Carlo Cosco, l’ergastolano parlante: «Non fate demagogia pietosa»

LA RISPOSTA AI NOSTRI ARTICOLI. Nelle scorse ore è stata pubblicata da un quotidiano calabrese una lettera (scritta da chi?) dell'ex capo clan di ‘ndrangheta dei Cosco, condannato all’ergastolo (insieme ai suoi simili) per l’omicidio di Lea Garofalo. La donna nel 2009 (dopo un tentativo di sequestro a Campobasso) è stata colpita violentemente, strangolata e poi bruciata per tre giorni in un bidone in provincia di Monza. Dalla missiva emerge ancora una volta l’arroganza criminale del mafioso: «Credo che sia di dominio pubblico che io sia stato giudicato da un Tribunale condannato all’ergastolo, ma senza alcuna associazione mafiosa. Fate riferimento al clan Cosco, clan che non esiste e non è mai esistito.»

Carlo Cosco, l’ergastolano parlante: «Non fate demagogia pietosa»

Tanto tuonò che piovve. La risposta dell’ergastolano Carlo Cosco è arrivata puntualmente. Nei mesi scorsi abbiamo approfondito un fatto che a noi, sin da subito, è apparso allarmante. Il galeotto, responsabile della morte violenta di Lea Garofalo (24 novembre 2009), la donna bruciata per tre giorni in un bidone in un magazzino di San Fruttuoso (in provincia di Monza), nel mese di luglio scorso ha rimesso piede nel suo territorio tra l’entusiasmo popolare (di una parte della popolazione di Pagliarelle, frazione di Petilia Policastro in provincia di Crotone).

Per approfondimenti: Il ritorno della bestia Carlo Cosco

Noi di WordNews.it abbiamo fatto il nostro dovere. Abbiamo denunciato l’accaduto, pubblicando la foto del saluto (senza le manette ai polsi dell’ergastolano) e ponendo semplicemente degli interrogativi.

Ma con la pubblicazione dell’articolo (link in alto per rileggerlo) è subito arrivata la risposta. In un messaggio privato (giunto al sottoscritto tramite messaggistica privata di Instragam) un parente del Cosco (una sua nipotina molto educata) ha tenuto a sottolineare il suo punto di vista (magari raccolto in famiglia), attraverso minacce e paroline gentili (“stronzo”, “figlio di puttana”). Ma in quello stesso messaggio un passaggio (relativo alla madre del Cosco, Piera Bongera) ha confermato, parzialmente, i nostri interrogativi posti precedentemente.

 

Per approfondimenti: La rabbiosa reazione dei Cosco

  

Ma quanto scrivono questi Cosco. Prima la nipotina gentile ed educata e poi lui, il detenuto ergastolano. Lo avevamo lasciato in aula balbettare e leggere a stento una lettera indirizzata a sua figlia. Ed ora arriva una risposta, attraverso la sua lettera (inviata ad un altro giornale), dove si argomenta in maniera impeccabile. Indipendentemente dalle stronzate, di nessun valore.

Ma per quale motivo?

Esiste un disegno dietro tutti questi puntuali interventi?

C’è una strategia che parte da lontano?

L’azione strategica di avvicinamento fa parte del modus operandi del Cosco (il suo faccione nella foto in basso). Lo hanno fatto già diverse volte in passato, per poi reagire in maniera animalesca.

Signor ergastolano, chi scrive conosce a memoria ogni carta del suo processo. E non solo quello che riguarda la morte della sua ex compagna, madre di sua figlia. Ma non si vergogna nemmeno un po’? La conosce la vergogna? Lei davvero pensa di essere più furbo degli altri?

Se li ricorda gli sfottò dei suoi colleghi carcerati? Era diventato uno zimbello, un pulcinella. 

Ecco, mai dimenticare il passato. La memoria è fondamentale. Una donna è riuscita a far emergere il suo dilettantismo criminale. È inutile elencare, in questa sede, tutti i suoi fallimenti.

