Crollo Ponte Morandi di Genova, parla il testimone Ciliberto: «Le 43 vittime si potevano salvare»

L'INTERVISTA. Dopo cinque anni dalla strage (14 agosto 2018, 43 vittime) abbiamo raccolto il punto di vista di un testimone di giustizia che ha denunciato la presenza e gli affari della criminalità organizzata nelle opere pubbliche. In Italia ci sono altre opere pubbliche a rischio crollo? «Non ho mai voluto parlare di incidente. Quella è una strage annunciata, con dei responsabili che hanno nomi e cognomi, che troviamo non solo nel procedimento di Roma, ma lo troviamo anche nel processo di Avellino per il cedimento dei new jersey e anche per i crolli dei vari portali che solo per casualità non hanno causato vittime. Altre vittime. Voglio ricordare le parole di un investigatore della direzione investigativa antimafia, che durante le tante ore delle mie deposizioni, mi disse: “Ciliberto, in Italia se non succedono i morti non si muove nulla”».

Crollo Ponte Morandi di Genova, parla il testimone Ciliberto: «Le 43 vittime si potevano salvare»

«Siamo la Nazione del giorno dopo e della commemorazione. Ogni qualvolta succede un evento che non classifico come incidente, ma diamoci nome e cognome, chiamiamola strage. Gli imputati, la gran parte, sperano e quasi sempre ci riescono affinché il processo vada in prescrizione. Nel caso specifico abbiamo già il clone, il doppione di questo processo che per anni pendeva a Roma, dove tra rinvii, errori di notifiche, scioperi e legittimi impedimenti degli avvocati degli imputati quel procedimento è andato in prescrizione». Così inizia la nostra conversazione con Gennaro Ciliberto, il testimone di giustizia che ha fatto emergere il legame tra la camorra e i lavori pubblici, tra il potere politico ed istituzionale con gli affari sporchi di questo Paese. L’ex carabiniere ausiliario ha denunciato il malaffare, le opere pubbliche a rischio crollo. E non ha mai fatto un passo indietro. Ha continuato a denunciare, soprattutto nel suo territorio (Somma Vesuviana). Dopo cinque anni dalla strage del Ponte Morandi di Genova (43 vittime) lo abbiamo contattato per registrare il suo punto di vista.

Ripartiamo dal processo romano che si è aperto grazie alle denunce e alla testimonianza proprio di Gennaro Ciliberto. «Ma la cosa grave è che negli atti di quel processo, poi presi dagli investigatori del crollo del Morandi, già era delineato il modus operandi di come Aspi e la società Spea non eseguissero controlli sulla realizzazione di strutture sia nuove ma anche già esistenti».

 

Perché capita questo?

«Perché un giro di corruzione, un giro di favori, permetteva ad aziende non qualificate, anche in quel caso appartenenti a un sodalizio criminale denominato clan D'Alessandro, permettevano di omettere le verifiche in modo tale da realizzare opere che non avevano nessun requisito di sicurezza e di realizzazione a regola d'arte. Ma la cosa ancora più grave è che in varie occasioni chi avrebbe dovuto vigilare, anche sulle verifiche, non l’ha mai fatto. Tanto che solo dopo le denunce dettagliate la magistratura su alcune opere, dopo aver verificato e attestato che fossero pericolose, ha imposto ad Aspi di intervenire sul ripristino di molte opere. Tra cui la più importante, che in caso di crollo sarebbe stata l'ennesima strage di innocenti, ovvero il cavalcavia di Ferentino che sovrasta la autostrada A1. In uno dei punti più trafficati della tratta autostradale. Le parole del Presidente della Repubblica non sono altro che parole di circostanza, che non troveranno mai ragione nella vera giustizia, perché molti degli imputati di Genova, non solo hanno riscosso laute buonuscite, premi o tutto quello che avrebbero dovuto ricevere se avessero raggiunto degli obiettivi aziendali. Ma in alcuni casi qualcuno che durante i processi ha avuto poca memoria ha fatto anche carriera. È inutile negare che il sistema corruzione-collusione-potere-politica-criminalità, più volte, si è unito affinché le verità giudiziarie non venissero mai scritte e pronunciate nelle aule dei Tribunali».

 

Nel quinto anniversario della strage si sono registrate le parole del ministro Salvini, che ha parlato di “avidità”, della presidente del Consiglio (“emerga la verità” e del Guardasigilli Nordio (“l'Italia attende risposte”). Affermazioni di circostanza?

