OMICIDIO AGOSTINO: CI AVVICINIAMO AL PROCESSO

DEPISTAGGIO. Il 10 settembre, davanti al gup Alfredo Montalto, si terrà l'udienza preliminare del processo che proverà a fare chiarezza sull'omicidio del poliziotto Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio. Dopo 31 anni di attesa, si apre finalmente uno spiraglio.

OMICIDIO AGOSTINO: CI AVVICINIAMO AL PROCESSO
Vincenzo Agostino e Augusta Schiera, i genitori di Nino Agostino

Il 5 agosto 1989, a Villagrazia di Carini, un padre dovette assistere all'omicidio brutale di suo figlio. Era un giorno di festa perché la figlia minore compiva diciotto anni. Due sicari a bordo di una motocicletta, senza casco, si avvicinarono alla vittima e spararono una raffica di colpi. Sua moglie, che era lì accanto e portava in grembo suo figlio, si girò verso gli assassini e gridò "So chi siete e vi conosco!". Così la motocicletta fece inversione, tornò indietro e freddò anche la donna, che morì qualche ora dopo in ospedale.

Il padre si chiama Vincenzo Agostino e da quel giorno non ha più avuto pace. Gli hanno ammazzato il figlio sotto gli occhi. E insieme a lui, la nuora e un nipote che non ha mai visto la luce. Ma non è solo questo. Perché attorno al duplice omicidio Agostino si sono addensate per anni nubi grosse e impenetrabili, che hanno impedito alla verità di venire a galla.

Perché un semplice poliziotto del Commissariato di San Lorenzo è stato trucidato in quel modo? Come facevano, i suoi assassini, a sapere che proprio quel giorno avrebbe chiesto un cambio di turno ai suoi colleghi?

Ma le domande non si fermano qui, tutt'altro. Per decenni, la mole di interrogativi si è ispessita senza trovare risposte. Ma andiamo con ordine.

I depistaggi delle indagini

Dopo l'assassinio, fu consegnato al padre Vincenzo il portafoglio del figlio Nino, dal quale venne fuori un biglietto che conteneva indicazioni precise: "se mi succede qualcosa, andate a guardare nell'armadio della mia camera". Che c'era in quell'armadio? 

Gli investigatori effettuarono delle perquisizioni in casa Agostino. L'ispettore Guido Paolilli, superiore della vittima e in buoni rapporti con la famiglia, parlò di tre perquisizioni totali, delle quali solo l'ultima - quella da lui personalmente condotta - portò alla luce "sei fogli di carta" in cui Agostino manifestava di temere per la sua vita. Paolilli e Arnaldo La Barbera, che si occupò delle indagini, parlarono alla famiglia di una questione di cuore, tirando il ballo il nome di una vechia fidanzata della vittima, alimentando così la pista passionale.

Dei verbali delle perquisizioni, due sono rimasti agli atti. Di uno - guarda caso il terzo - non c'è traccia. Anni dopo, nel 2008, l'ispettore Paolilli fu intercettato mentre parlava al figlio di "una freca di carte" trovata nell'armadio di Agostino che aveva distrutto. Che c'era di così importante in quelle carte? Perché Nino Agostino temeva per la sua vita? Come mai Arnaldo La Barbera - lo stesso che ebbe un ruolo di primo piano nell'indottrinamento del falso pentito Scarantino e nel depistaggio su via D'Amelio - accreditò la pista passionale, sviando di fatto le prime indagini?

I genitori della vittima hanno riferito di alcuni episodi piuttosto inquietanti, che sembrano tratti dalla sceneggiatura di un thriller. La mamma Augusta - recentemente scomparsa - ricordò come, poco prima di partire per il viaggio di nozze, il figlio si lamentò per delle "presenze" che lo avevano seguito fino in aeroporto. In quelle presenze, la signora Augusta riconobbe il mafioso Gaetano Scotto.

Vincenzo Agostino ricorda invece un episodio ancora più agghiacciante: mentre Nino e Ida erano in viaggio di nozze, due uomini bussarono a casa sua chiedendo informazioni sul figlio. Uno aveva il volto sfigurato, una "faccia da mostro".

Ed ecco che, come in un cerchio che si piega sempre su se stesso, compare faccia da mostro, Giovanni Aiello, il "killer di Stato". La presenza misteriosa in tanti fatti oscuri di Stato-mafia, che secondo molti collaboratori di giustizia ebbe un ruolo nella morte del piccolo Claudio Domino, nel fallito attentato all'Addaura, nella strage di via D'Amelio, nell'omicidio Cassarà-Antiochia, nelle stragi del '92-'94.