Per rinfrescare la memoria del Cosco, riportiamo alcuni passaggi di un suo sodale, Carmine Venturino: «Carlo Cosco, diciamo, dopo aver fatto ammazzare Floriano è lui che dirige le cose al paese, a Pagliarelle. Per qualsiasi cosa bisogna andare dai Cosco. Diciamo che i Cosco sono una famiglia di ‘ndrangheta; Carlo Cosco è un santista, Giuseppe Cosco ha la dote dello sgarro, Vito Cosco è un camorrista; Massimo Cosco è un picciotto, è stato battezzato dopo la morte dei fratelli Comberiati a Petilia Policastro nel 2008; loro praticamente appartengono alla famiglia dei Comberiati, appartenevano; nel 2008, in Calabria ci fu la pace tra le famiglie di ‘ndrangheta e praticamente fu dichiarato il capo locale che era, è ancora vivo, e era Vincenzo Comberiati, fu rimpiazzato da Vincenzo Manfreda e Carlo Cosco diciamo che apparteneva a Vincenzo Manfreda; Vincenzo Manfreda è stato ucciso nel gennaio-febbraio 2012. Loro sono una forte, una potente famiglia di ‘ndrangheta. Carlo Cosco è un uomo molto pericoloso, molto influente e ha molte amicizie. Si è legato anche alla famiglia Megna. È legato alle famiglie Nicoscia di Isola Capo Rizzuto. È legato a tutte le famiglie ‘ndranghetiste del crotonese, rispettate da tutti. A Milano avevano tanti amici. Erano una famiglia abbastanza influente; imponevano il pizzo. Avevano un grosso commercio di cocaina», verbale di udienza, aula 1^ Assise appello, 11 aprile 2013.  

Ma veniamo alla lettera. Ovviamente riportiamo alcuni stralci, eliminando le frasi fatte e senza significato (ovviamente secondo il nostro punto di vista). Ad esempio, il Cosco, scrive (o chi per lui) che è necessario “informare e documentare la popolazione che ben seguono tali iniziative”. Il riferimento è alla nostra iniziativa di intitolare una strada a Lea Garofalo a Pagliarelle (per l’intitolazione di una strada a Campobasso, sempre online su Change.org, sono state raccolte più di 15mila firme. Ma, stranamente, per l’iniziativa molisana l’ergastolano non ha scritto nulla). Le firme saranno consegnate al Sindaco di Petilia Policastro il giorno 24 novembre 2022. Tredici anni dopo l'orrenda morte di Lea Garofalo.

È un fastidio avere una strada a Pagliarelle con il nome della donna ammazzata da squallidi criminali?

Andiamo avanti. Il Cosco, senza vergogna, scrive di “spirito di civiltà e rettezza comportamentale”. Se non ci fosse da piangere questa frase potrebbe essere utilizzata per la barzelletta del secolo. L’uomo (si chiede umilmente scusa ai veri uomini), condannato insieme ad altre bestie, per la morte violenta di una donna si esprime moralmente sulla “civiltà” e sulla “rettezza comportamentale”. Nel Paese senza vergogna succede pure questo.

Ma le testimonianze di tutti coloro che hanno descritto i Cosco, il clan di ‘ndrangheta Cosco, dove sono andate a finire? Le minacce, la violenza, i traffici, gli omicidi? Chi ha ucciso Antonio Comberiati a Milano nel cortile di viale Montello? Chi ha ucciso Floriano Garofalo, detto Fifì, il contabile della cosca dei petilini a Milano e fratello di Lea Garofalo?

Resta cristallizzata la testimonianza di Lea Garofalo (agli atti del processo). E il dilettante 'ndranghetista non è mai riuscito a mettere le mani sulle deposizioni della madre di sua figlia. E ha dovuto attendere la fuoriuscita dal programma di protezione (2002-2009) per mettere le mani sulla donna. Il passato non si cancella con una lettera. La “civiltà” non è uccidere e bruciare il corpo senza vita di una donna per tre giorni. Per poi ridere in macchina con i complici morali di questo omicidio schifoso.

Ma ecco il pezzo forte. “Credo che sia di dominio pubblico che io sia stato giudicato da un Tribunale condannato all’ergastolo, ma senza alcuna associazione mafiosa. Fate riferimento al clan Cosco, clan che non esiste e non è mai esistito”. L’apoteosi del disgusto. Perché lo scrivano criminale Carlo Cosco non fa alcun riferimento alla condanna del grillo parlante Massimo Sabatino? L’autore materiale del tentato sequestro in via Sant’Antonio Abate a Campobasso (5 maggio 2009) condannato in via definitiva a Campobasso con l’aggravante dell’art.7 (il reato viene commesso per avvantaggiare un clan di mafia)?

