«Delusione e rabbia ma non è colpa mia: la giustizia lenta premia chi delinque»

LA DISFATTA DELLA GIUSTIZIA. Ieri, come negli anni passati, abbiamo sostenuto il nostro amico e collega Gennaro Ciliberto in un'aula di Tribunale dove ha portato i camorristi e i colletti bianchi. In quella stessa aula abbiamo dovuto assistere alla resa della giustizia italiana che, di fronte a talune persone si ferma, alza bandiera bianca e chiude lunghi anni di processi (soldi pubblici), di sacrifici con una parola magica (per i criminali): prescrizione. E tutto finisce in una bolla di sapone. Non è una assoluzione ma resta l'amaro in bocca. Perchè in tutti questi anni si è registrato totale disinteresse intorno a questa vicenda? E' l'Italia che un giorno prescrive e un altro piange (ipocritamente) i morti causati dai lavori e dai materiali scadenti usati per costruire opere pubbliche. Un giorno si definisce «Giovanni e Paolo» e negli altri si arrangia in tutti i modi (anche illegali). Ma nemmeno questo stop fermerà il nostro impegno. Perchè siamo più incazzati di prima! (pdc). A seguire il punto di vista del testimone di giustizia:

«Delusione e rabbia ma non è colpa mia: la giustizia lenta premia chi delinque»

Tutto ebbe inizio nel 2011 quando con personale della DIA di Milano iniziò la più grande indagine di corruzione e infiltrazione della camorra nelle opere pubbliche appalti autodradali.

A 35 anni, da manager, mi recai a denunciare portando le prove di come il sistema era colluso e di come molte opere erano pericolose.

Quella sera finimmo alle 4 di notte, era solo l'inizio di un incubo, del mio atroce destino da testimone di giustizia. Prima da denunciate e poi da testimone di giustizia ho girato e depositato informazioni testimoniali in più di 10 Procure della Repubblica, oltre ad aver collaborato con la DIA di Firenze, la DIA di Bologna, il ROS di Campobasso, la Polizia giudiziaria di Roma, la Squadra mobile di Trento, i Carabinieri di Milano, di Roma, di Firenze.


Da Trento a Palmi sono partite inchieste che hanno permesso di sequestrare milioni di euro, per bloccare appalti per miliardi di euro. Soldi sottratti alle casse della camorra. Altre inchieste sono state coordinate dalla DDA di Napoli portando esponenti del clan D'alessandro in galera.

Ma a Roma quel processo che tanto stentava a partire, che vedeva imputati colletti bianchi e camorristi era già stato segnato in maniera negativa. Un ritardo nel partire, una inchieste del 2011 per reati commessi nel 2009. Un processo iniziato solo nel 2014.

Dopo il sequestro del cavalcavia di Ferentino (autostrada A1) e gli accertamenti eseguiti dalla polizia giudiziaria della Procura di Roma, indagini che  furono la prova regina, dove fu scoperto che quel cavalcavia era stato realizzato con materiale scadente e doveva essere rifatto poiché a rischio crollo. Quella fu la prima opera autostradale sequestrata. Mai prima di allora la tratta autostradale era stata chiusa al traffico veicolare.

Il rischio crollo era concreto, se quel cavalcavia fosse crollato ci sarebbero state vittime innocenti. 

I titoli dei giornali evidenziarono come un testimone di giustizia avesse permesso alla Procura di Roma, allora condotta dal dott. Pignatones, di accertare le anomalie costruttive e un giro di tangenti tra i colletti bianchi e persone già condannate per reati di mafia.

A destra, con gli occhiali da sole, il guappo Mario Vuolo (inaugurazione Ferentino)

Ma qualcosa dopo non ha funzionato, dopo il rinvio a processo per 12 imputati con vari capi di imputazione tra cui anche attentato ai trasporti, frode in appalti pubblici, falso, concussione.
Quel processo ha subito un rallentamento.

Una quantità di udienze rinviate per errori di notifiche, detenuti trasferiti da un carcere all'altro senza che il giudice sapesse nulla. Imputati, poi detenuti per altra causa, che non erano presenti in aula a cui nessuno aveva notificato la data dell'udienza. Avvocati assenti, poi un rinvio che rimane nella storia: l'aula con i piccioni all'interno. Rinviata per questioni d'igiene.
Il covid ha poi completato il tutto.

Una storia questa che raffigura come la giustizia italiana sia "malata".  In questa nostra Nazione, dove chi delinque ha la certezza di non essere condannato perché c'è la prescrizione.

Quella prescrizione che troppo spesso ha visto buttare via un intero iter processuale.

Migliaia di pagine scritte dagli inquirenti, tra intercettazioni, pedinamenti e risultanze investigative. Una intera stanza piena di fascicoli, soldi pubblici spesi.

E poi, che succede?
Che tutto il sacrificio da me fatto e quello degli investigatori non è servito a nulla.

Ma in questo processo non ho perso certamente io, ma chi avrebbe dovuto portare alla sbarra taluni soggetti che, è bene ribadire, non sono stati assolti dai capi d'imputazione. Non sono stati dichiarati innocenti dalla sentenza.
Quella sentenza citata con la frase "per sopraggiunta prescrizione".

Cosa rimane di undici anni di sacrifici, di minacce subite, di un ricordo indelebile di un coplo di pistola nella gamba, di viaggi con partenza alle tre di notte e rientro all'una del giorno dopo?

Cosa rimane dell'indagine che ha riconosciuto attendibile tutte le mie denunce, trovando riscontri che oggi sono nei fascicoli del processo del crollo del ponte Morandi?
Quella Procura di Genova che, nell'indagine, ha acquisto tutti i fascicoli del procedimento penale dove ero testimone e parte civile.

La mia storia è la storia di uomo, un testimone di giustizia, un padre che da undici anni vive esiliato, sotto scorta.

Tutto per aver denunciato la camorra SPA. Oggi il mio dolore è il dolore di colui che ha visto la tragedia del ponte Morandi, delle vittime innocenti.

Credevo che il mio sacrificio avesse potuto impedire altri crolli, ma nulla. Certa parte della giustizia ha bisogno di vittime per intervenire. Questo processo giunge alla fine dopo anni. La giustizia ha perso con la frase "sopraggiunta prescrizione".

 

 

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