Lea Garofalo, 14 anni fa il tentato sequestro di Campobasso

5 maggio 2009, Campobasso. Tentativo di sequestro organizzato dal suo ex convivente Carlo Cosco (schifoso 'ndranghetista). Il falso tecnico della lavatrice, il pluripregiudicato Massimo Sabatino (36 anni di Pagani, Salerno), entra con l'inganno nella casa di via Sant'Antonio Abate. Le due donne (Lea e la figlia Denise) lottano, resistono e si salvano. L'ordine era chiaro: rapire Lea, per trasportarla in Puglia. Per interrogarla e poi scioglierla nell'acido. Il piano salta, fallisce. Ma nessuno capirà la drammatica situazione.

Lea Garofalo, 14 anni fa il tentato sequestro di Campobasso

Denise, stanca per il viaggio e per la lunga vacanza, resta nel suo letto e non va a scuola. È una decisione presa all’improvviso. Ha spento il cellulare e non si accorge che il padre tenta più volte di mettersi in contatto con lei. Lui non sa, non può sapere, che in casa ci sono sia la madre che la figlia. È una mattina come tante altre. Alle nove bussano alla porta, è il tecnico della lavatrice.

Via Sant'Antonio Abate, Campobasso

 

Da qualche giorno, infatti, l’elettrodomestico è guasto. Ne è a conoscenza anche Carlo Cosco, che ha avvisato l’agenzia immobiliare. «La lavatrice aveva effettivamente un guasto, di cui mio padre ne era a conoscenza e per cui aveva detto a mia madre che avrebbe chiamato un tecnico». L’agenzia però ha programmato per il giorno dopo, il 6 maggio, l’arrivo del vero tecnico. Il mafioso Carlo Cosco anticipa i tempi.

Lea fa entrare l’uomo con la valigetta degli attrezzi in mano e lo accompagna nel lavatoio. Il presunto idraulico poggia la valigetta vicino alla lavatrice e comincia a maneggiare, a premere tasti. Non è il suo lavoro, si vede ad occhio che non sa dove mettere le mani. Lea si insospettisce: va in cucina, prende un coltello e lo nasconde nella tasca dei pantaloni.

La donna chiede di aprire la valigetta. Non si fida, è sveglia, vuole vederci chiaro. L’uomo poggia la cassetta degli attrezzi sulla lavatrice e, in un attimo, si avventa contro Lea. Le toglie il coltello dalle mani, la colpisce. È una lotta per la sopravvivenza. Il finto tecnico le conficca in gola due dita. Lea reagisce, stringe con violenza i suoi genitali.

 

La donna è un osso duro, conosce alcune mosse di difesa personale, anche Denise lo conferma nel processo di Milano: «Era pratica di qualche mossa di arti marziali». La colluttazione fa cadere a terra la cassetta degli attrezzi, il tonfo sveglia Denise, che accorre in soccorso della madre. Si accorge subito della gravità della situazione e comincia a colpire l’uomo con calci e pugni. Lea si divincola dalla presa. Le due donne lottano insieme, l’una per proteggere l’altra.

 

Un vicino di casa sente delle voci femminili e le urla di aiuto provenienti dall’appartamento occupato dalla Garofalo.

 

Non sa cosa fare, cosa pensare. Si affaccia sul pianerottolo e vede un uomo di spalle correre per le scale e raggiungere il portone d’ingresso del palazzo. È scappato a gambe levate, ma ha lasciato la cassetta degli attrezzi in casa e le sue impronte digitali. Nella valigetta un’amara sorpresa. Gli utensili per la riparazione sono stati sostituiti con rotoli di nastro adesivo, guanti in lattice, filo di ferro gommato, una corda, forbici, una lama a seghetto e una pallina. Il piano è chiaro. Per fortuna è sfumato. Sembrano dei dilettanti questi Cosco.

           

Il finto tecnico viene descritto dalle due donne: alto circa un metro e settanta, capelli rasati, magro, carnagione olivastra, viso lungo e tondo, senza barba o baffi, dell’età di circa 37 anni, indossa giubbotto blu, jeans e un tatuaggio sul collo, sotto l’orecchio sinistro. Questa è la descrizione che Lea fa ai carabinieri di Campobasso.

Denise rincorre l’uomo, lo segue fino all’uscio della porta. Così il 19 dicembre 2009 racconta quei momenti: «Lo sconosciuto in seguito al mio intervento e alla continua reazione di mia madre scappava via immediatamente. Voglio precisare che quando l’uomo ha raggiunto la porta di casa io l’ho bloccato chiedendogli chi lo aveva mandato e lui mi rispondeva di lasciarlo stare senza respingermi fisicamente”. L’uomo si è impaurito. È convinto di trovare solo Lea, la presenza di Denise lo mette in fuga. Gli ordini sono chiari e non si discutono. La ragazza non si tocca.

       

Lea indica immediatamente il suo ex compagno come mandante di questa aggressione e di questo tentato sequestro. Il Cosco conosce il problema della lavatrice perchè ha abitato in quella abitazione con sua madre, dal 24 al 30 aprile. Lea chiama Marisa, le spiega e le racconta il grave episodio. La sorella ascolta e subito fa un’associazione di idee. Ricorda che la stessa mattina della colluttazione ha visto Carlo Cosco fermo davanti al bar, di fronte alla scuola di sua figlia. Un alibi perfetto, costruito a tavolino. Tutto è stato studiato, tutto deve filare liscio.

Ma non è stata prevista l’eventualità che Denise rimanesse a casa. Il falso tecnico ha l’ordine di tramortire e di rapire Lea e non Denise. Ecco perché scappa quando la figlia del capo lo assale.

[continua...]

 

Brano tratto da UNA FIMMINA CALABRESE. Così Lea Garofalo sfidò la 'ndrangheta

di Paolo De Chiara

Prefazione di Sebastiano Ardita

Postfazione di Cesare Giuzzi

Bonfirraro Editore

novembre 2022

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