«Resto nauseato, perché la politica ha fallito. Non dobbiamo dimenticare che subito dopo il crollo del Morandi la politica annunciava prese di posizioni, revoche, commissioni. Addirittura è stata istituita un'Agenzia nazionale, la quale ad oggi non solo non ha dipendenti ma è depotenziata nella sua azione di controllo. È da registrare, ed è un dato importante, che l'indirizzo politico del MIT, del Ministero delle Infrastrutture, anche delle connessioni nella gestione e nel controllo, non solo della rete autostradale ma di tutti i beni concessi dallo Stato a terzi, è stata sempre una gestione piene di ombre. Si parla tanto della realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina, quale opera importante e unica, ma io vorrei chiedere al ministro Salvini e alla Presidente del Consiglio Meloni come si può realizzare un'opera così importante se poi nel Paese ci sono lacune sulle infrastrutture e tutt’oggi ci sono intere aree della nazione che non sono minimamente servite dalle infrastrutture. E ancora peggio, perché sperare di realizzare un'opera e non preservare o pensare alla manutenzione di opere già esistenti? Se oggi, chiunque, viaggiando sulla rete autostradale alza gli occhi e osserva i vari cavalcavia, sicuramente non è bastato ritinteggiarli per renderli sicuri».

 

Lei prima parlava di clone romano, dello stesso modus operandi. Qual è il legame tra i due processi, quello menzionato a Roma, finito in prescrizione, e la drammatica vicenda che si è registrata il 14 agosto del 2018?

«Nel processo romano erano imputati e già nelle tante trascrizioni delle intercettazioni risultava il modus operandi portato avanti dai funzionari di Austostrade. Già il nome di Michele Donferri Mitelli, dominus e numero due di Autostrade era citato più volte nelle indagini della Procura di Roma e delle varie Distrettuali Antimafia.»

 

Si potevano salvare le 43 vittime del Ponte Morandi?

«Sicuramente. Non ho mai voluto parlare di incidente. Quella è una strage annunciata, con dei responsabili che hanno nomi e cognomi, che troviamo non solo nel procedimento di Roma, ma lo troviamo anche nel processo di Avellino per il cedimento dei new jersey e anche per i crolli dei vari portali che solo per casualità non hanno causato vittime. Altre vittime. Voglio ricordare le parole di un investigatore della direzione investigativa antimafia, che durante le tante ore delle mie deposizioni, mi disse: “Ciliberto, in Italia se non succedono i morti non si muove nulla”. Come mi suonano, da ben tredici anni, le parole di un funzionario di Autostrade che saputo delle mie segnalazioni in merito a delle anomalie costruttive, disse: “In Italia mai nessun ponte è crollato. Noi siamo Atlantia e siamo quotati in borsa”».

 

Perché quelle 43 vittime si sarebbero potute salvare?

«Il modello collaudato da Autostrade e dalle sue consociate incaricate del controllo, era già stato accertato nelle inchieste del filone romano. Sembra strano che solo dopo il crollo tutti gli atti del processo siano stati acquisiti dagli investigatori di Genova. E nessuno, prima del crollo, si era posto il problema di capire e di bloccare questi soggetti che avevano il compito di gestire la sicurezza pubblica. Sicurezza pubblica più volte svenduta per un’auto, per un Rolex o per qualche regalo importante».

 

Cosa è cambiato dopo le tue innumerevoli denunce?

«Nei lavori pubblici, negli appalti sono cambiati solo i vestiti. Ma i soggetti restano sempre gli stessi. Il modus operandi è sempre lo stesso. E l'azione giudiziaria, purtroppo in Italia è un'azione che arriva al reato consumato, perché anche l'autorità nazionale anticorruzione, allora presieduta dal magistrato Cantone, non è riuscita a prevenire azioni di corruzione. Anche perché abbiamo visto che in Italia chi denuncia e si oppone al sistema di potere, non solo non lavora più ma viene qualificato come un soggetto che ha causato problemi e danni di immagine all'azienda. Il messaggio negativo che arriva ai giovani è che chi denuncia viene “condannato” e chi invece è omertoso viene premiato».

 

Ci sono altre opere in Italia a rischio crollo?

«Tante. Troppo spesso con la serie di subappalti, con la serie di affidamenti, molte opere sono state realizzate da ditte le quali non vengono neanche menzionate. E gran parte della documentazione, troppo spesso, è falsificata».

 

Lei è in grado di indicare qualche opera pubblica pericolosa?

«Allora non so attualmente, dopo le mie denunce, quali interventi siano stati fatti. Ma ho più volte segnalato che le barriere fonoassorbenti, sul tratto della tangenziale di Napoli, erano state installate con dei tirafondi non a norma».

 

Cosa significa?

«Con una sollecitazione per questioni atmosferiche o con un'auto che potrebbe sbandare questi montanti sicuramente crollerebbero. Ma la cosa grave è che parliamo di una tangenziale sopraelevata e quindi al di sotto vi è un traffico veicolare e anche pedonale. Ho contezza, e ho già denunciato, che molti perni, nel tratto che vada da via Cilea ad Agnano, crollavano al suolo. Anche in quel caso chi realmente ha installato i pannelli, persona pregiudicata e vicino alla camorra, non risulta nella documentazione, poiché l'appalto fu aggiudicato a un'azienda piemontese».

 

 

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