Nel 2016, Giovanni Aiello fu riconosciuto da Vincenzo Agostino come l'uomo che bussò a casa sua nell'estate dell'89 chiedendo di Nino. L'anno dopo morì per un arresto cardiaco, portandosi nella bara una mole inquantificabile di segreti indicibili.

Il fallito attentato all'Addaura

Il 21 giugno del 1989, nei pressi della villa di Giovanni Falcone, fu rinvenuta una borsa contenente cinquantotto candelotti di esplosivo che dovevano servire ad uccidere il giudice Falcone mentre era insieme a suoi colleghi svizzeri Carla Del Ponte e Claudio Lehman. Un'altra pagina avvolta dal mistero, intorno alla quale continuano ad aleggiare quelle "menti raffinatissime" che, a distanza di trent'anni, non hanno ancora volti e nomi precisi.

Dalle testimonianze di alcuni bagnanti presenti il 20 giugno all'Addaura, emerse la presenza di due sub sul luogo del fallito attentato, presumibilmente Emanuele Piazza e Antonino Agostino, che erano solo ufficialmente dei poliziotti, ma che in realtà lavoravano ad un reparto dei servizi deputato alla cattura dei latitanti.

Il primo a collegare l'omicio Agostino al fallito attentato all'Addaura fu Luigi Ilardo, il collaboratore di giustizia che stava aiutando il colonello Michele Riccio a catturare Provenzano. E ancora una volta, tornano gli stessi nomi. Come se tutto fosse collegato, come se tutto fosse parte di un'unica, terribile macchinazione.

Ma non c'è solo l'attentato all'Addaura ad infarcire di misteri e trame nascoste questa vicenda. Secondo quanto scoperto dalla Procura di Palermo, Nino Agostino nell'89 stava collaborando a stretto contatto con Giovanni Falcone - presente infatti ai funerali del poliziotto. Agostino si stava occupando della scorta dell'ex estremista della destra eversiva Alberto Volo, interrogato da Falcone sulla pista nera nell'omicidio di Piersanti Mattarella.

Inoltre, lo stesso Agostino fu mandato in missione segreta a Trapani, in abiti civili e con una 24h, dove il SISMI aveva aperto una sede dell'organizzazione Gladio - Stay behind. Quella stessa sigla che emerge in tante delle indagini relative alle stragi del '92-'94. 

Il processo

Dopo 31 anni di attesa - la cui lunga durata è testimoniata dalla barba lunga di Vincenzo Agostino che, dal giorno dell'omicidio, non l'ha più tagliata finchè non avesse avuto giustizia per suo figlio - arriva finalmente una svolta: il processo. 

Il prossimo 10 settembre, davanti al gup Alfredo Montalto - lo stesso del processo sulla Trattativa Stato-mafia -, si celebrerà l'udienza prelimiare. Rinviati a giudizio i boss Gaetano Scotto, considerato l'anello di congiunzione tra la mafia e i servizi, e Antonino Madonia, appartenente a quella famiglia mafiosa che, anche secondo Riina, era in contatto con gli apparati dei servizi. Tra gli imputati anche Francesco Paolo Rizzuto, accusato di favoreggiamento aggravato. Non ci sarà invece Giovanni Aiello, deceduto nel 2017.

Secondo la Dia, Nino Agostino aveva capito che il gruppo di cui faceva parte, quello che serviva a catturare i latitanti, in realtà operava per lo scopo opposto: insabbiare. Probabile che la decisione di allontanarsene e prenderne le distanze abbia influito sulla sua condanna a morte.

Ci sono ancora molti, troppi aspetti da chiarire in quest'altra pagina oscura della storia d'Italia. Pezzi che si incastrano con altre vicende, apparentemente slegate, ma in realtà legate tutte ad un unico filo conduttore. C'è ancora tanta strada da percorrere, ma la famiglia Agostino non è mai stata tanto vicina alla verità. E quando il 10 settembre papà Vincenzo si presenterà in aula, dall'altra parte sua moglie Augusta, suo figlio Nino, sua nuora Ida e il nipotino mai nato, saranno lì con lui ad attendere giustizia. Finalmente quella vera. 

 

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