Perché, il neo letterato Cosco, non fa alcun accenno alle sue (e a quelle dei suoi fratelli) attività in viale Montello? Perché non parla del traffico di droga? Delle intercettazioni inserite nelle carte processuali? Perché non parla dei permessi chiesti ai boss di ‘ndrangheta per eliminare Lea Garofalo? Il giochetto del negazionismo è antico come la notte dei tempi. La credibilità non si può acquistare con una lettera pubblicata su un’intera pagina di un quotidiano. Anche questa tecnica è stata utilizzata in passato. Nulla di nuovo sotto al cielo della criminalità organizzata.

Ma tutto questo attivismo, vista la totale mancanza di credibilità nel mondo onesto, come è visto e valutato negli ambienti criminali?

“Senza alcuna associazione mafiosa” scrive l’assassino di Lea Garofalo. Ci sarebbe da dire che pure le pulci hanno la tosse. Ma non basta per spiegare questa fuorviante affermazione. L’ergastolano, che si offende se viene chiamato “bestia”, perché non racconta tutte le fasi del processo?

All’inizio il processo viene basato su un fatto di mafia. Lo dicono i magistrati (di Campobasso, di Milano). Ma poi, solo per motivi di economia processuale, così dice il pm Tatangelo (esiste la registrazione), viene meno l’aggravante. A Milano non è stato soltanto un femnminicidio. L’omicidio di Lea Garofalo è un omicidio di mafia, un femminicidio e un omicidio di Stato (che ha le sue responsabilità).

Tutto il resto è noia, direbbe qualcuno. Gli altri passaggi contenuti nella missiva lasciano il tempo che trovano. Riprendiamo una sua domanda (ovviamente retorica): “Con quale titolo ed arroganza ripercorrete fatti per i quali sono stato già giudicato dalla massima autorità? Non fate demagogia pietosa, i fatti parlano da soli ed io sono detenuto ergastolano anche se nel frattempo ho conseguito titoli di studio ed oggi frequento l’università”.

L’oblio, lo ribadiamo con forza, non esiste. In questo caso, ovviamente. Mettendo da parte tutte le attività criminali (traffici, minacce, affari, omicidi) resta la soppressione violenta di una donna e la distruzione del suo cadavere. I frammenti ossei, buttati in un tombino a San Fruttuoso, sono stati ritrovati dopo due anni solo grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Carmine Venturino, l’ex fidanzatino della figlia di Denise.

L’ergastolo, il fine pena mai, non riguarda solo la detenzione fisica. Avete ucciso Lea perché siete dei dilettanti. Dei criminali pericolosi, ma dilettanti.

Lea Garofalo non è morta, l’avete resa immortale. Ed ora vi dà fastidio se si parla di questa donna (rispetto a Lei rappresentate il nulla) o se si portano avanti delle iniziative? Avrete, a breve, delle sorprese.

“Demagogia pietosa”, “i fatti parlano da soli”. Parole vuote, parole al vento. Degne di personaggi squallidi e pietosi. Apprendiamo con piacere l’attività culturale e religiosa del Cosco (“seguo assiduamente attività religiosa anche se non posso arginare il processo degenerativo in carcere, cosa che dovrebbe farvi enormemente piacere”). Ecco come nascono i paroloni e i concetti scritti sapientemente in questa lettera.

Ma a chi sono rivolti i tanti messaggi del delinquente?

Allo studente modello, al religioso assiduo, alla bestia criminale facciamo i migliori auguri per la sua fine pena mai. A noi non fa piacere augurare il peggio (come voi avete fatto concretamente minacciando e uccidendo). Noi auguriamo a tutti voi criminali un sereno ergastolo.

 

p.s.: tutte le strategie (la mente, qualche volta,  la fate funzionare per i vostri fini criminali) non porteranno a nulla. Una donna ha distrutto il vostro clan mafioso. E questo fatto vi fa impazzire. La scelta di ucciderla (dopo quanti anni? dopo quanti piani studiati e falliti?) ha portato alla condanna a vita. Resterete in carcere, non dovete avere alcun dubbio. E perdonate (ecco a cosa serve la religione) i vostri nemici. Perdonateci, noi non siamo religiosi come voi.

Alla prossima missiva.

 

p.s.2: è possibile conoscere il corso di laurea scelto?              

 

 

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