i calciatori della squadra a togliersi le maglie, un altro indagato è legato ad ambienti ‘ndranghetisti e anni fa – scelta su cui la stessa commissione antimafia espresse «perplessità» - gli era stato affidato un servizio per gli ingressi in tribuna Vip allo stadio Marassi. Tre anni fa il procuratore capo di Genova Cozzi in un’audizione della commissione parlamentare antimafia aveva fatto riferimento ad una «nutrita presenza di pregiudicati ed esponenti della malavita nel tifo organizzato del Genoa» e di «comportamenti che si avvicinano molto a quelle delle organizzazioni di tipo mafioso». Nell’occasione il magistrato aveva ricordato il sequestro di armi e droga ad un tifoso che li nascondeva in un garage e sostenuto che una parte della tifoseria tentava di ricattare l’allenatore Gasperini. La curva genoana storicamente è di tutt’altro orientamento politico ma l’avanzata di skinhead sta modificando il suo assetto ideologico e, dietro l’estrema destra, compare sempre più la criminalità organizzata: la relazione finale su «mafia e calcio» approvata dalla commissione parlamentare antimafia il 14 dicembre 2017 focalizzò l’attenzione sull’acquisizione «da parte dei gruppi ultras delle metodiche della criminalità organizzata». Riferendosi ai fatti del 2012 la commissione ha sottolineato l’intervento dell’allora calciatore genoano Sculli (la commissione sottolinea che «è il nipote di Giuseppe Morabito, classe ‘34, detto «il Tiradritto», indiscusso capo della omonima cosca di Africo nel mandamento jonico della provincia di Reggio Calabria arrestato il 18 febbraio 2004 dopo dodici anni di latitanza») e che alcuni animatori della contestazione sono stati ripetutamente segnalati per reati tra cui «tentata estorsione, rissa, porto d'armi e di possesso e detenzione di stupefacenti» e appartengono a «gruppi di tifoseria organizzata, che, per l'atteggiamento piuttosto deciso che hanno sempre avuto, sono in posizione dominante e tendono a controllare anche gli altri gruppi ordinari o comunque di tifoseria organizzata e non organizzata».

 

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